Wayne Gretzky, i 60 anni di un mito in 6 racconti di casa nostra

Soprannominato «The Great One», il più grande, Wayne Gretzky è un mito dell’hockey canadese e mondiale. Oggi compie 60 anni e noi gli rendiamo omaggio con sei storie raccontateci da altrettanti personaggi di casa nostra che lo hanno conosciuto.
Pauli Jaks ha giocato con lui nei Los Angeles Kings. Una sola partita, indimenticabile. Marco Baron è stato suo compagno ad Edmonton e suo avversario con i Boston Bruins: «Mi ha segnato sette gol», racconta. Un giovanissimo Christian Dubé realizzò la sua prima e unica rete in NHL su assist di Gretzky, a New York. Patrick Fischer e Mikkel Boedker sono stati allenati da lui a Phoenix, squadra di cui era anche proprietario. Hnat Domenichelli, infine, era un bambino nella Edmonton degli anni Ottanta. E Wayne era il suo idolo. Sei storie «svizzere» per raccontare il più grande di tutti i tempi.
Jaks: «Quei 40 minuti sul ghiaccio insieme al mito»
Un giorno storico, quel 29 gennaio del 1995. Dopo mesi di «lockout», la stagione NHL era ripartita da appena nove giorni e i Los Angeles Kings di Wayne Gretzky ospitavano Chicago. Alla prima pausa, i californiani erano sotto 4-1. Dopo aver fatto un discorsetto alla squadra, coach Barry Melrose si rivolse al portiere di riserva, un 23.enne con la maglia numero 36: «Ok Pauli - gli disse - adesso entri tu». Fu così che Pauli Jaks divenne il primo svizzero a giocare in NHL. Lo fece per soli 40 minuti. Nella squadra di Gretzky, il più grande di tutti i tempi. «Un’esperienza indimenticabile», ci racconta l’allenatore dei portieri dell’Ambrì. «I due estremi difensori titolari, Kelly Hrudey e Rob Stauber, erano infortunati, così i Kings mi chiamarono come riserva del rookie Jamie Storr. Mi venne subito in mente Gretzky. Sarei andato a giocare con il più forte, la stella più luminosa in uno spogliatoio pieno di miti quali Jari Kurri, Rob Blake e Luc Robitaille. Erano tutti gentili, soprattutto Wayne. Venne a parlarmi, dicendomi di rivolgersi a lui per qualsiasi necessità. Mi sorprese, ma non osai mai disturbarlo». In quei 40 minuti, Pauli parò 23 tiri su 25. «Nel dopo partita, Gretzky mi fece i complimenti. Qualche giorno dopo, i portieri titolari lasciarono l’infermeria e io venni rimandato a Phoenix, nelle minors». In valigia, Pauli portò con sé il ricordo della leggenda: «Gretzky era il più forte perché gli riusciva tutto in modo naturale. Merito del talento, ma anche del lavoro. In allenamento ripeteva continuamente gli stessi esercizi. In partita, poi, trovava sempre un compagno libero a cui passare il disco, in ogni situazione».
Baron: «Dei suoi 1.016 gol, sette li ha segnati a me»
Pauli Jaks non è il solo portiere di casa nostra ad aver giocato con «The Great One». Nella stagione 1984-85, un anno prima di trasferirsi ad Ambrì, Marco Baron fu compagno di Gretzky negli Edmonton Oilers. «Per tre settimane soltanto», precisa il 61.enne svizzero-canadese, storico commentatore alla RSI. Tre settimane durante le quali Marco dormì a casa di un altro mito, Marc Messier. «Wayne, invece, era più riservato e tranquillo, oltre che un gran lavoratore. Già all’epoca non era evidente gestire la sua popolarità, ma lui lo faceva senza scompensi, nonostante mille impegni. Sul ghiaccio Gretzky non aveva il miglior tiro, il miglior pattinaggio o il miglior fisico, ma possedeva un sesto senso. Leggeva in anticipo le mosse degli avversari e i movimenti dei compagni. Sembrava che potesse vedere la pista dall’alto, senza ostacoli, come se fosse comodamente seduto in tribuna stampa».
Compagni per poco, sì, ma tante volte avversari. «Quando giocavo nei Boston Bruins, all’inizio degli anni Ottanta, mi è capitato spesso di affrontare Gretzky. Contro di lui e i suoi Oilers conquistai la mia prima vittoria in NHL. Con un certo orgoglio, posso affermare che delle sue 1.016 reti in NHL, ben sette le ha segnate a me».
Dubé: «Un suo assist per la mia sola rete in NHL»
Il 16 ottobre del 1996, al Madison Square Garden di New York, andò in scena la sfida tra i Rangers e i Pittsburgh Penguins, valida per la quarta giornata di campionato. Da una parte Wayne Gretzky e Mark Messier, dall’altra Mario Lemieux e Jaromir Jagr. Il meglio, insomma. Finì con una batosta: 8-1 per i Rangers. L’ultima rete la segnò il «rookie» di casa, il diciannovenne Christian Dubé, bravo a spingere il disco in rete dopo un tiro in power-play di Alexander Karpovtsev. L’assist in seconda fu proprio di Gretzky: «La prima cosa che Wayne mi disse dopo quel gol fu ‘‘Benvenuto nella Lega’’», ci racconta l’ex centro di Lugano, Berna e Friburgo, oggi allenatore e direttore sportivo del Gottéron. «Pensavo che quella sarebbe stata la prima di tante reti in NHL, ma andò diversamente. Questo, in fondo, la rende ancora più speciale. Fu un momento molto emozionante. Gretzky era il mio idolo, da bambino la mia camera era tutta tappezzata dalle sue fotografie. Giocare nella sua squadra, fu la realizzazione di un sogno. Quando i miei figli rivedono quella rete su internet, stentano a crederci. Sono passati quasi 25 anni, ma io me la ricordo come se fosse ieri».
Dubé era il novellino, Gretzky la star: «Tra noi non ci furono molti momenti di condivisione. Lui aveva una famiglia ed era un tipo molto discreto. Io stavo con gli altri giovani, lui con i veterani. Era un giocatore straordinario e rispettato, nonostante fosse alla fine della sua carriera. Quando aveva il disco, tutti erano impressionati dalla sua visione di gioco e da ciò che riusciva a fare».
Fischer: «Mi trattò come se fossi un VIP»
Patrick Fischer ha ancora il numero di Gretzky in rubrica. «Qualche settimana fa, durante i Mondiali U20 a Edmonton, mi ha mandato un video motivazionale da mostrare ai nostri ragazzi», ci spiega l’allenatore della Nazionale rossocrociata. «Siamo rimasti in ottimi rapporti». Oggi 45.enne, «Fischi» incrociò la sua strada con quella di Gretzky nel 2006, quando andò a giocare in NHL per i Phoenix Coyotes. Wayne era il coach della squadra, ma anche il co-proprietario. «Mi notò alle Olimpiadi di Torino, dove era il general manager della selezione canadese. Disse di volermi portare in Arizona. Per me fu un onore immenso. Insomma, far colpo sul più forte di tutti i tempi non è cosa da poco. Avevo già 31 anni e in Svizzera godevo di un certo status. Lui lo sapeva e infatti mi trattò come un VIP, mostrandomi grande rispetto. Scoprire quel nuovo mondo con una guida come lui, fu bellissimo. Mi è rimasto nel cuore, Wayne è un personaggio unico, ma umile. Come coach era molto vicino ai suoi ragazzi. Sempre corretto e simpatico, non gridava mai. Era un piacere giocare per lui. Allo stesso tempo, però, la sua leggenda poteva intimidirti. Nessuno poteva fare le cose che riusciva a fare lui».
Boedker: «La prima mano che ho stretto in NHL»
Il 20 luglio del 2008 Ottawa accolse l’atteso draft della NHL. Con la prima scelta a disposizione, i Tampa Bay Lightning puntarono su Steven Stamkos. Con il numero 2, i Los Angeles Kings si assicurarono Drew Doughty. Con l’ottava chiamata, i Phoenix Coyotes selezionarono invece un’ala danese, Mikkel Boedker. «Sì, fu proprio il proprietario Wayne Gretzky ad accogliermi in NHL», ricorda l’attaccante del Lugano. «La prima volta lo incontrai lì, sul palco di Ottawa, posando per le foto di rito. Stringere la sua mano fu un’emozione indescrivibile. Negli juniores indossavo il numero 89 e mi suggerì di tenerlo anche in NHL. Qualche mese dopo lo avrei ritrovato a bordo pista, come allenatore. Fu molto istruttivo, la sua conoscenza dell’hockey è di un altro livello. È il miglior ambasciatore che il nostro sport possa avere. Sono stato fortunato ad incontrarlo».
Domenichelli: «Ad Edmonton giocava a 500 metri da casa mia»
Tra il 1978-79 e il 1987-88, Wayne Gretzky vestì la maglia degli Edmonton Oilers, conquistando quattro Stanley Cup. Nato nel 1976, Hnat Domenichelli visse quei successi con gli occhi di un bambino: «Abitavo a meno di 500 metri dalla pista degli Oilers. Ogni tanto andavamo alle partite, ma il più delle volte le guardavo in televisione», ci dice il direttore sportivo del Lugano. «Fu un periodo esaltante per la nostra città. Nel 1984, quando Edmonton vinse il primo titolo, avevo 8 anni. L’ultimo, invece, risale al 1990, ma Gretzky era già partito. Sono cresciuto con la sua leggenda e ricordo di avergli strappato alcuni autografi da ragazzino. Quando passò ai Kings, non fu un trauma. Avevo già capito che l’hockey è anche un business. C’è una vecchia battuta: se Gretzky può essere ceduto, anche tu puoi essere ceduto».
Ecco perché lo chiamano «The Great One»
La carriera
Wayne Gretzky, nato il 26 gennaio del 1961 a Brantford, Ontario, ha giocato 20 stagioni e 1.695 partite in NHL tra il 1979 e il 1999. Soprannominato «The Great One», è considerato il miglior giocatore di tutti i tempi. Nessuno, in NHL, può più indossare il suo numero 99. Con gli Edmonton Oilers ha vinto quattro Stanley Cup: 1984, 1985, 1987 e 1988. Nell’estate del 1988 è passato ai Los Angeles Kings, dove ha trascorso 8 anni raggiungendo la finale nel 1993. Nel febbraio del 1996 si è trasferito brevemente ai St. Louis Blues. Tra il 1996 e il 1999 ha chiuso la carriera nei New York Rangers. Ha poi allenato i Phoenix Coyotes, di cui è stato anche co-proprietario. Oggi è uno dei massimi dirigenti degli Oilers.
I record principali
Wayne Gretzky ha vinto 9 volte l’Hart Memorial Trophy destinato al miglior giocatore della National Hockey League: un record. In NHL primeggia anche per numero di punti in regular season (2.857), punti nei playoff (382), punti in una singola stagione (215 nella regular season 1984-85, 255 con i playoff), gol in regular season (894), gol nei playoff (122), assist in regular season (1.963), assist nei playoff (260).