La lunga attesa di Clint Capela, stella svizzera della NBA

Il 2020 si sta rivelando particolarmente strano per Clint Capela, stella svizzera del campionato NBA. Infortunatosi a un piede a fine gennaio, poi ceduto dagli Houston Rockets agli Atlanta Hawks lo scorso 5 febbraio, il ginevrino non ha ancora potuto giocare un solo minuto con la sua nuova squadra. Colpa, ovviamente, della pandemia. Il centro ginevrino ha trascorso una sola settimana nella sua nuova città, la più importante dello Stato della Georgia. È successo in marzo, giusto il tempo di comprare una nuova grande casa a tre piani. «Non ho ancora traslocato, ma almeno ho un posto tutto mio», racconta il nazionale rossocrociato. In seguito Clint è tornato a Houston per proseguire la sua riabilitazione.
Lavoro in solitaria
Negli Stati Uniti, dove lo sport è uno spettacolo da milioni di dollari, si sta cercando di far ripartire la macchina. La NBA è in stand-by, ma alcune squadre hanno già ripreso la via dei loro centri di allenamento. Capela, dal canto suo, sta lavorando in solitaria, recuperando dal problema al tallone e alla pianta del piede: «Mi sento bene», assicura. «Ho fatto dei salti, degli scatti, ma ancora non sono tornato ad esercitarmi con il pallone. Se la stagione riprenderà, sarà il club a dovermi dire se vuole vedermi tornare in campo. Oggi come oggi, non vi sono certezze. Bisogna aspettare, ma una cosa la si percepisce: le squadre che giocheranno i playoff sono più motivate a riprendere le competizioni».
Il ginevrino non spinge per un ritorno sui parquet e a quanto pare è in buona compagnia. Un sondaggio confidenziale effettuato dall’associazione dei giocatori mostra una preferenza per l’interruzione del campionato. «Un giocatore positivo al coronavirus metterebbe tutti in pericolo, per questo non sono favorevole a un ritorno», spiega l’elvetico. «Non penso tanto ai rischi per noi, ma per le persone che ci stanno intorno. La sicurezza deve venire prima di ogni altra cosa».
Il confimanento e l’addio a Instagram
In questi tempi di crisi, Clint Capela si tiene costantemente al corrente su quanto sta succedendo in Svizzera. Racconta che uno dei suoi nipoti ha appena ripreso la scuola e si rallegra che nella sua famiglia stiano tutti bene, in buona salute. Ma come vive, personalmente, questa situazione? «Sono tornato a Houston il 19 marzo», racconta. «Ho chiesto agli Hawks se potevo trascorrere il mio periodo di confinamento qui e mi hanno detto di sì. Già da un po’ di tempo abbiamo di nuovo il permesso di uscire di casa e andare in giro. Questo mi fa solo del bene, perché non ne potevo più d restare in casa. In questo periodo, ho visto soltanto la mia compagna e due miei buoni amici».
Gli sportivi, si sa, sono spesso presi a modello, in particolare dai più giovani. Ecco perché Clint Capela ha rispettato alla lettera gli inviti delle autorità sanitarie: «Dovevo mostrare l’esempio, anche se poi dipende molto da dove ti trovi. Il Texas è talmente vasto da poter fare tutto senza incrociare nessuno».
Capela ha approfittato di questa pausa forzata per prendere il distacco dai social network, a partire da Instagram. «Ho disattivato il mio profilo per non sentire parlare sempre degli stessi argomenti. C’era un po’ troppa agitazione. Avevo la sensazione che alcuni forzassero troppo la mano e personalmente non volevo piombare in questa sorta di ossessione. Instagram ti dà accesso al mondo intero e io non volevo cadere in questa tentazione. Anche il mio ex compagno James Harden ha smesso. Io e lui siamo ancora in contatto, ogni tanto ci sentiamo su Face Time».
Affascinato da Jordan e Rodman
Con lo sport mondiale in pausa, l’uscita del documentario «The Last Dance» dedicato a Michael Jordan e ai Chicago Bulls degli anni Novanta ha avuto una risonanza incredibile. Abituato ad affrontare gomito a gomito tutti i migliori giocatori del pianeta e a vedersela con alcune leggende, dal compianto Kobe Bryant e LeBron James, Clint Capela ha divorato i primi otto episodi della serie Netflix (gli ultimi due saranno disponibili da domani): «Non ho mai visto Jordan dal vivo, solo in video. Mi ricordo che nei videogiochi dell’epoca dedicati alla NBA segnava sempre, perché aveva un suo contratto speciale. È stato un grande, ha viaggiato con due decenni d’anticipo su tutti gli altri. Appena è arrivato in NBA, nel 1984, è subito entrato nei migliori 5 giocatori della lega. La sua è una storia da sogno. Inoltre aveva la capacità di essere decisivo ogni sera. Nel dibattito su chi sia il più forte di sempre tra Jordan e LeBron James, io sto dalla parte del primo».
Nei Chicago Bulls di cui parla il documentario c’è un altro personaggio che ha segnato Clint Capela: Dennis Rodman. «Mi affascina. Quando ha deciso di andare a Las Vegas nel bel mezzo della stagione, concedendosi un po’ di sballo, credo che la gente non si sia veramente resa conto della situazione. Oggi, con i social e gli smartphone, una cosa del genere non sarebbe possibile».
Nessun rancore verso i Rockets
Quasi sempre brillante con gli Houston Rockets (13,9 punti, 13,8 rimbalzi e 1,8 stoppate di media questa stagione), Clint Capela non ha potuto evitare lo scambio agli Atlanta Hawks: «Ma non sono arrabbiato con la mia ex squadra», dice il ginevrino. «Come mi spiego la loro decisione? Beh, a inizio stagione non riuscivamo a progredire. C’era molta pressione, perché era giunto il momento di vincere. E così i dirigenti hanno cercato di fare qualcosa per smuovere la situazione. Personalmente in autunno ho vissuto anche degli ottimi periodi, certe sere mi sentivo mostruoso, ma i risultati non sono stati abbastanza costanti. Non avanzavamo più e anche per me era sempre più difficile farmi valere a quei livelli. Sentivo di aver toccato il soffitto. Con Atlanta, ho l’opportunità di mostrare ancora tutto il mio valore, soprattutto quando tornerò in forma. La squadra è giovane e piena di energia. Ha un bel futuro davanti a sé. A Houston, questa energia era un po’ venuta meno. Forse questo cambiamento farà bene a entrambi».