La peggiore partita possibile per due squadre in crisi nera
Derby della paura, ci risiamo. Per il numero dell’atto, perdonateci, abbiamo ormai perso il conto. Stanno infatti diventando una ricorrenza delle ultime stagioni, purtroppo, i duelli tra Lugano e Ambrì avvolti dai timori delle due protagoniste. Uno scenario, questo, che si ripropone venerdì, quando i bianconeri – reduci da 7 k.o. nelle ultime 9 partite disputate – e i biancoblù – sconfitti 8 volte nelle ultime 9 – si affronteranno per la seconda volta in stagione.
Il momento, su entrambi i fronti, è di quelli delicati e allora ne abbiamo approfittato per discuterne con chi, come Elias Bianchi, di derby ne ha vissuti parecchi e più volte è stato confrontato a situazioni di questo genere. Quando il ghiaccio sotto i pattini sembra più instabile, la presa sul bastone si fa tremolante e quando l’impressione è quella di avere tutto da perdere. «Un po’ di tensione supplementare effettivamente ci sarà – ha confermato l’ex capitano dei leventinesi -; in questa situazione era forse preferibile non avere un impegno come questo, perché la squadra che verrà sconfitta ne uscirà con le ossa rotte. La vittoria, d’altro canto, si tradurrebbe in una boccata d’ossigeno e potrebbe rappresentare una scintilla ma di certo non la fine dei propri mali. Sono convinto che se una squadra necessita di un derby per svoltare l’andamento stagionale significa, a priori, che c’è qualcosa che non va per il verso giusto».
Così simili, così diversi
Beh, ultimamente in Ticino la sensazione è più volte stata proprio questa. Il risultato? Società insoddisfatte e tifosi delusi. Non sarà, quindi, che si tende a sopravvalutare le «nostre» squadre? «Forse, a volte, questo errore è stato commesso, ma parliamo comunque di due casi differenti tra loro. L’Ambrì negli anni si è dimostrato coerente tra il livello della propria rosa e gli obiettivi dichiarati. È anche vero che il roster dei biancoblù è indubbiamente di qualità: non vale il 12. posto attuale, è una rosa che potenzialmente può flirtare con le prime 6 posizioni ma che deve puntare a raggiungere il 10. rango. A Lugano, da questo punto di vista, forse si è commesso l’errore di sovrastimare le proprie possibilità. Andando a confrontare i vari schieramenti, l’obiettivo – quello di entrare nella top 6 – appare abbastanza ardito. Sia chiaro, l’ambizione è una componente che io ritengo indispensabile, però sulla carta individuo diverse squadre che possono essere considerate superiori».
Seppur in modo diverso, entrambe le società hanno siglato una sorta di legame indissolubile che lega i rispettivi allenatori e direttori sportivi. «Ad Ambrì il percorso di Duca e Cereda è sempre stato condiviso, sono stati assieme dall’inizio della loro avventura e l’inscindibilità del duo - condivisibile o meno – è stata esposta pubblicamente dalla società che, quando necessario, lo ha protetti con vigore. Un progetto di questo tipo, quindi, difficilmente può essere messo in dubbio ora. È altresì chiaro, tuttavia, che a distanza di 7 anni dal loro insediamento arriverà il punto in cui andrà stilato un bilancio per capire se effettivamente si è verificata una progressione». Il cambio radicale, in casa Lugano, è invece giunto a stagione già avviata poco più di due anni or sono con l’avvicendamento McSorley-Gianinazzi. «Lui, però, non è stato il primo e unico allenatore di Domenichelli. Il cambio di filosofia, inoltre, non è stato indifferente e ora bisogna capire se la società bianconera difende ancora fermamente tale scelta. Io credo che sia questo il caso, poiché presumo che quando si è deciso di puntare su un tecnico così giovane - e alla prima esperienza con i professionisti - si è anche messo in conto di poter vivere dei momenti difficili».
Mancano i leader
Già, ma cos’è che sta davvero mancando a questo Lugano?«Trovo che in attacco ci siano ancora dei punti interrogativi e - guardando ad alcuni giocatori del ‘‘bottom six’’ - si fatica a collocare tutti in un ruolo preciso, perché il loro impatto è difficile da identificare. In passato, i bianconeri potevano contare su uomini come Reuille o Walker, dei cosiddetti giocatori di ruolo. Questi profili ora sembrano mancare e ciò si tramuta in un deficit sul ghiaccio, per ciò che riguarda la componente fisica e quella della leadership».
Colui che è più invocato, in questo senso, è quindi Calvin Thürkauf, che venerdì potrebbe fare il suo rientro. «È assolutamente fondamentale per questa squadra. È un giocatore totale, in grado di esaltarsi in ogni situazione e la sua presenza viene inevitabilmente percepita da tutti i compagni, che – vedendolo combattere al proprio fianco – crescono automaticamente in termini di coraggio. È vero, non può essere l’infortunio di un solo elemento a mandare tutto a rotoli, ma altre realtà possono vantare una rosa più ampia e sopperire così a delle assenze di peso, mentre in casa Lugano traspare ancor più la gravità di questa perdita».
Arroganti o slegati?
Una fortuna per l’Ambrì, sin qui, è invece stata proprio quella di avere poche defezioni, eppure - dopo la vittoria nel primo derby - i biancoblù sono sprofondati in classifica. «Uno dei problemi principali è che gli attaccanti più impiegati, quelli che dovrebbero trascinare gli altri, sono coloro che stanno rendendo di meno. Paradossalmente, i migliori sono i due giovani, Landry e De Luca. Spesso, poi, i leventinesi sono stati vicini ai propri avversari ma sono mancati gli acuti degli uomini più attesi nei momenti decisivi dei match. Mi sembra più che altro una questione mentale».
Per coach Cereda, proprio la testa è mancata nell’ultima uscita a Porenturry. «Se un allenatore si esprime in questa maniera significa che ha avuto degli indicatori in questo senso, anche se, dall’esterno, a me non è parsa una prestazione macchiata dall’arroganza. Non penso che l’Ambrì abbia sottovalutato l’Ajoie, ma quando trovi degli avversari che si chiudono in quel modo – come ha fatto la compagine di Ireland – l’aspetto fondamentale diventa il supporto al portatore del disco: chi non ha il puck deve muoversi nel modo giusto per favorire delle occasioni da buona posizione. Ecco, da quel punto di vista i leventinesi sono stati limitati e sono apparsi slegati in fase offensiva».