L'«angelo biondo» del calcio svizzero è stato raggiunto

«Sì, leggerezza è la parola giusta per descrivere Heinz Hermann. Come persona e come calciatore». Claudio Sulser ricorda bene le gesta dell’«angelo biondo» del calcio svizzero. A unirlo a lui sono d’altronde 281 gare tra Grasshopper e Nazionale. E quindi una duplice carriera: di grande successo a livello di club, di occasioni mancate e sconfitte onorevoli in rossocrociato, dal 1978 al 1991. Hermann è stato in ogni caso il simbolo di quasi tre decenni, passati alla storia per le cavalcate del GC e del Neuchâtel in Europa (con la semifinale del 1978 e i quarti contro il Real Madrid del 1986), così come per l’incetta di riconoscimenti a livello nazionale. Ben sei titoli (quattro con le Cavallette, due - gli unici del club - allo Xamax) e il premio di miglior giocatore elvetico per cinque anni consecutivi. Anche i tifosi di Servette e Aarau non l’hanno dimenticato.
«Heinz - sottolinea Sulser - aveva una forza fisica impressionante, alla quale sapeva tuttavia affiancare un’ottima tecnica. Per dire: non ho mai capito quale fosse il suo piede migliore». Leggendario, dicevamo, ma pure riservatissimo. «Lo era verso l’esterno, con i media» precisa Sulser: «Vi assicuro però che disponeva di una chiara personalità. In spogliatoio, ad ogni modo, non ha mai cercato di emergere sui compagni». 65 anni, Hermann non lo ha fatto pure in queste ore, declinando qualsivoglia richiesta d’intervista sull’operazione aggancio di Granit Xhaka, prossimo a eguagliare il suo record di presenze in Nazionale.


Per lui valgono e valevano le prestazioni fornite. «Ho sempre affermato che Heinz era il giocatore dei sogni per ogni allenatore, quello che parla poco e agisce molto» spiegava a LeTemps Gilbert Gress, tecnico di Hermann allo Xamax. Nonostante l’interesse di diverse squadre - Marsiglia su tutte -, non vi furono esperienze all’estero. E, appunto, si negarono anche le fasi finali dei grandi tornei. «Alla nostra generazione sono mancati i Mondiali ed Europei, è vero» riconosce Sulser. «Parliamo tuttavia di un’altra epoca, con meno partite e qualificazioni molto più complicate. Proprio questi elementi dimostrano la grandezza di Hermann. Nel calcio attuale, la sua costanza di rendimento si sarebbe tradotta in almeno 150 partite con la Svizzera».