L’evoluzione del Fazz: «Un figlio, i 30 anni all’orizzonte e tanta voglia di aiutare i giovani»
È il giocatore in attività con più presenze in bianconero: 617. Lo scorso aprile è diventato papà. E a fine stagione compirà trent’anni. Ma per i tifosi del Lugano, come dimostrano i cori dedicatigli sabato sera alla Reseghina durante la festa di presentazione, sarà sempre e soltanto il «giovane Fazzini». Lo abbiamo intervistato.
Luca, partiamo dalla scorsa primavera. Il 28 marzo avete perso gara-7 dei quarti di finale a Friburgo. Circa due settimane dopo è nato tuo figlio Aiden. Cosa ricordi di quel periodo?
«Dopo gara-7 c’era amarezza. Quel Friburgo era battibile. Poi, ecco la grandissima emozione di diventare padre. Tutto è filato liscio fin dal primo giorno, la mia compagna è una mamma eccezionale. Sembra strano, ma da quando sono papà dormo più di prima. Sono felice, non perdo occasione per mostrare le foto di Aiden ai miei compagni di squadra. Dopo averci riflettuto, abbiamo anche deciso di pubblicarle sui social, per condividere la nostra gioia più grande».
Quanto ti è mancato Aiden durante il ritiro di Lenzerheide?
«Tanto. Da un lato, infatti, non vedevo l’ora di tornare a casa. Allo stesso tempo, però, è stato bellissimo passare del tempo con la squadra. Il camp nei Grigioni è un’abitudine da diversi anni e ogni volta ne usciamo rafforzati. Si crea un ottimo spirito di gruppo e anche a livello fisico, quando torni dalla montagna, ti senti molto bene. Abbiamo lavorato duramente, con due allenamenti al giorno. Ma abbiamo anche avuto occasione di divertirci».
Giovedì scorso, durante il «media day» di Lenzerheide, ti abbiamo visto pranzare con Canonica, Zanetti, Cjunskis. Era la tavolata dei giovani?
«Mi capita di sedermi un po’ con tutti, ma una cosa è certa: quando passo del tempo con questi ragazzi, nati dal 2002 in poi, capisco di non essere più giovane. Al contempo, sento di poter trasmettere loro qualcosa. È una responsabilità che mi sono assunto già da qualche stagione, perché gioco in questa squadra da più tempo di tutti e conosco le dinamiche dell’ambiente. Quando arriva un nuovo giocatore, mi metto subito a disposizione per qualsiasi necessità. Per quanto riguarda i più giovani, inoltre, sento di poterli aiutare anche in pista, attraverso qualche consiglio. Sono ragazzi eccezionali, molto più tranquilli di quanto fossimo io e quelli della mia generazione affacciandoci alla prima squadra».
Il prossimo 17 marzo compirai 30 anni. La cifra tonda ti fa effetto?
«Non più di tanto. Non mi spaventa perché guardando al futuro, mio e del Lugano, sono molto fiducioso. Fisicamente mi sento meglio adesso che a 18 anni. Sono al massimo della mia forma fisica e ho diversi anni di esperienza alle spalle. So cosa devo dare alla squadra, alla società, ai tifosi. Conosco perfettamente il mio ruolo, dentro e fuori dal ghiaccio».
Sono già passati sei campionati dall’ultima finale giocata dal Lugano, nel 2018. Ci pensi ancora?
«Sì, ogni tanto. Giocare una gara-7 per il titolo in casa è un’occasione incredibile, perderla mi ha fatto malissimo, ma stiamo lavorando per guadagnarci una nuova opportunità».
Di quella squadra, dopo il ritiro di Walker, siete rimasi solo tu e Giovanni Morini.
«Questo conferma quanto ho detto prima: alla vigilia della mia tredicesima stagione in prima squadra posso considerarmi un punto di riferimento all’interno dello spogliatoio. Conosco perfettamente i valori e la cultura del club e insieme al gruppo dei capitani cerco di trasmetterli ai giovani e ai nuovi arrivati. È importante, anche l’allenatore si aspetta che io lo faccia».
Quali sono, con Gianinazzi, i valori e la cultura a cui ti riferisci?
«Il lavoro duro viene prima di tutto. Non dico che in passato non si lavorasse abbastanza, ma da quando è arrivato il Giana abbiamo iniziato a spingere di più, soprattutto in allenamento. Credo che i risultati si siano già visti, almeno in parte, la scorsa stagione. Non è stata semplice, abbiamo avuto i nostri soliti alti e bassi, ma nei playoff, come ho detto all’inizio, avevamo le carte per andare in semifinale. Ci è mancato qualcosa, sì. E quest’anno cercheremo di migliorare».
Iniziare bene sarà importante per poter entrare nelle prime sei e accedere direttamente ai playoff. Paradossalmente, però, le vostre vittorie più belle degli ultimi tre anni sono arrivate grazie ai pre-playoff, poi diventati play-in...
«Vincere le mini-serie con Ginevra, Friburgo e Ambrì Piotta è stato bello, ma passare ancora dai play-in non è il nostro obiettivo. Vogliamo i playoff diretti. Giocare e vincere un turno preliminare può darti una bella spinta emotiva, ma sono pur sempre 2 o 4 partite in più nelle gambe. E questo, soprattutto per noi che dobbiamo viaggiare più delle altre squadre, può fare la differenza».
Sei esploso con una stagione da 16 gol nel 2016-17. E nel 2017-18, con 19 gol e 23 assist, sei stato il topscorer bianconero. Avevi solo 22-23 anni, eppure la reazione di molti è stata: «Finalmente!». Insomma, su di te ci sono sempre state grandi aspettative.
«Sono entrato in prima squadra molto presto, nel 2012, e tutti sapevano che il mio punto forte erano i gol. Ma se poi non segni per diversi anni, automaticamente vieni criticato. Per un giovane può essere pericoloso, ma per fortuna me la sono cavata. All’inizio ho dovuto fare la mia gavetta, con tanta panchina. Inoltre, quando il coach era Fischer, fisicamente non ero pronto a giocare in NLA. La stagione 2017-18 con Ireland è stata importante, ma quella prima con Shedden ancora di più. L’infortunio di Brunner mi permise di giocare spesso con Klasen e Martensson. Segnai 16 gol e da allora mi sono costantemente ritagliato un posto nelle prime tre linee. Insomma, penso di aver colto l’opportunità».
Quando ti sei reso conto che le difese iniziavano ad aggiustarsi per impedirti di colpire dalla tua classica posizione sulla sinistra?
«Subito dopo quella stagione da topscorer. Va anche detto che il gioco è in continua evoluzione. Ad esempio, fino al 2020 c’erano più spazio e tempo per tirare in power-play, mentre ora tutti i box-play giocano in modo molto aggressivo. Nelle ultime stagioni, infatti, ho segnato poco dalla mia ‘‘mattonella’’. Ho dovuto trovare nuovi modi per fare gol».
Sei anche diventato un attaccante più completo, più mobile.
«Oggi tutti devono fare bene anche la fase difensiva. Se segni 30 gol e 30 assist a stagione, magari si può chiudere un occhio. Ma se non è il caso, allora devi essere completo. Il mio punto forte non sarà mai il lavoro in zona difensiva, me ne rendo conto, ma negli ultimi anni sono cresciuto e cerco sempre di dare il massimo. Ho ancora molto margine di miglioramento e già quest’anno voglio fare ulteriori progressi».
Chi sono i tuoi migliori amici nel mondo dell’hockey?
«Alcuni di loro ormai non giocano più: Walker, Chiesa e Sannitz, ad esempio. Ho sempre un legame fortissimo con Gregory Hofmann. Ma io, in generale, vado d’accordo con tutti. Quest’anno il gruppo è particolarmente bello. Anche i due cechi, Zohorna e Sekac, si sono integrati in fretta. È stato importante farli subito sentire parte della squadra. Mi sono accorto che in passato, con alcuni nuovi stranieri, non era capitato. E le loro performance ne avevano risentito».
Il terzo ceco sei tu, visto che stai giocando in linea con loro.
«Fin qui è stato così e mi trovo benissimo. Entrambi portano energia, giocano in modo fisico, recuperano tanti dischi e creano spazio. Due compagni di linea ideali per me».
Morini è ancora indisponibile dopo la frattura al femore rimediata a fine gennaio. Come hai vissuto il suo infortunio?
«È stato un brutto momento. Giovanni è un amico, siamo cresciuti insieme e non è il primo infortunio grave che subisce. Per un certo periodo l’ho visto molto demoralizzato. Recentemente, però, è migliorato molto. E pian piano inizierà a pattinare. Non vediamo l’ora di ritrovarlo, al momento giusto, quando sarà pronto, perché uno come lui può aiutare tantissimo la squadra».
Una squadra che l’anno prossimo ritroverà pure Simion...
«Un altro amico, una bellissima persona e un ottimo acquisto. Io lo sapevo che prima o poi Dario sarebbe tornato, era ovvio (ride, ndr). Sarà un innesto importante, basta vedere cosa ha fatto a Davos e Zugo, vincendo tre titoli da protagonista. Ma per quest’anno penseremo solo a come batterlo».