Luca Cereda: «Non guardo mai troppo lontano, altrimenti so già che mi perdo»
Uno strappo alla regola. A metà regular season, Luca Cereda ha deciso di parlare con i media prima di una partita (venerdì l’Ambrì Piotta giocherà a Porrentruy) e non unicamente nel dopo-gara. Un’occasione per fare il punto della situazione, ma non solo.
Luca, dopo tre mesi, come valuti la tua decisione di limitare i tuoi incontri con la stampa?
«Positivamente. Gli anni scorsi parlavo quasi tutti i giorni, diventando noioso. Il Ticino, dal punto di vista mediatico, è una realtà particolare. E non solo nello sport. Mi hanno fatto notare che da noi un consigliere di Stato può intervenire due volte, su due temi diversi, nello stesso notiziario. In altri cantoni, invece, ci sono consiglieri di Stato che non vengono intervistati per anni...».
Qual è dunque il bilancio dopo 27 giornate di campionato?
«All’inizio abbiamo avuto poca costanza tra una partita e l’altra e all’interno della stessa gara. Abbiamo spesso concesso il primo gol e perso il primo tempo. In un modo o nell’altro, siamo sempre rimasti vivi, soprattutto grazie agli special team e ai portieri. In seguito, il gioco in 5 contro 5 si è fatto più solido e maturo. Ultimamente siamo invece calati in ogni aspetto e questo ci ha portato a perdere 5 volte di fila. L’assenza di 3 dei migliori 5 difensori e di Bürgler non ci ha aiutati. Alcuni giocatori si sono trovati ad affrontare avversari più bravi o a giocare in posizioni che non conoscono bene. Dobbiamo avere pazienza e accettare qualche errore che tornerà utile in futuro. Siamo inoltre contenti che la Gottardo Arena sia diventata un punto di incontro e di socializzazione per il popolo biancoblù, proprio come la Valascia».
Sette vittorie di fila seguite da cinque sconfitte consecutive. La squadra si è sentita troppo sicura? O forse troppo appagata?
«Non ho percepito né arroganza, né rilassamento, bensì un calo di energia. Per un singolo giocatore è impossibile restare al top della forma per 7-8 mesi. Per la squadra anche. In queste fasi di calo, bisogna essere più furbi e semplificare le cose, ma abbiamo fatto fatica ad accettarlo. Proprio perché venivamo da un momento di grande fiducia, in cui tutto ci riusciva facilmente».


Questo è anche un periodo decisivo per i giocatori in scadenza di contratto. Hai percepito tensioni o distrazioni in squadra?
«Non si può generalizzare. Noto che alcuni giocatori sono pensierosi e per questo hanno meno energia. Altri, una volta presa la decisione sul loro futuro, possono accusare un attimo di rilassamento. Sono professionisti privilegiati, ma rimangono persone. Il fatto di dover spostare una famiglia da una città all’altra, può cambiare lo stato d’animo di qualcuno. E di conseguenza portare a prestazioni meno positive».
A proposito di famiglia: tu negli anni come hai trovato l’equilibrio tra vita privata e panchina?
«Non è semplice. A casa siamo in parecchi e c’è sempre tanto da fare. I nostri quattro figli hanno tutti un’attività extra-scolastica e anche noi, come tante coppie, siamo diventati genitori-tassisti. Al termine della scorsa stagione, quando ho riflettuto sul mio futuro ad Ambrì, ne ho discusso in famiglia, per capire se avevamo ancora la forza di andare avanti. Mi hanno subito detto di continuare, ma non come nell’ultimo periodo, in cui mi vedevano molto giù. Ho fatto tesoro del consiglio. Mia moglie mi supporta molto e i bambini mi facilitano le cose, comprendendo il fatto che il loro papà abbia degli orari particolari».
Tornando al tema dei contratti, il primo in scadenza è quello di Alex Formenton. Il canadese resterà anche dopo la Spengler?
«Non lo so, la società valuterà aspetti sportivi e finanziari. Quello che posso dire io, da allenatore, è che Alex è tornato in forma. È più esplosivo e veloce, si crea tante occasioni. Gli manca di segnare qualche gol in più, dopodiché avremo ritrovato il vero Formenton».
Si attendono notizie anche sul futuro di Dominic Zwerger. Può ancora avere un ruolo importante nell’Ambrì che verrà?
«Il ruolo lo conquisti sul ghiaccio. Vale per tutti. Il primo anno, ad esempio, Zwerger arrivò da una lega juniores e in poche settimane si guadagnò un posto in prima linea. Rispetto alla scorsa stagione, condizionata dagli infortuni e dai noti problemi personali, Dominic ha fatto passi avanti. Lo vedo più in forma, fisica e mentale. La sua crescita, però, non è finita. Sta lavorando su sé stesso, sulla sua fiducia. Sta ancora cercando quella spensieratezza che aveva prima».
André Heim non è il primo giocatore che rientra precocemente dal Nordamerica e accusa un contraccolpo. Come si spiega?
«Avevamo già vissuto la stessa situazione con Michael Fora nel 2018. André deve digerire una forte delusione e smaltirla nella giusta maniera. A volte, per dimostrare che i giudizi sul proprio conto erano sbagliati, si tende a strafare. È il caso di Heim: vuol talmente far bene da mettersi addosso una pressione incredibile. Deve stare tranquillo, pensare a cosa può fare per aiutare la squadra. Sabato scorso contro lo Zugo l’ho visto in crescita».
Laurent Dauphin sembra ancora condizionato dal brutto fallo commesso su Tyler Moy.
«Il giorno dopo la partita di Rapperswil l’ho visto affranto. Quel periodo gli è costato tanta energia e brutti pensieri, ha ricevuto molti commenti negativi. Ha sbagliato, si è scusato, ha pagato. Ora deve andare avanti e ritrovare solidità e aggressività. Ha già dimostrato di essere un valido straniero».
Il vostro mental coach Corsin Camichel sta lavorando a livello individuale. In futuro lo sfrutterai anche per parlare alla squadra? E tu, personalmente, stai approfittando della sua presenza?
«Non credo alle magie, al guru che cambia improvvisamente lo spirito e la mentalità di uno spogliatoio. Servono costanza e regolarità. Il lavoro mentale va portato avanti individualmente, in base ai bisogni e alle caratteristiche di ognuno. Corsin lo sta facendo bene, con impegno ed entusiasmo. Io ne sto approfittando, sì. Ci siamo fatti qualche chiacchierata. Ma soprattutto percepisco l’energia che emana quando arriva».


Marchand e Brüschweiler in prestito al Visp, Hofer ai Rockets. Non temi che l’Ambrì possa perdere attrattività agli occhi dei giovani della Svizzera interna?
«No. In questi anni, ad Ambrì, si sono visti tanti esempi positivi. Purtroppo in alcuni casi le cose non hanno funzionato, ma un giovane che viene in Leventina sa di avere chance concrete di giocare e di prendersi responsabilità più grandi».
Brüschweiler in prestito al Visp e non ai Rockets. Perché?
«A Bellinzona abbiamo già tanti nostri giocatori. Inoltre, il ritorno di Heim non era previsto dal nostro budget. A livello finanziario, si cerca dunque di recuperare qualcosa».
Settimana prossima torna in pista la Nazionale. Stavolta non sarai al fianco di Patrick Fischer, ma ci interessa comunque saperne di più sul vostro rapporto.
«Fischer è passionale e creativo. Ti fa stare bene e trasmette energia positiva. È molto ambizioso, sì, ma sa che nella vita ci sono cose più importanti di una partita di hockey. Quando afferma che la Svizzera può vincere l’oro, ci crede davvero. Scherzando, gli ho detto che è già riuscito a convincere 9 milioni di persone. Gli manca solo di convincere i 25 che porterà ai Mondiali».
Vorresti allenare la Nazionale?
«Se guardo troppo lontano, io mi perdo. Sono contento, faccio quello che mi piace. Non ho sogni da realizzare se non quello di fare bene oggi e domani. Detto questo, mi sono piaciute le esperienze in Nazionale. È un altro ritmo. Hai poco tempo per lavorare, ma disponi di giocatori molto bravi e che imparano in fretta».
Nel 2003 tu e Patrick Fischer avete giocato un intero Mondiale nella stessa linea...
«Io al centro, lui e Marcel Jenni all’ala. Ripensavo alla grande linea del Lugano, con Crameri al posto mio. Io ero ancora agli inizi, cercavo di rubare il mestiere, l’esperienza. Già a quei tempi, Fischer non si poneva limiti. All’epoca battere le grandi nazioni era un miracolo. Ma lui ci credeva».
Oggi chi ti ispira?
«Nessuno in particolare, tutti in generale. Sempre più squadre mostrano il loro dietro le quinte. Cerco di cogliere ogni piccolo particolare. Nel calcio mi piace Klopp del Liverpool e seguo Gasperini all’Atalanta. Ha svolto un lavoro eccezionale in un club piccolo, che può ricordare l’Ambrì Piotta».