Luca Van Assche, un recordman a Lugano

Un anno e mezzo fa, o poco meno, era il numero 63 delle classfiche mondiali, oggi, invece, occupa la posizione numero 154 del ranking ATP. Nel tennis, si sa, i saliscendi sono continui e la maggior difficoltà non è quella di arrivare al vertice, bensì confermarsi per restarvici. La situazione in questione, è quella di Luca Van Assche e la particolarità della sua, ancor breve, storia è che il tennista francese è soltanto un classe 2004. Figlio di padre belga e madre italiana, VanAssche ha manifestato con estrema precocità il proprio talento, tanto da diventare il primo al mondo, del suo anno, a conquistare un Challenger. Tanto per intenderci, restando al recente millennio, il primo 2001 a riuscirci fu Jannik Sinner, mentre nelle annate seguenti si distinsero Lorenzo Musetti e Carlos Alcaraz. Una compagnia mica da ridere.
Ripartire dalle basi
A differenza di chi lo ha preceduto, però, Van Assche non è riuscito a dare continuità ai brillanti risultati a inizio carriera e l’apparizione, la sua prima, in Ticino è volta a riguadagnare quella fiducia perduta. «L’esordio è stato positivo, ultimamente sto cercando di cambiare il mio stile di gioco ed essere più aggressivo. Sento che, pian piano, sto migliorando, ma logicamente ci vuole del tempo. L’obiettivo non è raggiungere il ranking più alto possibile a 20 anni, bensì quando si è giunti al termine della carriera: è una maratona, non uno sprint».
Insomma, per poter fare dei passi avanti, il nativo di Woluwe-Saint-Lambert, ha deciso di farne uno indietro. Una scelta non evidente. «Mentalmente, questo processo può rivelarsi complicato, poiché per il bene futuro bisogna essere disposti a sacrificare qualcosa nel presente. La volontà assoluta, nella testa di un giocatore, è sempre quella di vincere, tuttavia, in un caso come questo bisogna saper accettare di perdere alcune partite giocando in un determinato modo per poi potersi migliorare a lungo termine». Dover riscalare le classifiche passando dai Challenger, dopo aver assaporato i maggiori tornei del circuito, non rappresenta affatto un fallimento. «Fa parte del mio processo di crescita, non significa aver sbagliato qualcosa. Anzi, a dire il vero non vinco un torneo di questa categoria da quasi due anni ma so di avere ancora parecchio tempo per tornare su certi palcoscenici».
Cambio alla guida
Ad accompagnarlo - per gran parte della sua avventura, quasi 10 anni - è stato l’allenatore Yannick Quéré. Poi, recentemente, c’è stata la svolta. Ora, infatti, è seguito dal duo italiano composto da Vincenzo Santopadre e Paolo Cannova. «Inizialmente, il cambiamento è stato abbastanza duro da metabolizzare. È normale, avevo un’infinità di abitudini che sono state modificate. Sono contento con entrambi i nuovi coach, il nostro rapporto sta procedendo ottimamente e spero che sia solo l’inizio di un lungo cammino insieme».
Santopadre, in particolare, è ben noto per la fruttuosa collaborazione avuta con Matteo Berrettini. «Matteo ha un talento davvero notevole - ha affermato il francese - ma credo che anche Santopadre abbia avuto un peso specifico non indifferente per i risultati che sono riusciti a ottenere. Lui, quindi, ha il vantaggio di aver vissuto il tour ai massimi livelli, ma non l’ho scelto guardando esclusivamente la sua precedente esperienza. Ci siamo sentiti parecchio e abbiamo avuto da subito un buon feeling. Sono aperto a un nuovo approccio, la cultura dell’allenamento resta simile ma sono convinto che possa farmi crescere e imparare molto».
L’apprendimento, d’altra parte, ricopre tuttora una parte importante del giovane di origini italo-belghe, che accanto al suo percorso da tennista professionista ha mantenuto quello scolastico. «Sì, studio matematica all’università, ma ne avrò ancora per un bel po’. Ho altri ritmi rispetto agli studenti normali, ma non ho fretta di finire prossimamente. Per i prossimi 15 anni intendo restare nel circuito, ma trovo che sia positivo occuparmi anche di altro al di fuori del tennis. Il mio obiettivo è quello di avere una diploma quando avrò terminato la carriera».
Il movimento francese
A proposito di mentori, ce n’è uno, di un certo peso, che da un paio di anni collabora con la Federazione francese, Ivan Ljubicic. «Conosce il tennis alla perfezione: ha un bagaglio di esperienza - sia da giocatore sia da coach - su cui pochi possono contare, perciò ascolto sempre con attenzione i consigli che fornisce a tutto il nostro team. Sento che crede in me e lo ha dimostrato anche fornendomi delle wild card che mi hanno aiutato tanto. È indubbiamente un buon apporto per la Federazione».
Oltre a Van Assche, il movimento transalpino - con Fils, Mpetshi Perricard e il giovanissimo Kouamé - sembra essere pronto a un ricambio generazionale importante. «Tennisticamente siamo una nazione in estrema salute e ci stimoliamo a vicenda, se i tuoi regolari compagni di allenamento raggiungono dei buoni traguardi hai un’ulteriore consapevolezza di poterci arrivare anche tu. Capisci che è possibile ottenere certi risultati. Tra i miei connazionali che sono in forma, posso citare Alexandre Müller che è appena arrivato in finale nell’ATP 500 di Rio de Janeiro».
«Fonseca è un fenomeno»
Proprio nel suo cammino verso l’ultimo atto, Müller ha sconfitto un astro nascente che da qualche settimana è sulla bocca di tutti. Quel Joao Fonseca che lo stesso Van Assche conosce bene, avendo perso contro di lui la semifinale dello scorso anno delle Next Gen Finals. «Il brasiliano è un fenomeno assoluto: a livello di gioco, maturità e atteggiamento in campo è già incredibile. Ha davvero tutte le qualità necessarie per raggiungere le primissimi posizioni mondiali. In seguito al nostro incontro di Jedda, non sono stupito da ciò che sta compiendo in questo inizio di 2025, è eccezionale ma non sorprendente».