Euro 2024

L’uomo che traduceva il tedesco di Trapattoni

Con le sue licenze poetiche, il tecnico italiano ha segnato la Germania - Dopo l’esperienza e la celebre conferenza stampa al Bayern, il Trap corresse però il tiro - Merito di Christoph Schickhardt, suo interprete nel 2005-06 allo Stoccarda: «Non aveva schemi, fu una sfida»
© EPA/BERND WEISSBROD
Massimo Solari
18.06.2024 06:00

All’ultima conferenza stampa di Murat Yakin, dopo l’esordio vincente a Euro 2024, era possibile porre domande in cinque lingue: tedesco, francese, italiano, inglese e ungherese. A tradurle, e a tradurre le successive risposte del ct, ci hanno pensato altrettanti interpreti. Mentre una speciale applicazione installata sul telefonino e delle semplici cuffiette hanno permesso a giornalisti e interlocutori di comprendere ogni parola. «E disporre dell’intera macchina UEFA, non lo nego, costituisce una situazione ideale» indica Adrian Arnold, responsabile comunicazione dell’ASF. Tutto molto bello ed efficiente. Già. In passato, quando la tecnologia non era ancora scesa in campo, la musica era invece un’altra. E la traduzione un’arte scivolosa.

Tre minuti di splendida follia

Christoph Schickhardt, in questo senso, è stato un trapezista senza rete. Nel 2005, nemmeno trentenne e grazie a un aggancio del padre, si è infatti ritrovato al fianco di Giovanni Trapattoni. Al fianco del nuovo allenatore dello Stoccarda. Per il tecnico italiano, tuttavia, non si trattava della prima esperienza in Bundesliga. No. Prima c’era stato il Bayern Monaco. Prima, dunque, c’erano stati Strunz e la celebre conferenza stampa andata in scena il 10 marzo del 1998. Allora il Trap ruppe gli argini. Il suo assistente e traduttore Massimo Morales era solito preparargli poche note, due o tre messaggi su cui insistere. Quella volta, per contro, il mister si presentò di fronte ai giornalisti con un plico di appunti. E in poco più di tre minuti regalò al calcio tedesco una delle sue pagine più pittoresche. In calce, l’iconico «Ich habe fertig!».

Chiristoph Schickhardt, dicevamo, assunse l’incarico nonostante l’ingombrante precedente. «Se ne ero al corrente? Beh, certo, da tifoso dello Stoccarda seguivo il calcio tedesco ed essendo reduce da un periodo di studi in Italia conoscevo bene anche Giovanni Trapattoni e la passione viscerale degli italiani per questo sport» osserva il diretto interessato, da noi raggiunto a Hengelberg dove da oltre dieci anni lavora nel ramo dell’etica biomedica. Schickhardt non affiancò subito l’ex del Bayern. «Dopo alcune esperienze con altri interpreti ritenute insoddisfacenti, venni chiamato in causa a campionato appena iniziato e con la squadra già in difficoltà. La tensione, insomma, non mancava. E, al proposito della pressione generata dai giornalisti, conobbi Trapattoni solo a ridosso della mia prima conferenza stampa».

«Habemus mister»

Quale, dunque, l’impatto con il famelico mondo del calcio? «Inizialmente non fu così scontato» ricorda Schickhardt. «Non sono mai stato una persona a cui piaceva apparire e di colpo mi ritrovai con le telecamere e i taccuini puntati addosso. Sì, ci è voluto un po’ di coraggio, consapevole tuttavia che il mio era un servizio al pubblico. L’attenzione mediatica, infatti, era rivolta interamente a Trapattoni». Era l’estate del 2005, appunto. E - senza con questo voler confondere sacro e profano - i ruoli si erano invertiti: la Chiesa di Roma era stata affidata a un pontefice tedesco, Joseph Ratzinger. «La società, non a caso, annunciò l’arrivo di Trapattoni con la frase “Habemus mister”» tiene a rammentare Schickhardt. «Peccato che andammo incontro a una stagione tormentata. Il che non rese più semplice il mio lavoro. A febbraio Giovanni venne allontanato. E io terminai con lui». Detto ciò, aggiunge, «mi sono identificato molto nel progetto Trapattoni. La stima era reciproca. E nei dopo partita, quando le emozioni non avevano ancora mollato la presa, ero la sua ombra. Com’è andata? Beh, è stata una sfida. Parliamo di un personaggio molto passionale. Che non si esprimeva secondo schemi predeterminati».

Un rapporto tormentato

Non solo. «Credo che Trapattoni vivesse il rapporto con la lingua in modo tormentato» indica Schickhardt: «Lungo la stagione emersero evidenti problemi di comunicazione con la squadra. Andreas Brehme era stato ingaggiato in qualità di vice proprio per dare una mano in questo senso. Da gennaio, però, venne richiesta spesso anche la mia presenza in spogliatoio. Cercai di semplificare e rendere efficace il pensiero di Trapattoni. Avvertivo la sua fiducia e pure quella dei giocatori. Ma servendosi di me per comunicare, purtroppo il Trap smarrì parte della sua spontaneità». Non tutta, quello no. «In effetti - sostiene ridendo Schickhardt - credo che molte conferenze stampa si rivelarono più divertenti delle prestazioni della squadra. Talvolta Giovanni prendeva l’iniziativa e parlava direttamente tedesco, con un mix di termini e idiomi unico nel suo genere. Non era nemmeno sempre facile seguire il filo del suo discorso, dal momento che non si arrestava dopo una o due frasi». La sfuriata del 10 marzo 1998, con addosso la tuta rossa, bianca e blu del Bayern, rimane però un pezzo da collezione.

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