L'urlo di Carlos Alcaraz conquista Wimbledon: «Ho battuto un alieno»
Uno cercava l’ottavo titolo a Londra, come Roger Federer, lo Slam numero 24 in carriera e, ancora, il primo posto nel ranking ATP. L’altro, invece, è sceso in campo con l’idea di mettere le mani sul suo primo, primissimo Wimbledon e, parallelamente, difendere il trono. Diciamolo subito: fra Novak Djokovic e Carlos Alcaraz è stata battaglia. Vera, sentita, accesa. Senza esclusione di colpi, volendo riprendere il titolo di un vecchio picchiatutto anni Ottanta con Jean-Claude Van Damme.
Alla fine, l’erba di Church Road ha sorriso al fenomeno di Murcia, classe 2003, uno US Open all’attivo se parliamo di Major prima di questa splendida affermazione. Il risultato? 1-6 7-6 (8-6) 6-1 3-6 6-4. Apoteosi assoluta, con l’altrimenti compostissimo Filippo VI di Spagna visibilmente emozionato per l’impresa del suo suddito.
La partita
Non è stata una finale nel senso classico del termine, o meglio: è stata una finale molto picchiata, fisica, con colpi violenti ancorché precisi (e, lo vedremo, anche spettacolari). Una finale che, da un lato, ha mostrato il solito Djokovic – sebbene sofferente rispetto all’avversario – e, dall’altro, ha dato modo al pubblico di ammirare una volta di più la freschezza atletica e il coraggio di Alcaraz.
Dopo aver perso, e male, il primo set, lo spagnolo ha alzato e di molto il livello del suo tennis, arrivando a vincere la seconda frazione grazie al tie break e, di nuovo, a dominare la terza, chiusa con un perentorio 6-1. Gli spettatori, in estasi, hanno sostenuto tanto l’uno quanto l’altro contendente, ma sono andati letteralmente in visibilio di fronte alle giocate, clamorose, di Alcaraz. Il quale più volte, quando lo scambio pareva perduto, ha tirato fuori conigli a ripetizione del suo cilindro fatto di potenza e talento.
Forse, l’iberico ha commesso l’errore di credere troppo nelle proprie capacità o, se preferite, di ritenere che il serbo avesse finito la benzina. Niente di tutto ciò, a immagine del break con cui – nel quarto set – Nole ha preso il largo e, soprattutto, ripreso vigore. Tornando altresì a fare smorfie e sceneggiate e, in definitiva, a indirizzare la partita con il suo linguaggio del corpo. La frazione si è chiusa con un indicativo 6-3.
Tutto rimandato al quinto set, dunque. Set in cui Djokovic ha messo in campo l’esperienza di una vita al cospetto di un Alcaraz apparso in netto calo nel quarto. Ma proprio lo spagnolo, con un sussulto di orgoglio, ha fatto capire al serbo che no, non avrebbe mollato facilmente la presa. Basti pensare al break con cui Alcaraz si è portato sul 2-1, mandando su tutte le furie Djokovic che, a mo’ di risposta, ha spaccato la racchetta. La partita, di nuovo, ha preso la via di Alcaraz, sostenuto sempre più da un pubblico che, evidentemente, ha apprezzato parecchio il suo coraggio e la sua tecnica. E che, sotto sotto, moriva dalla voglia di veder detronizzato il campione dei campioni, Djokovic appunto.
Le reazioni
«Forse avrei dovuto perdere un paio di finali in passato che poi ho vinto, come quella nel 2019 con Roger Federer» ha ammesso, con il sorriso, Djokovic a caldo, dopo aver fatto i complimenti all'avversario per la vittoria, «davvero meritata». Alcaraz, dal canto suo, ha spiegato che vincere Wimbledon «è un sogno che diventa realtà». E ancora: «Ho vinto una finale contro un alieno di questo sport, è incredibile. Anche perché sono solo un ragazzo. Sono orgoglioso di quanto fatto, della mia prestazione, di aver scritto la storia su questo campo».