Ma allora a unire le due Coree è stato (solo) uno sponsor?

Riavvolgiamo il nastro: alcuni giorni fa, sul podio del doppio misto, Corea del Nord e del Sud sono diventate una cosa sola. Grazie a un selfie. All'improvviso, il tennistavolo si è trasformato in una piattaforma politica. E diplomatica. Subito, i media hanno cavalcato quello scatto. Definendolo «storico». E potentissimo. Proprio pensando alla condizione e alla situazione dei due Paesi, vicini eppure lontani. Due Paesi che, dall'armistizio del 1953 che pose fine alla Guerra di Corea, hanno preso direzioni differenti. E che, ancora, hanno avuto poche occasioni per incontrarsi o parlarsi. Per farlo «davvero», diciamo.
La realtà, tuttavia, è decisamente meno poetica e romantica. Detto in altri termini, dietro a quella foto apparentemente spontanea c'è un rituale, oseremmo dire, commerciale. Lo smartphone con cui è stato fatto il selfie, rigorosamente color oro, appartiene a Samsung. Uno degli sponsor delle Olimpiadi di Parigi 2024. Durante la cerimonia delle medaglie, per ogni prova di ogni disciplina, un addetto consegna un telefono del costruttore sudcoreano agli atleti. Affinché, appunto, scattino un selfie-ricordo. Sui social, c'è chi ha commentato amaramente questa pratica. Definendola un obbligo ridicolo e, per certi versi, pericoloso imposto agli atleti.
Samsung, dicevamo, è sponsor di Parigi 2024. Allargando il campo, è partner «globale» (il livello più alto delle sponsorizzazioni olimpiche) da Seul 1988 e lo sarà, almeno, fino a Los Angeles 2028. Il fatto di essere partner «globale» consente all'azienda sudcoreana di imporre alcune scelte di marketing all'organizzatore di turno. A partire da Sochi 2014, ad esempio, Samsung offre suoi telefoni a tutti gli atleti. In Russia, in molti impiegarono giornate intere per capire, innanzitutto, come impostare la lingua di riferimento: di default, infatti, era impostato il cirillico. Per il 2024, leggiamo su Libération, l'azienda ha fatto le cose in grande, regalando in totale quasi 17 mila modelli «pieghevoli». L'idea più ficcante, però, è stata quella di sdoganare i Victory selfies, come li ha chiamati la stessa Samsung. Sul proprio sito web, il costruttore ha spiegato che in passato gli oggetti personali, compresi i telefoni, non erano ammessi nell'area di gara.
Evidentemente, non è obbligatorio prestarsi a questa cerimonia nella cerimonia. Nelle FAQ di Athlete365, piattaforma ufficiale degli atleti olimpici, viene precisato che, «se anche un solo atleta presente a una cerimonia di premiazione non desidera apparire nel Victory selfie», quest'ultimo viene annullato. Bene, benissimo. Resta, tuttavia, un problema (e pure bello grosso) da risolvere. Secondo la Carta Olimpica, «nessuna forma di pubblicità o di altro tipo è consentita all'interno o al di sopra degli stadi». Al contrario, sono contemplate non poche eccezioni a questo divieto. Previste dalla stessa Carta. Samsung, in ogni caso, potrebbe aver ottenuto «in via eccezionale» l'autorizzazione da parte del Comitato olimpico internazionale (CIO) o, in alternativa, lo stesso Comitato potrebbe ritenere i Victory selfies una forma di pubblicità «non evidente» e non invadente. Interpellato da Libération, il CIO non si è ancora pronunciato in merito. Ma può essere utile ricordare che un possibile strappo alla regola è rappresentato anche dai vassoi con cui vengono portate «in scena» le medaglie: sono firmati da Louis Vuitton.