Ma Gasperini fa davvero così paura? «Il mio ricordo è un altro»

Che Gian Piero Gasperini sia un tipo spigoloso, beh, lo si percepisce anche dalla televisione. Osservandolo gesticolare, sbraitare e infuriarsi in panchina. O ascoltandolo nelle interviste post partita. No, non è un allenatore che sorride molto il Gasp. Nemmeno quando vince. Figuriamoci quando perde. Di lui, al proposito, dicono che «è un rosicone». Persino presuntuoso. Che poi, da quando guida l’Atalanta, il 65.enne di Grugliasco ha abbracciato più successi che sconfitte. Dopo oltre sette anni e ben 334 gare, non a caso, la conduzione tecnica della Dea è sempre salda fra le sue mani. E il calcio proposto - foriero di terzi posti in Serie A, fasi a eliminazione diretta di Champions ed Europa League, finali di Coppa Italia e due panchine d’oro - ha raccolto attestati di stima e rispetto. «È uno dei più preparati» leggiamo. Tutto molto bello, già. Peccato a scandire questo percorso brillante siano stati anche numerosi screzi. Sia interni, con i giocatori allenati. Sia esterni, con colleghi e tifoserie. A non andarci per il sottile, nelle scorse ore, è stato Joakim Maehle, difensore trasferitosi dall’Atalanta al Wolfsburg durante l’estate. Dal ritiro della Danimarca, sua nazionale, il 26.enne ha parlato di «approccio quasi dittatoriale» e «gestione basata sulla paura» da parte di Gasperini. Boom.
Dal Papu a Demiral
Parole pesanti, sì, che Maehle ha completato con riflessioni personali ed esempi concreti. «Era così che decideva tutto. Se, ad esempio, facevamo un doppio allenamento, dovevamo restare a dormire nella struttura per la notte. Allora non ci era permesso di tornare a casa». E ancora: «Non ti senti una persona, ti senti un numero. Non hai alcun rapporto con l’allenatore. Ma lui può tormentare qualcuno per cose strane. Ad esempio, io e Hojlund andavamo insieme ad allenarci. Ma lui non voleva che guidassimo insieme. Perché così potevamo sederci, chiacchierare, divertirci. Non lo voleva e per questo sono stato rimproverato. Anche se il club mi aveva detto che potevo portare Rasmus con me agli allenamenti, perché non avevano un autista per lui».
Maehle, suggerivamo, non è l’unico calciatore ad aver cozzato con il Gasp. Per dire: a stretto giro di posta dalle sue dichiarazioni, Demiral ha confermato e rilanciato su Twitter. «È tutto vero, presto saprete» il messaggio del difensore turco, passato all’Al-Ahli dopo parecchia panchina coi bergamaschi nel girone di ritorno della scorsa stagione. Al netto delle frizioni con i vari Kjaer, Skrtel e Castagne («Gasperini? Ha problemi a controllarsi durante una partita si arrabbia con facilità» affermò il belga una volta abbracciata la Premier), il caso più eclatante coinvolse ad ogni modo il Papu Gomez. Tutto nacque a margine della sfida di Champions contro il Midtjylland, alla fine del 2020. Quella sera, stando alle rivelazioni a posteriori dell’argentino, Gasperini sfiorò l’aggressione fisica. «È un bugiardo» la replica del tecnico italiano. Si arrivò così a una sorta di ultimatum. «O io, o lui» il monito di Gomez alla società, lui idolo assoluto dei tifosi. Ebbene, Gasperini - difeso da Antonio Percassi, poco importa se mal volentieri - è ancora al suo posto, mentre il Papu venne ceduto al Siviglia e ora è un giocatore svincolato. Ex patron di Gasperini al Genoa, ieri è quindi arrivato il sostegno di Enrico Preziosi: «Avercene di dittatori come lui. La verità è che Gasp ha il suo calcio, chi si adegua bene, gli altri possono andar via».


Delli Carri: «Percepii fiducia»
Michel Morganella è abbastanza sorpreso. «Io ricordo un Gasperini molto diverso» racconta il giocatore del Chiasso, un passato importante in Italia. «Il nostro rapporto a Palermo è stato ottimo» sottolinea il 34.enne, tornando alla stagione 2012-13. «Forse alla testa dell’Atalanta è cambiato. Anche Giuseppe Pezzella, con cui ho giocato in rosanero, mi ha raccontato delle sue reazioni eccessive a Bergamo. Di un tecnico che urla spesso. Strano. Al Palermo alzava raramente la voce. Rammento una persona tranquilla, disponibile. Preferiva celare i sentimenti positivi, è vero. Ma credo facesse parte del personaggio. Poi, certo, era anche molto convinto delle proprie idee. Insomma, uno che sa esattamente cosa vuole dai suoi uomini. Che in campo chiede delle cose precise e, di riflesso, non ne accetta altre. Io questa la chiamo coerenza». Metterla in dubbio, stando alle ultime testimonianze, sembrerebbe però un atto di lesa maestà. «Beh, ma quale allenatore non accantonerebbe i giocatori che non fanno quello che si chiede loro?» osserva Morganella. Maehle non ha esitato a evocare un clima di terrore. Michel ribadisce: «No, soggezione e paura non sono sensazioni che ho provato con il mister».
Samuel Delli Carri sembra concordare. Il Gasp lo ha incrociato al Genoa, nemmeno 20.enne, tra il 2014 e il 2016. «Sulle parole di Maehle non mi esprimo» ci dice il difensore del Paradiso: «Mi limito a osservare un paio di cose. Gian Piero Gasperini sa quello che fa e, sul campo, antepone i fatti alle parole. All’epoca, come giovane calciatore percepii fiducia da parte sua. Sì, sapeva come farci crescere». Con i suoi spigoli. Sorridendo poco.