La novità

Ma il tennis dev'essere salvato? Netflix, nel dubbio, ci prova

Il 13 gennaio esce «Break Point», la serie dedicata ai protagonisti della racchetta che mira a replicare il successo e l'effetto di «Drive to survive» per la F1
Nicholas «Nick» Kyrgios, 27 anni, sarà il primo protagonista della nuova docu-serie targata Netflix. ABACA/Charles Guerin
Massimo Solari
30.12.2022 06:00

Amanti dei documentari sportivi e dello show, preparate i popcorn. E segnatevi la data: il 13 gennaio. Ad anticipare i primi contenuti su Twitter, nel frattempo, ci ha pensato uno dei protagonisti: Nicholas Kyrgios. «E dunque, dopo tutto questo, dopo che i media hanno detto che rappresento il male per lo sport, che manco di rispetto al gioco e che sono un cattivo puro, sarò protagonista dell'episodio numero 1 su Netflix». Sì, il grande tennis avrà una serie tutta per sé. Break Point, questo il titolo scelto dalla piattaforma di streaming più celebre al mondo. L’obiettivo? Replicare l’enorme successo di un’altra creatura prodotta da James Gay-Rees e Paul Martin, Drive to survive, il colpaccio - oramai prossimo alla quinta stagione - segnato dal mondo della Formula 1.

Sempre Kyrgios, in versione fumantina, ha confermato il concetto sui social media. Da un lato sottolineando come s’intenda «incrementare la base dei fan, cercando fondamentalmente di rimettere il tennis al centro del dibattito». Dall’altro rilevando come, «in sostanza, si faranno entrare più soldi nelle tasche di tutti coloro che sono coinvolti nel tennis». Inevitabile, va da sé, l’attacco finale ai propri detrattori, giornalisti in primis: «Ora, davvero, mi sembrate tutti ridicoli: le vostre scuse dovrebbero essere tanto sentite quanto lo è stata la vostra mancanza di rispetto».

Evans: «È così prevedibile»

Già, forse non il miglior modo per coinvolgere e creare le migliori premesse. Fortunatamente, a prendersi la scena e a mostrare i lati sconosciuti - e finanche oscuri - della vita del tennista, saranno anche altri profili: Felix Auger-Aliassime, Paula Badosa, Matteo Berrettini, Taylor Fritz, Ons Jabeur, Casper Ruud, Aryna Sabalenka, Maria Sakkari e Ajla Tomljanovic. E ancora Thanasi Kokkinakis, Sloane Stephens, Iga Swiatek, Frances Tiafoe, Stefanos Tsitsipas, oltre ad alcune interviste rivelatrici con Maria Sharapova, Andy Roddick e John McEnroe. S’inizia con cinque episodi, per poi riprendere in giugno con un altro, appassionante match al meglio dei cinque set. Tutti riferiti all’annata 2022. No, Rafael Nadal e Novak Djokovic non ci saranno. E, in fondo, quest’aspetto è emblematico del ricambio generazionale in atto. Non tutti, però, l’hanno presa bene. Il numero 27 della classifica ATP, Daniel Evans, non ha per esempio fatto sconti alla novità: «È così prevedibile. Si sarebbe potuto indovinare su chi avrebbero puntato. La gente vuole sapere cosa dice Nadal quando si ritira dalla semifinale di Wimbledon. E invece ci toccherà ascoltare Tsitsipas e un papà del tennis. Non fa per me. È tutto recitato, suvvia».

E dunque, dopo tutto questo, dopo che i media hanno detto che rappresento il male per lo sport, sarò protagonista dell'episodio numero 1 su Netflix. Siete davvero ridicoli
Nicholas Kyrgios, numero 22 classifica ATP

La paura di Taylor Fritz

Beh, il rischio in effetti c’è. E, al proposito, basterebbe ricordare il caso di Max Verstappen. Il pilota olandese aveva deciso di fare un passo indietro, rifiutandosi di prendere parte alla quarta stagione di Drive to survive: «Hanno simulato alcune rivalità che, in realtà, non esistono» il suo attacco ai produttori. Detto che Max potrebbe fare ritorno nella nuova stagione, uno dei soggetti di Break Point - l’americano e numero 9 al mondo Taylor Fritz - non ha nascosto i suoi timori proprio in questo senso: «Non so se voglio guardare la serie», ha dichiarato di recente al Telegraph. «Ho paura. Ho paura di come le cose possano essere tagliate. Soprattutto perché ho cercato di pormi senza filtri. Ho cercato di essere molto genuino. Ma, appunto, i registi possono suddividere le scene come vogliono».

Fritz ha quindi evocato il medesimo scenario per Kyrgios, dando indirettamente ragione a chi guarda alla serie con scetticismo. «Prendete Nick. Potrebbero tagliare le sue scene per farlo sembrare un ragazzo fantastico. Potrebbero però fare anche in modo di presentarlo come il cattivo; cosa che credo possibile solo perché è così che lo vedono molte persone nel tennis. Mentre personalmente penso che sia un grande per questo sport». Al netto delle preoccupazioni, Fritz ha comunque riconosciuto l’enorme potenziale della nuova docu-serie Netflix: «Sono entusiasta di ciò che potrebbe fare per il tennis, soprattutto negli Stati Uniti. Quello che molte persone non capiscono è che negli USA la disciplina è poco conosciuta».

Colpa della cultura della civiltà?

Se a spaventare i tennis club dell’intero pianeta è (pure) il boom del padel, in America il distacco popolare dal tennis è ricondotto altresì al ritiro di icone come Pete Sampras e Andre Agassi. Sempre Fritz ha tuttavia menzionato un’altra, possibile variabile alla base del declino: la cultura della civiltà e del rispetto che sembrerebbe dominare gli spogliatoi. E per la quale si deve molto ad atleti-gentiluomini come Roger Federer. Insomma, nulla a che vedere con i tempi rissosi di John McEnroe e Jimmy Connors. Con tutte le conseguenze del caso - almeno secondo questa corrente di pensiero - per la presa della disciplina tra i più giovani. Ecco dunque spiegata la ricerca dell’effetto Drive to survive: stando a un rapporto pubblicato nel marzo del 2021 da Nielsen Sports, a determinare il 77% della crescita annuale della Formula 1 in termini di seguito e popolarità sono d’altronde state persone di età compresa tra i 16 e i 35 anni.

«The Journeyman», l'opera pionieristica di due semisconosciuti

«Il documentario mostrerà alla gente quanto è difficile essere un giocatore di tennis: all’esterno si tende a cogliere solo il glamour e il successo, ma c’è molto altro». Stefanos Tsitsipas, uno dei prescelti, inquadra così Break Point. Quasi si trattasse di un’opera avveniristica. Eppure, oltre vent’anni fa qualcuno anticipò Netflix e i tempi. Degli antesignani, se vogliamo. Parliamo degli ex tennisti professionisti Mark Keil e Geoff Grant, attivi sul circuito ATP alla fine degli anni Novanta e registi di The Journeyman. I due americani sono stati giocatori discreti, ai quali gli scarsi guadagni bastavano sostanzialmente per viaggiare. Ancora e ancora, sempre e comunque all’ombra (o al massimo da spalla in doppio) dei più grandi. Tanto che il documentario fu promosso al pubblico anche come «la storia del peggior giocatore di sempre (Keil al no. 224, ndr) ad aver battuto Pete Sampras». «Un cult, che venne accolto bene» tiene a sottolineare lo stesso Keil, raggiunto alle Hawaii dove fa l’insegnante di tennis. Sports Illustrated, per dire, lo ha definito «uno dei documentari sportivi più audaci». Attraverso cui - proprio come Break Point - i suoi ideatori cercarono di aumentare la visibilità e la vendibilità del tennis, sviscerandone l’anima. Un lavoro per certi versi pazzesco, telecamera in mano tra un set e l’altro, durante gli allenamenti e soprattutto nell’intimità degli spogliatoi, dove campioni come Ivanisevic, Agassi, Courier e Becker accettarono di mettersi a nudo.

Siamo stati dei pionieri, con un prodotto rivoluzionario, primo nel suo genere
Mark Keil, ex tennista e regista di «The Journeyman»

Ma come fu possibile? Sentite Keil: «I giocatori si fidavano di noi e ci hanno concesso delle liberatorie. Onestamente, non credo pensassero che alla fine se ne sarebbe fatto qualcosa, ma io e Geoff eravamo organizzati e decisi a fare i registi». Il documentario - della durata di 53 minuti e disponibile su vimeo.com - «è stato trasmesso in 11 paesi» ricorda Keil. «Sì, siamo stati dei pionieri, con un prodotto rivoluzionario, primo nel suo genere, realizzato in un momento straordinario. Pensateci: siamo alla fine degli anni ‘90, ancora prima dei reality!». Ora ci risiamo. E Keil sorride: «Sono felice dell’uscita di Break Point. Penso che aumenterà il pubblico in generale, non solo quello degli appassionati di tennis. Spero solo che questa serie non sia una messa in scena: gli spettatori - in ogni caso - se ne accorgeranno. La gente è affamata di “verità”, non cerca noiosi filmati di allenamento». E se per caso rimanesse delusa, le consigliamo The Journeyman.

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