Ma perché c'è bisogno d'aggrapparsi a un seggiolino?

Umberto Saba e Albert Camus hanno dialogato a pochi anni di distanza. Cogliendo, ciascuno a suo modo, il senso del luogo e dello spettacolo ivi offerto. Il maestro triestino si affidò al Canzoniere e - nel quadro delle «Cinque poesie sul gioco del calcio» - alla Tredicesima partita: «Sui gradini un manipolo sparuto/si riscaldava di se stesso». E ancora. «Piaceva/essere così pochi intirizziti/uniti,/come ultimi uomini su un monte,/a guardare di là l’ultima gara». Lo scrittore e filosofo francese, se vogliamo, parafrasò il concetto: «Non c’è luogo dove l’uomo sia più felice che in uno stadio». Il discreto pellegrinaggio che questa mattina ha fatto tappa a Cornaredo si spiega anche così. Soprattutto così. Perché la necessità di appropriarsi di un pezzo della tribuna Monte Brè, oramai prossima alla demolizione, discende verosimilmente da un’osmosi. Quella creatasi, per poco meno di un trentennio, tra il tifoso e la casa del club amato. Tra l’uomo e lo spazio.
«Come la parrocchia»
«Esiste un forte attaccamento allo stadio, in quanto simbolo di una parte rilevante della propria esistenza» spiega l’etnologo Christian Bromberger, commentando per il CdT l’iniziativa promossa dall’FC Lugano e dall’autorità comunale. «Significa altresì incarnare una città, una comunità. Lo stadio di calcio, in questo senso, è uno dei rari emblemi che permane nel tempo. E ciò contrariamente ad altri aspetti che si modificano velocemente». Secondo l’esperto francese, «attraverso l’impianto, e quanto rappresenta per il cittadino-tifoso, si sviluppa dunque un’idea di continuità. Pensateci: siamo di fronte a un luogo - uno dei pochi - nel quale ci si è recati e ci si reca abitudinariamente, di weekend in weekend. Sì, un po’ come un tempo si faceva con la propria chiesa parrocchiale».


«La prova per sé e per gli altri»
C’è poi l’oggetto. Da sostegno elevato a segno. «Per gli abbonati in particolare - sottolinea Bromberger -, il seggiolino di sempre costituisce una testimonianza, la dimostrazione di esserci stati. Anche quando il successo si faceva desiderare, in occasione delle partite di secondo o terzo piano, sotto la pioggia, con il vento. Di nuovo: a emergere è l’attaccamento viscerale al club e, di riflesso, al suo stadio». L’oggetto - rilancia il nostro interlocutore - «segna e coltiva la memoria. Non a caso si conservano anche i biglietti di partite speciali. È una prova, per sé e per gli altri. Uno strumento d’identificazione e al contempo di legittimazione sociale. In antropologia, non a caso, l’attaccamento agli oggetti è materia ricorrente». In precedenza si parlava di osmosi. Bromberger illustra in che misura: «Sino a mezzo secolo fa, lo stesso spirito di una città riusciva a riflettersi nella squadra di riferimento. In questi casi era addirittura possibile parlare di uno stile capace di caratterizzare un club e pure il suo impianto di gioco».
Il pensiero, restando in Ticino, corre inevitabilmente alla Valascia, monumento vallerano e per certi versi arma nelle mani dell’HC Ambrì Piotta. Dopo l’ultimo ballo, consumato il 5 aprile del 2021, il commiato dalla vecchia pista dei biancoblù è stato lungo e partecipato. E pure qui gli abbonati hanno potuto portarsi a casa l’amato seggiolino. Di più: il club ha cercato altresì di monetizzare il distacco, vendendo la curva sud in dischetti di cemento, così come coltellini svizzeri con il manico in legno intarsiato e ricavato dal tetto del vecchio impianto.
Il caso del vecchio Letzigrund
L’oggetto diventa così un bene immateriale. Affettivo, di certo. «I cimeli di una società e della sua squadra hanno un prestigio indiscutibile. Un prestigio sempre più importante, aggiungerei». A sostenerlo è lo storico dello sport Michael Jucker: «A fronte delle fluttuazioni sempre più rapide che interessano rosa, staff tecnico, dipendenti e proprietari, al calcio moderno restano poche figure in cui identificarsi. Ecco: i seggiolini dello stadio, così come le divise della squadra del cuore, possono svolgere questa funzione». Dal 2019 Jucker è anche responsabile del Museo dell’FC Zurigo e, sul tema, rammenta l’esempio del vecchio Letzigrund. Prima del suo abbattimento nell’estate del 2006, i tifosi ebbero la possibilità di prelevare seggiolini, porzioni di terreno, reti delle porte e tartan. «Ancora oggi - indica - è possibile osservare questi posti numerati sui balconi della città, oltre che - ovviamente - all’interno del museo. Un condensato di simbologia, nostalgia e spettacolo». Già. E funziona.
«Il museo è uno spazio dei tifosi e per i tifosi. È stato creato con questo obiettivo e il legame fra le parti resta molto forte» assicura Jucker. C’entrano la storia e le radici, ma non solo. «Beh, i musei che custodiscono gli oggetti e i trofei di un club fungono anche da importante strumento di marketing. Di marketing storico. Qui, banalmente, vengono organizzati eventi. Attirando nuovi sostenitori e cementando l’amore per il club di quelli già esistenti. Lo Zurigo, e lo trovo un peccato, rappresenta però un’eccezione in Svizzera». Non per molto, quantomeno. La futura arena del Lugano, attesa per inizio 2026, ospiterà a sua volta uno spazio dedicato alla storia del club e ai suoi elementi distintivi.


Da simboli a siti indifferenziati
La fede può quindi perpetuarsi. E venire esercitata. «I tifosi, a giusto titolo o meno, reputano che il club appartenga loro. Il che non è vero, se non indirettamente, a livello economico» osserva l’etnologo Bromberger, la cui ultima fatica s’intitola Passion football. Anthropologie d’une pratique et d’un spectacle (2022, ed. Creaphis). «Tuttavia, e lo ribadisco, l’idea di militanza e permanenza a lungo termine, l’“io c’ero” ben prima che arrivasse una o l’altra proprietà, e “ci sarò” pure in futuro, consolida un sentimento di persistenza». Una continuità, appunto, che ogni rinnovamento infrastrutturale rischia però di spezzare. «Molte nuove arene - conferma Bromberger - si mischiano a grandi centri commerciali. Trasformandosi in luoghi indifferenziati, replicati e replicabili in numerose metropoli. Viene così meno un connotato importante, il club perde in qualche modo del substrato. Lo stesso effetto, in fondo, è provocato dal costante andirivieni di giocatori, i quali - a differenza delle bandiere del passato - attraversano la vita del club a seconda delle prestazioni». Il caro e vecchio seggiolino, invece, può essere per sempre.