Bernd Mayländer, il pilota che non subisce mai sorpassi: «Ma in pista sono comunque nervoso»
Signor Mayländer, si può dire che per lei questo è un ritorno in una terra che conosce piuttosto bene?
«Per me il Ticino è come una seconda casa. Non ci sono nato, ma ho sempre trascorso qui le mie vacanze. Sono felice di aver potuto fare questo pit stop durante il mio viaggio verso Monaco».
È questo il circuito più difficile in calendario?
«Non direi. Sicuramente è complicato, ma dipende tanto dalle condizioni esterne. Ogni tappa può rivelarsi la più complessa da gestire se accade qualcosa di imprevisto e drammatico».
Come è iniziata la sua avventura al volante della safety car?
«Innanzitutto va detto che il mondo dei motori faceva parte della mia vita ben prima di iniziare questo viaggio. Ho infatti cominciato a praticare karting quando ero piccolo. Guarda caso proprio a Gordola, nel 1984. Avevo 13 anni. Da lì non mi sono più staccato dall’automobilismo, scalando piano piano le varie categorie. Nel 1999 ho poi accettato una bella offerta per correre con Porsche in GT. La seconda gara era a Imola. Avevo centrato un’ottima pole position il venerdì pomeriggio, quando ricevetti una chiamata da un numero inglese. Ai tempi non potevo vantare tanti amici britannici, dunque non avevo idea di chi potesse essere. Era Charlie Whiting, l’allora direttore delle corse della FIA, che mi chiedeva di raggiungerlo nel suo ufficio. Pensai subito ci fosse stato un problema con la mia qualifica, forse qualcosa di illegale nella mia macchina (ride, ndr). Lo raggiunsi e lui mi chiese di diventare il nuovo pilota della safety car. Ed eccomi qui, 23 anni dopo, con la stessa emozione di allora, nonostante i circa 450 Gran Premi nel curriculum vitae»
Come si prepara in vista della corsa della domenica?
«Bevo un bicchiere di vino rosso e vado a dormire presto, cercando di fare dei bei sogni (altra risata, ndr). Scherzi a parte, sicuramente evito di fare baldoria la sera che precede il GP, specialmente a Monaco. Alle 7 di mattina iniziamo coi test, poi si va in scena con la F3, la F2 e poi la F1. Tante ore sull’attenti intercalate da pochissime pause. E a fine gara si riparte. Destinazione casa, a Stoccarda, viaggiando di notte. I ritmi sono piuttosto sostenuti, vero, ma amo ancora quello che faccio. E nonostante la tanta esperienza, non nascondo che mi innervosisco ancora quando scendo in pista».
La preparazione pre-gara subisce cambiamenti quando si tratta invece di una corsa nuova?
«Per certi versi sì. Per approcciare al meglio la nuova tappa di quest’anno a Las Vegas, per esempio, avremo a disposizione del tempo per studiare la pista in loco. Inoltre abbiamo la possibilità di conoscerla tramite i simulatori. Anche se, ammetto, non mi piacciono. Sono roba per ragazzini (ride, ndr). Alla mia età prediligo i test dal vivo».
Come mai siete in due all’interno della vettura?
«Perché uno da solo si annoierebbe (altra risata, ndr). E anche per ragioni di sicurezza. Il passeggero è responsabile delle luci e di tutte le comunicazioni con il controllo gara. Tutto va infatti appuntato e riportato al direttore della corsa. È lui che prende le decisioni e a cui noi ci rifacciamo. Quattro occhi, in questo senso, sono meglio di due».
All’interno della safety car sentite le comunicazioni radio dei piloti?
«No. Ciononostante so che in generale non sono contenti del mio arrivo (sorride, ndr), un aspetto su cui scherziamo spesso coi piloti a fine gara. Alla fine dei conti sanno che il mio scopo è mettere la sicurezza al primo posto, svolgendo al meglio il mio lavoro. In Azerbaigian, per esempio, ero particolarmente fiero di come avevo gestito la corsa. A fine gara sono dunque andato direttamente da Pérez e gli ho detto “Sergio, hai visto che oggi ho viaggiato con l’acceleratore a tavoletta?” e lui mi ha risposto: “Certo, sei stato super”. Ecco, un apprezzamento da parte dei piloti per me è come vincere un GP».
Ricorda i nomi dei protagonisti del paddock più difficili da gestire in pista?
«Schumacher spingeva tanto. Ricordo che lo vedevo sempre molto vicino nello specchietto. Lewis invece è pure peggio, riesce a finire addirittura nel mio angolo morto. E anche Max sta prendendo una brutta piega (sorride, ndr). Ciononostante va detto che, a livello personale, ho un ottimo rapporto con tutti i ragazzi».
I gentlemen invece?
«Sono tanti. Häkkinen, Coulthard, Barrichello, Vettel… E poi ci sono quelli che ti rispettano troppo, come Pérez l’anno scorso a Singapore, che si è preso secondi di penalità per essere stato troppo lontano da me (ride, ndr)».
Lei è nel mondo della F1 da tantissimi anni. Cosa può dirci del grande cambiamento che ha subìto il Circus negli ultimi tempi?
«È incredibile l’amore che provano le nuove generazioni per questo sport. L’ho toccato con mano a Austin, dopo gli anni della pandemia. C’era tantissima gente. Tutti mi riconoscevano e mi facevano una miriade di domande, anche tecniche. Incredibile. Sicuramente Netflix ci ha messo del suo, ma l’attaccamento dei giovani a questa disciplina va oltre. E io sono contentissimo di essere stato testimone di questa nuova vita della F1».
Cosa ha pensato durante il famoso GP di Abu Dhabi del 2021, quando è stato chiamato in pista?
«Domanda di riserva? (Altra risata, ndr). Nessuno vuole finire un Mondiale con la safety car, e invece è andata così. Io ero già preparato alla vittoria di Hamilton. Un successo storico che lo avrebbe fatto salire a quota 8 titoli. E poi è accaduto l’incidente di Latifi. Quando sono uscito avevo dietro Lewis, poi si è accodato Max. Diciamo che è stato uno shock essere parte di questo enorme scenario. Mi ha colpito quanto in fretta le cose possano cambiare in pista. Perdere l’ottavo Mondiale di fila all’ultimo secondo credo sia un’enorme batosta».
Torniamo alla gara di questo weekend con un pronostico: chi si imporrà a Monte Carlo?
«Mi piacerebbe fosse Alonso. Lo conosco da tempo, sarebbe fantastico. Ma penso trionferà la Red Bull».