L'intervista

Corrado Lopresto: «Le mie sono tutte vetture uniche, così come unica è la loro storia»

In occasione dell’evento Lugano Classic, abbiamo colto la palla al balzo per scambiare quattro chiacchiere con uno dei collezionisti di automobili più importanti al mondo
Maddalena Buila
05.11.2023 14:00

In occasione dell’evento Lugano Classic – un raduno di auto d’epoca e youngtimer che quest’anno ha spento tre candeline – Corrado Lopresto ha raggiunto le sponde del Ceresio, in qualità di prezioso ospite della manifestazione. Abbiamo colto la palla al balzo per scambiare quattro chiacchiere con uno dei collezionisti di automobili più importanti al mondo.

Signor Lopresto, partiamo da una domanda che probabilmente le è già stata posta parecchie volte. Ma da dove nasce questa sua passione per il collezionismo delle automobili?
«Me l’ha trasmessa mio cugino, uno dei venticinque che ho. Sono nato e cresciuto a Bagnara Calabra, accerchiato da una famiglia molto numerosa, dato che mia mamma aveva cinque sorelle. Tra loro c’era un ottimo rapporto, dunque si ritrovavano spesso e tra noi cugini si era da subito sviluppato un forte legame. Io preferivo seguire i più grandi, prediligendo le avventure di mio fratello maggiore e mio cugino, appunto. Il primo si dedicava a restaurare una moto Parilla, il secondo una Lancia Aurelia B10 di famiglia. Ai tempi era normale che le famiglie si dividessero tra due filoni, quello automobilistico o quello ferroviario. Mio padre e mio nonno lavoravano per il secondo, avendo un’impresa di costruzioni storica e nei nostri depositi e cortili avevamo dunque questo tipo di materiale legato a questa attività. A me però piacevano di più le macchine. Mi dilettavo a girare per le nostre tenute scoprendo quali vetture contenessero le stalle e i vecchi depositi. In quegli anni non c’era l’abitudine di vendere l’auto che si possedeva per comprarne un’altra. Lo si lasciava semplicemente in garage e si procedeva al prossimo acquisto. Noi ragazzi giocavamo quindi con quelli che rimanevano in giro. Io inizialmente seguivo mio cugino, che si recava fino a Napoli in treno per cercare pezzi di ricambio. A quei tempi, parlo della metà degli anni ’70, non c’era ancora il «movimento» delle auto d’epoca, ma erano solo vecchie auto che andavano a finire nelle sfasciacarrozze. I più grandi di questi, appunto, si trovavano a Napoli. Ognuno di noi cercava i pezzi che più ci interessavano ed era sempre una bella emozione scoprire il pezzo mancante. Oggi giorno posti del genere sarebbero il paradiso dei collezionisti (sorride, ndr). La mia passione è nata proprio così, con l’emozione della ricerca del pezzo di ricambio. A 18 anni mi sono poi voluto comprare la mia prima auto d’epoca. L’ho comprata grazie all’aiuto di mia mamma, non ho mai capito perché mio padre non mi ha mai voluto finanziare una lira quando si parlava di automobili. Non si tirava mai indietro quando si trattava di sponsorizzarmi, viaggi studio all’estero, corsi di scii, corsi di tennis, corsi di studi di fotografia, tutto, ma non voleva sentir parlare di macchine. Mi sono dunque preso una Balilla, il modello che costava di meno. A quel tempo ero già quasi architetto. Iniziare la mia attività di collezionista così giovane e scegliere il filone dei pezzi unici è stata la mia fortuna, perché all’epoca nessuno aveva voglia o interesse nel comprare modelli unici, avevo il monopolio assoluto. Vent’anni dopo è esplosa questa moda del design italiano e i miei one off sono diventati un pezzo di storia. Questa mia ricerca ossessiva, mi ha portato a essere considerato in tutto il mondo il cultore dell’auto unica italiana. Oggi queste collezioni particolari oltre ad essere importanti dal punto di vista economico, sono importanti dal punto di vista storico e culturale».

Quali sono i pensieri che giornalmente affollano la mente di un collezionista d’auto?
«Tanti. Specialmente di notte me ne passano moltissimi per l’anticamera del cervello. Dovrei iniziare a prendere un sonnifero, dato che mi sveglio e inizio pensare a troppe cose... l’evento da fare o la mostra da ultimare (ride, ndr). Fino a qualche mese fa avevo in giro una quarantina di auto, disegni, modelli di stile e trofei per in giro per il mondo: a Hong Kong, Singen, Bruxelles, Lucerna… Il mio pensiero va dunque ai progetti che ho sparsi per il globo. Io non colleziono solo le macchine, ma queste per me sono strumenti di studio per questo la mia è una ricerca orientata di archivi, modelli di stile e documentazione. Possiedo infatti tanti archivi, modelli di stili, disegni, materiale didattico. La mia mente va dunque a loro, perché mi piace di più la parte storica-culturale che usare le macchine su strada. Infatti, uso pochissimo le mie macchine. Non faccio eventi con tanti chilometri, ma preferisco partecipare ai concorsi d’eleganza dove c’è un confronto diretto con tante altre vetture particolari da scoprire e studiare».

Ma nel quotidiano, che auto guida Corrado Lopresto?
«Un prototipo di Lancia Kandahar di Fioravanti. È bellissima: compatta, alta con un tetto trasparente panoramico, inserti in legno, e un interno in pelle bellissimo.»

La punta di diamante della sua collezione?
«Un’Alfa Romeo 1750 Aprile. Una macchina che nasce Zagato. Nel 1931 venne ricarrozzata da Aprile di Savona. Questa macchina è stata in vendita per qualche anno, ma nessuna la voleva perché sembrava che avesse una carrozzeria del dopo guerra. A me invece piaceva, ma volevo cercare più notizie su di lei. Un giorno ero al museo dell’automobile di Torino, a fianco a me c’era Brovarone, un designer di Pininfarina. Gli dissi: «Aldo, tu conosci questa macchina?», mostrandogli la foto. Lui mi rispose: «No… però nelle linee è perfetta». Dopo un’affermazione del genere mi sono dunque nuovamente fiondato a rivedere la macchina. Ho messo in moto il motore: tutto sembrava in ordine. Poi ho visto lo sterzo… e ho comprato immediatamente la macchina. Avevo capito che si trattava del volante brevettato da uno dei grandi designer a livello mondiale: Revelli di Beaumont. Mi sono dunque recato da suo nipote, ma in archivio non abbiamo trovato nulla di utile che ci parlasse di più di questa vettura. Però lui ha riconosciuto la mano del nonno. Riuscire a trovare l’età esatta della macchina è stata un’avventura bellissima per me. Sono inizialmente risalito a tutti i proprietari della vettura, grazie ad un’agenzia investigativa che fa per me queste ricerche, finché ho trovato il figlio del proprietario che a suo tempo modificò l’automobile e mi diede la foto con suo padre mentre orgogliosamente posava appoggiato alla macchina che aveva la nuova carrozzeria. Abbiamo trovato la prova indiscutibile che questa importante Alfa Romeo era stata modificata nel ’37 e non nel dopo guerra. Morale della favola: ho condensato lo studio di vent’anni di collezionismo partendo da un dettaglio. Anche recuperare il colore originale è stata dura, ma una scoperta bellissima.

Qual è stata l’auto che le ha dato più soddisfazione ristrutturare?
«Una vettura che va a parimerito con la mia punta di diamante. Un’Alfa Romeo Giulietta Spider Bertone del 1955. Una proposta di stile di Bertone che gareggiava contro quella di Pininfarina per un nuovo spider Alfa Romeo. Un gioiellino, un pezzo unico, molto all’avanguardia. Su tutti i libri di storia dell’Alfa Romeo c’era scritto che Bertone aveva fatto due prototipi identici per questa gara, il telaio 002 e 004. La mia con il telaio 004, rispetto all’altra di Bertone, è però molto diversa: ha il muso liscio, non picchiettante, ha i fanalini invece delle pinne. Ho dunque lasciato la macchina così com’era, quando l’ho trovata. L’ho poi presentata a Villa d’Este, ma nessuno la capiva. Aveva il muso identico a quello di Zagato e sembrava impossibile che lo anticipasse di ben cinque anni. Dunque, i più la presero per una copia di Zagato. Nessuno pensava che potesse essere originale così. Dopo qualche anno, ho poi trovato la prima proprietaria della macchina, una signora di Modena. Sono dunque andato a trovarla, e lei mi ha dato una sua foto a Riccione 1956, ritraente lei giovane sposina a bordo della macchina. Per fortuna ho ritrovato questa fotografia, così ho potuto mostrare al mondo intero che la macchina era stata effettivamente disegnata proprio così già a metà degli anni ’50, pur sembrando all’avanguardia».

Lei partecipa a delle corse con le sue vetture?
«Come dicevo prima, faccio gare, sì, ma senza l’uso dei cronometri. A me piace di più studiare la carrozzeria, piuttosto che sentire il rombo del motore. Non ho macchine da corsa. Non mi interessano. Io ricerco i pezzi unici, che hanno lasciato un segno nella storia del design italiano».

Segue il mondo dei motori?
«Molto poco. In occasione della tappa di F1 di quest’anno a Monza ho però organizzato la parata dei piloti a bordo delle auto d’epoca. Ho portato 10 auto d’epoca mie e 18 di altri collezionisti, prima della partenza del Gran Premio. Non conoscevo addirittura tanti giovani piloti. Il mondo della F1 e dell’automobilismo moderno, in generale mi appassiona poco, preferisco il mondo delle gare degli anni ’50 che trovo molto più romantico».

E qual è invece l’auto più antica che possiede?
«La prima Isotta Fraschini costruita, nel 1901. Regalata da Mussolini a Henry Ford negli anni ’30 quando questi comprò le azioni della Isotta Fraschini. Era tutto pronto per l’arrivo della grande fabbrica statunitense in Italia, ma poi tutto sfumò».

Qualcuno gli ha mai chiesto di poter comprare una delle sue auto?
«Una volta uno sceicco voleva assolutamente far sua una mia vettura. Non c’è stato nulla da fare, le mie vetture non sono in vendita. Col tempo però questa voce si è sparsa, facendo mollare la presa agli interessati».

C’è una vettura che ancora vorrebbe inserire nella sua collezione?
«Direi di no. Ho fatto e comprato tutto quello che volevo. Non ho mai invidiato una macchina di qualcun altro. Più che l’aspirazione di una macchina che non ho, ho piuttosto il rimpianto di quelle che mi sono passate davanti e non sono riuscito a fare mie. Alcune perché non sono state da me subito capite, altre per mia indisponibilità finanziaria (avevo un’impresa da gestire…). Sono soddisfatto di quello che ho».