Corrado Lopresto: «Le mie sono tutte vetture uniche, così come unica è la loro storia»

In occasione dell’evento Lugano Classic – un raduno di auto d’epoca e youngtimer che quest’anno ha spento tre candeline – Corrado Lopresto ha raggiunto le sponde del Ceresio, in qualità di prezioso ospite della manifestazione. Abbiamo colto la palla al balzo per scambiare quattro chiacchiere con uno dei collezionisti di automobili più importanti al mondo.
Signor Lopresto, partiamo da una
domanda che probabilmente le è già stata posta parecchie volte. Ma da dove
nasce questa sua passione per il collezionismo delle automobili?
«Me l’ha trasmessa mio cugino,
uno dei venticinque che ho. Sono nato e cresciuto a Bagnara Calabra,
accerchiato da una famiglia molto numerosa, dato che mia mamma aveva cinque
sorelle. Tra loro c’era un ottimo rapporto, dunque si ritrovavano spesso e tra
noi cugini si era da subito sviluppato un forte legame. Io preferivo seguire i
più grandi, prediligendo le avventure di mio fratello maggiore e mio cugino,
appunto. Il primo si dedicava a restaurare una moto Parilla, il secondo una
Lancia Aurelia B10 di famiglia. Ai tempi era normale che le famiglie si
dividessero tra due filoni, quello automobilistico o quello ferroviario. Mio
padre e mio nonno lavoravano per il secondo, avendo un’impresa di costruzioni
storica e nei nostri depositi e cortili avevamo dunque questo tipo di materiale
legato a questa attività. A me però piacevano di più le macchine. Mi dilettavo
a girare per le nostre tenute scoprendo quali vetture contenessero le stalle e
i vecchi depositi. In quegli anni non c’era l’abitudine di vendere l’auto che
si possedeva per comprarne un’altra. Lo si lasciava semplicemente in garage e si
procedeva al prossimo acquisto. Noi ragazzi giocavamo quindi con quelli che
rimanevano in giro. Io inizialmente seguivo mio cugino, che si recava fino a
Napoli in treno per cercare pezzi di ricambio. A quei tempi, parlo della metà
degli anni ’70, non c’era ancora il «movimento» delle auto d’epoca, ma erano
solo vecchie auto che andavano a finire nelle sfasciacarrozze. I più grandi di
questi, appunto, si trovavano a Napoli. Ognuno di noi cercava i pezzi che più
ci interessavano ed era sempre una bella emozione scoprire il pezzo mancante.
Oggi giorno posti del genere sarebbero il paradiso dei collezionisti (sorride,
ndr). La mia passione è nata proprio così, con l’emozione della ricerca del
pezzo di ricambio. A 18 anni mi sono poi voluto comprare la mia prima auto d’epoca.
L’ho comprata grazie all’aiuto di mia mamma, non ho mai capito perché mio padre
non mi ha mai voluto finanziare una lira quando si parlava di automobili. Non
si tirava mai indietro quando si trattava di sponsorizzarmi, viaggi studio
all’estero, corsi di scii, corsi di tennis, corsi di studi di fotografia,
tutto, ma non voleva sentir parlare di macchine. Mi sono dunque preso una
Balilla, il modello che costava di meno. A quel tempo ero già quasi architetto.
Iniziare la mia attività di collezionista così giovane e scegliere il filone
dei pezzi unici è stata la mia fortuna, perché all’epoca nessuno aveva voglia o
interesse nel comprare modelli unici, avevo il monopolio assoluto. Vent’anni
dopo è esplosa questa moda del design italiano e i miei one off sono diventati
un pezzo di storia. Questa mia ricerca ossessiva, mi ha portato a essere considerato
in tutto il mondo il cultore dell’auto unica italiana. Oggi queste collezioni
particolari oltre ad essere importanti dal punto di vista economico, sono
importanti dal punto di vista storico e culturale».
Quali sono i pensieri che
giornalmente affollano la mente di un collezionista d’auto?
«Tanti. Specialmente di notte me
ne passano moltissimi per l’anticamera del cervello. Dovrei iniziare a prendere
un sonnifero, dato che mi sveglio e inizio pensare a troppe cose... l’evento da
fare o la mostra da ultimare (ride, ndr). Fino a qualche mese fa avevo in giro
una quarantina di auto, disegni, modelli di stile e trofei per in giro per il
mondo: a Hong Kong, Singen, Bruxelles, Lucerna… Il mio pensiero va dunque ai
progetti che ho sparsi per il globo. Io non colleziono solo le macchine, ma queste
per me sono strumenti di studio per questo la mia è una ricerca orientata di
archivi, modelli di stile e documentazione. Possiedo infatti tanti archivi,
modelli di stili, disegni, materiale didattico. La mia mente va dunque a loro,
perché mi piace di più la parte storica-culturale che usare le macchine su
strada. Infatti, uso pochissimo le mie macchine. Non faccio eventi con tanti
chilometri, ma preferisco partecipare ai concorsi d’eleganza dove c’è un
confronto diretto con tante altre vetture particolari da scoprire e studiare».
Ma nel quotidiano, che auto guida
Corrado Lopresto?
«Un prototipo di Lancia Kandahar di
Fioravanti. È bellissima: compatta, alta con un tetto trasparente panoramico,
inserti in legno, e un interno in pelle bellissimo.»
La punta di diamante della sua collezione?
«Un’Alfa Romeo 1750 Aprile. Una
macchina che nasce Zagato. Nel 1931 venne ricarrozzata da Aprile di Savona.
Questa macchina è stata in vendita per qualche anno, ma nessuna la voleva
perché sembrava che avesse una carrozzeria del dopo guerra. A me invece piaceva,
ma volevo cercare più notizie su di lei. Un giorno ero al museo dell’automobile
di Torino, a fianco a me c’era Brovarone, un designer di Pininfarina. Gli
dissi: «Aldo, tu conosci questa macchina?», mostrandogli la foto. Lui mi
rispose: «No… però nelle linee è perfetta». Dopo un’affermazione del genere mi
sono dunque nuovamente fiondato a rivedere la macchina. Ho messo in moto il
motore: tutto sembrava in ordine. Poi ho visto lo sterzo… e ho comprato immediatamente
la macchina. Avevo capito che si trattava del volante brevettato da uno dei
grandi designer a livello mondiale: Revelli di Beaumont. Mi sono dunque recato da
suo nipote, ma in archivio non abbiamo trovato nulla di utile che ci parlasse
di più di questa vettura. Però lui ha riconosciuto la mano del nonno. Riuscire
a trovare l’età esatta della macchina è stata un’avventura bellissima per me. Sono
inizialmente risalito a tutti i proprietari della vettura, grazie ad un’agenzia
investigativa che fa per me queste ricerche, finché ho trovato il figlio del
proprietario che a suo tempo modificò l’automobile e mi diede la foto con suo
padre mentre orgogliosamente posava appoggiato alla macchina che aveva la nuova
carrozzeria. Abbiamo trovato la prova indiscutibile che questa importante Alfa
Romeo era stata modificata nel ’37 e non nel dopo guerra. Morale della favola:
ho condensato lo studio di vent’anni di collezionismo partendo da un dettaglio.
Anche recuperare il colore originale è stata dura, ma una scoperta bellissima.
Qual è stata l’auto che le ha
dato più soddisfazione ristrutturare?
«Una vettura che va a parimerito
con la mia punta di diamante. Un’Alfa Romeo Giulietta Spider Bertone del 1955. Una
proposta di stile di Bertone che gareggiava contro quella di Pininfarina per un
nuovo spider Alfa Romeo. Un gioiellino, un pezzo unico, molto all’avanguardia.
Su tutti i libri di storia dell’Alfa Romeo c’era scritto che Bertone aveva
fatto due prototipi identici per questa gara, il telaio 002 e 004. La mia con
il telaio 004, rispetto all’altra di Bertone, è però molto diversa: ha il muso
liscio, non picchiettante, ha i fanalini invece delle pinne. Ho dunque lasciato
la macchina così com’era, quando l’ho trovata. L’ho poi presentata a Villa
d’Este, ma nessuno la capiva. Aveva il muso identico a quello di Zagato e
sembrava impossibile che lo anticipasse di ben cinque anni. Dunque, i più la
presero per una copia di Zagato. Nessuno pensava
che potesse essere originale così. Dopo qualche anno, ho poi trovato la prima
proprietaria della macchina, una signora di Modena. Sono dunque andato a
trovarla, e lei mi ha dato una sua foto a Riccione 1956, ritraente lei giovane
sposina a bordo della macchina. Per fortuna ho ritrovato questa fotografia,
così ho potuto mostrare al mondo intero che la macchina era stata
effettivamente disegnata proprio così già a metà degli anni ’50, pur sembrando
all’avanguardia».
Lei partecipa a delle corse con
le sue vetture?
«Come dicevo prima, faccio gare,
sì, ma senza l’uso dei cronometri. A me piace di più studiare la carrozzeria,
piuttosto che sentire il rombo del motore. Non ho macchine da corsa. Non mi
interessano. Io ricerco i pezzi unici, che hanno lasciato un segno nella storia
del design italiano».
Segue il mondo dei motori?
«Molto poco. In occasione della
tappa di F1 di quest’anno a Monza ho però organizzato la parata dei piloti a
bordo delle auto d’epoca. Ho portato 10 auto d’epoca mie e 18 di altri
collezionisti, prima della partenza del Gran Premio. Non conoscevo addirittura
tanti giovani piloti. Il mondo della F1 e dell’automobilismo moderno, in
generale mi appassiona poco, preferisco il mondo delle gare degli anni ’50 che
trovo molto più romantico».
E qual è invece l’auto più antica
che possiede?
«La prima Isotta Fraschini
costruita, nel 1901. Regalata da Mussolini a Henry Ford negli anni ’30 quando
questi comprò le azioni della Isotta Fraschini. Era tutto pronto per l’arrivo
della grande fabbrica statunitense in Italia, ma poi tutto sfumò».
Qualcuno gli ha mai chiesto di
poter comprare una delle sue auto?
«Una volta uno sceicco voleva
assolutamente far sua una mia vettura. Non c’è stato nulla da fare, le mie
vetture non sono in vendita. Col tempo però questa voce si è sparsa, facendo mollare
la presa agli interessati».
C’è una vettura che ancora
vorrebbe inserire nella sua collezione?
«Direi di no. Ho fatto e comprato
tutto quello che volevo. Non ho mai invidiato una macchina di qualcun altro. Più
che l’aspirazione di una macchina che non ho, ho piuttosto il rimpianto di
quelle che mi sono passate davanti e non sono riuscito a fare mie. Alcune
perché non sono state da me subito capite, altre per mia indisponibilità finanziaria
(avevo un’impresa da gestire…). Sono soddisfatto di quello che ho».