Mario Andretti: «Il Mondiale? Lo vince la Ferrari»
La Formula Uno fa tappa a Miami per la prima volta. Un evento superlusso che promette grandi emozioni in pista e fuori. Recentemente in America l’interesse per la F1 è esploso. Abbiamo fatto una chiacchierata su questo, e tanto altro, con l’ex campione italo-americano Mario Andretti, vincitore del Mondiale nel 1978.
Signor Andretti, sappiamo che il suo legame con il mondo della F1 è rimasto
molto forte. Recentemente anche tutto il popolo a stelle e strisce sembra aver
maturato un enorme interesse per questo sport.
«La Formula Uno in questi anni sta godendo di una fama a livello globale
senza precedenti, soprattutto in America. La ragione è da ricercarsi nella
docu-serie di Netflix Formula 1: Drive to survive, che ha portato gli
statunitensi ad affezionarsi molto ai piloti protagonisti. Questo ha portato la
FIA ad inserire una terza tappa su suolo americano, quella di Las Vegas del
2023. Anche i risultati della Ferrari hanno sicuramente influito sull’aumento
dell’audience. Il tifo per il Cavallino è mondiale».
Parliamo allora un po’ di questa terza tappa americana. La F1, a differenza
di Miami, a Las Vegas c’è già stata, nel 1981 e nel 1982. E Mario Andretti
c’era. Che tipo di GP era quando lei gareggiava per l’Alfa Romeo e, l’anno
dopo, per la Williams?
«In quegli anni il circuito era costruito intorno al Caesars Palace, ma era
un tracciato banale e troppo stretto. Quello dell’anno prossimo sarà tutt’altra
cosa. Si mostrerà al mondo la vera Las Vegas, che metterà in scena un grande
spettacolo».
Lei sarà presente al GP di questo weekend? Cosa si aspetta dal circuito di
Miami Gardens?
«Eccome se ci sarò. Penso che sarà un Gran Premio che regalerà spettacolo.
Pare che ci saranno grandi barche a richiamare le atmosfere di Monte Carlo, ma
sarà un circuito che non avrà nulla da spartire
con quello del Principato di Monaco. Io conosco bene gli organizzatori
del GP di Miami e so che hanno investito davvero molto per presentare al mondo
un bellissimo evento. Anche la pista sembra essere spettacolare e i piloti ne
sono entusiasti».
Un crescente interesse americano per la F1 che però non è paragonabile al
numero di campioni sfornati dalla Nazione a stelle e strisce. Forse le cose
potrebbero cambiare in futuro.
«Io penso di sì. Ho un esempio proprio tra le mura di casa che conferma la
mia opinione. Mio figlio Michael, attualmente socio della società
automobilistica Andretti Autosport, da qualche tempo è fermamente intenzionato
a portare almeno uno o due talenti americani nel mondo della Formula Uno. Il
fatto è che in America ci sono altre massime categorie di motori, quali la
IndyCar o la NASCAR, dove i piloti possono fare una bella e completa carriera
senza spostarsi troppo. Il problema della F1 è che, se non sei inserito in un
team di vertice, non hai possibilità di portare a casa un grande risultato. Ma
penso che nel futuro questi aspetti cambieranno, vedendo il tifo così
importante che si sta sviluppando in America».
Facciamo un salto nel tempo tornando a quando lei gareggiava. La F1 di oggi
è cambiata molto rispetto a quella di allora. La tecnologia sta prendendo
sempre più piede. Il ruolo del pilota, un tempo anche legato a quello dei
meccanici, è diventato di conseguenza meno importante?
«La F1 è sempre stata in evoluzione negli anni. Sicuramente al giorno
d’oggi si usa molto di più la tecnologia rispetto a qualche tempo fa. Il pilota
si appoggia certamente molto sugli ingegneri che sono informati di tutto ciò
che accade sull’automobile. La parte umana però è rimasta invariata. Lo scopo è
spingere il mezzo al massimo. Il pilota rimane la figura che più conta. I
regolamenti cercano inoltre sempre una strada intermedia tra il permettere di
portare la vettura al culmine e il mantenere invariato il ruolo del
pilota».
L’apice della sua carriera in Formula Uno è stato vincere il titolo
Mondiale nel 1978 con la Scuderia Lotus. Le mancano i momenti in cui sfrecciava
a tutta velocità in pista?
«Direi di sì. Il ricordo più bello che serbo di quel periodo è la mia
vittoria al Gran Premio d’Italia, dove sostanzialmente è nato il mio sogno di
vincere con la Ferrari. Un altro bellissimo ricordo risale al 1982, quando ho
potuto correre per il Cavallino che era rimasta orfano di Didier Pironi. Molto
emozionante per me è stato anche chiudere la carriera con la Rossa. Purtroppo
non sono più salito su un’automobile di F1 dopo il mio ritiro, ma ultimamente
la McLaren mi ha promesso di fare una prova il prossimo ottobre con una vettura
dell’anno scorso. Non vedo l’ora di cogliere quest’opportunità. Io, in ogni
caso, mi tengo allenato. Guido sempre, anche le biposto».
Un inizio col botto per la sua amata Rossa. È contento dell’avvio di
stagione della Scuderia del Cavallino?
«Sono molto contento che Leclerc sia in testa alla classifica. Anche Sainz
è bravo. Sono due piloti molto capaci. I due protetti di Maranello infondono
tanta fiducia a tutti noi tifosi della Rossa. L’inizio di stagione ha sorpreso
sì e no. Si sapeva che la Ferrari prima o poi avrebbe iniziato a macinare
risultati. Non riposano mai. Hanno sfruttato i regolamenti meglio degli altri.
In ogni caso è importantissimo per la F1 avere un Cavallino competitivo. La
Formula Uno non può esistere senza la Ferrari che, senza ombra di dubbio,
quest’anno conquisterà il Mondiale con Charles Leclerc».
Oltre alla passione per la Rossa, lei ha anche quella enologica. Come va la
produzione di vino della sua azienda Andretti winery nella Napa Valley?
«A me piace solo bere (ride ndr). Il resto lo lascio ai
miei esperti. Io sono il degustatore: mi occupo di assaggiare i vini, se mi
piacciono vanno bene così, altrimenti cambiamo qualcosa».
La parola all'inviata della CNN
Mancano solo due giorni alla partenza del quinto Gran Premio di stagione, quello di Miami. Come già detto in più occasioni, il circuito è nuovo. Ben conosciuta, invece, è la relazione tra la città della Florida e le automobili di lusso. «In generale, tutti gli americani amano le automobili. Miami, in particolare, ha un debole per le “supercar” - ci spiega l’inviata della CNN in Florida Amanda Davies -. Inoltre negli States siamo abituati a grandi gare automobilistiche, come la 500 Miglia di Indianapolis o le corse NASCAR». Il recente amore sbocciato tra gli americani e la Formula Uno pare in gran parte essere frutto della docu-serie di Netflix Formula Uno: Drive to survive. Ma forse le ragioni non sono da ricercarsi solo qui. «Diciamo che il documentario di Netflix è arrivato al momento giusto - continua Amanda Davies -, ma non è l’unico attore in scena. Innanzitutto va detto che già negli anni ‘50 l’America poteva vantare di un’audience importante. Ciò che ha però fatto la differenza, è stata la compagnia Liberty Media, che ha acquistato la Formula Uno nel 2016, dandole sempre più valore e puntando anche sul divertimento al di fuori del puro agonismo. Anche Michael Andretti è intenzionato a dare maggior lustro alla F1 americana. È sua intenzione portare un nuovo team, con piloti statunitensi, in F1. Ciononostante, come ha anche precisato il presidente della F1 Stefano Domenicali, non vuol dire che verrà messo in pista il primo pilota che capita. Ogni procedura verrà rispettata e il pilota scelto sarà il migliore in circolazione. Non dimentichiamoci inoltre che la F1 in America deve competere con campionati quali NFL, NBA, NMB, NHL e MLS». Ciononostante ora gli Stati Uniti possono vantare due tappe di F1 e, dall’anno prossimo, addirittura tre. «Nessuno sa cosa organizzerà la città del divertimento - commenta Amanda Davies -. Sicuramente il GP di Las Vegas sarà spettacolare, forse anche di più di quello di Miami».
Costi alti, ma nella norma
Tornando al Gran Premio di questo weekend, il pieno
di emozioni sembra garantito, anche se assistervi in prima persona, non sarà
accessibile a tutti. I costi dei biglietti, e soprattutto degli hotel, è
decisamente elevato. Non c’è il rischio di far diventare le tappe del Mondiale
degli appuntamenti solo per ranghi più elevati della società? «I prezzi sono
sicuramente elevati, ma d’altronde la F1 è sempre stata un evento sportivo
d’élite - continua Amanda Davies -. Il costo dei biglietti non è tanto diverso
rispetto a quelli dell’NBA». Dato che si trova a due passi dalla pista e dai
piloti, chiediamo ad Amanda Davies quali sono state le loro prime impressioni.
«Mi sembrano entusiasti. La pista è nuova, è vero, ma si sono allenati tanto al
simulatore. Inoltre la caratteristica principale dei team di F1 è
l’adattamento. Riescono a trovare una soluzione a tutto». Un’ultima battuta sui
primi quattro GP di stagione e sul Mondiale che ci aspetta. «Le prime gare
hanno già regalato tantissime emozioni. È difficile fare un pronostico, ma
prevedono una battaglia tra Charles Leclerc (a 27 punti di vantaggio
sull’olandese) e Max Verstappen, un po’
come quella dell’anno scorso tra l’olandese e Lewis Hamilton», chiosa Amanda
Davies.