Verstappen e una lezione d'altri tempi
Era uscito di scena, le critiche stavano prendendo il sopravvento su tutto quanto di buono cercava di fare. E qualcuno cominciava davvero a pensare che il suo quarto titolo mondiale fosse in bilico. Poi ecco la pioggia, nemica delle macchine, terrore dei piloti meno temerari, esaltazione per chi invece la vede come un’occasione per pareggiare i conti con chi dispone di un’auto superiore. E la Formula 1 è tornata ad avere il suo re, il suo punto assoluto di riferimento. Max Verstappen è risalito sul gradino più alto dopo dieci gran premi e probabilmente non aspettava che un diluvio come quello di Interlagos per mettere a tacere chi stava dubitando di lui, auspicandone un progressivo declino. Sulla pista allagata dove gli altri sono andati a sbattere o sono volati fuori senza sapere perché, Max ha dato una lezione d’altri tempi, guidando come i migliori Senna o Schumacher, compiendo il prodigio di vincere pur scattando dalla 17. posizione in griglia. Fosse partito in prima fila, avrebbe dato un giro a tutti o quasi, come Senna, appunto, al debutto con la Lotus in Portogallo nel lontanissimo 1985. Max lo ha fatto con una macchina, la Red Bull, che nelle sue mani è apparsa perfetta, ma con la quale il compagno di squadra Perez ha rimediato un distacco vicino al minuto.
Gli altri? Scomparsi. Uno in particolare, Lando Norris, il rivale per il titolo, la cui McLaren aveva assetto e caratteristiche per poter vincere. E invece, una volta di più, l’inglesino ha sbagliato la partenza e da quel momento in poi è stato un disastro: sesto sotto la bandiera a scacchi a 31’’3 da colui che avrebbe dovuto spodestare dal trono. Oramai il suo è un caso da psicoterapeuta, perché Norris ha talento e coraggio: poche ore prime della gara, nel nubifragio, aveva ottenuto una pole position strepitosa, a dimostrazione di doti notevoli. Poi, però, quando deve esprimersi in gara, sotto stress, diventa un pulcino impaurito che annaspa, incespica, si distrae per accumulo di tensione. Il talento c’è, la mente per diventare campione invece latita. A questo punto la corsa per il titolo è una formalità, perché Verstappen già nella prossima gara a Las Vegas, fra tre settimane, potrà festeggiare. Un mondiale meritatissimo, con la solita riserva dovuta al fatto che Max è indubbiamente l’uomo simbolo di questa era della Formula 1, ma col vizietto della scorrettezza sempre a portata di mano che dà fastidio, urtica, rovina una immagine che dovrebbe essere ben diversa. A Interlagos tutto è filato liscio, non c’è stato un solo sorpasso di Verstappen che sia stato messo sotto la lente d’ingrandimento, perché tre giorni prima gli era stato detto che qualunque sgomitata gli sarebbe costata cara. Max si è adeguato, è stato «pulito» e ha vinto lo stesso: perché non lo fa sempre?
La netta superiorità dell’olandese ha messo in ombra tutti. Dov’era la Ferrari dominatrice dei due gran premi precedenti? Scomparsa nelle nebbie: Sainz due volte a muro, cosa strana per uno che ama la pioggia; Leclerc invisibile dietro ai primi, quinto a mezzo minuto. Assetti sbagliati, strategie sbagliate, ma nonostante i 9 punti persi nei confronti della McLaren, la squadra di Maranello resta in lotta per il mondiale costruttori a tre gare dal termine. Benino è andata la Mercedes di Russell, al comando nei primi 27 passaggi e poi quarta. Ma Hamilton invece non c’è stato ed apparso il fantasma di se stesso, sempre a disagio sulla pista di San Paolo: una resa che nessuno poteva immaginare. È emersa invece la Alpine, che sino a domenica navigava a fondo gruppo, esaltata stavolta dall’attitudine di guida sotto la pioggia da parte di Ocon (secondo) e Gasly (terzo).
È stato un bellissimo GP del Brasile, purtroppo disturbato dall’incertezza dagli uomini della Federazione, che hanno creato scompiglio nell’applicazione delle regole, nell’interpretazione di certi episodi, nel dubbio se punire o meno tizio o caio. Una pessima immagine, difficile da curare in tempi brevi