Murat Yakin e un destino segnato?

Sarà la rete trovata da Shon Weissman al minuto 88, nell’incontro andato in scena in Ungheria, a segnare il destino di Murat Yakin? Una cosa è certa: l’ennesimo pareggio, stavolta arrivato sul terreno neutro di Felcsút contro il fragile Israele per 1-1, fa vacillare la posizione dell’allenatore svizzero. E parecchio.
La prestazione mostrata nel secondo tempo dalla squadra svizzera, ieri, resterà infatti uno dei più grandi enigmi della storia. Come ha potuto un undici composto da ben quattro giocatori che militano in Bundesliga e in Serie A, due protagonisti della Premier League e uno della League 1 crollare in modo così clamoroso contro un avversario che aveva fatto vedere tutti i suoi limiti prima della pausa? Una domanda a cui, appunto, si fatica a dare risposta. Anche se la qualificazione diretta è ancora alla portata dei rossocrociati – un pareggio sarà infatti sufficiente sabato contro il Kosovo a patto che Israele non vinca contro la Romania –, la Svizzera si trova di fronte a un momento decisamente critico. Mentre fino alla scorsa settimana l’Associazione Svizzera di Football (ASF) era ancora intenzionata a continuare l’avventura con Murat Yakin oltre Euro2024, dopo la prestazione degli elvetici sul neutro ungherese appare chiaro che il futuro della Svizzera dovrà essere scritto in modo diverso da come lo si immaginava fino a qualche giorno fa.
La sfiducia dello spogliatoio
Ciò che maggiormente preoccupa, un aspetto da cui poi nascono le difficoltà in campo e l’assenza di vittorie da troppe partite a questa parte, è però da ricercare all’interno dello spogliatoio rossocrociato. Non si può infatti più continuare a pensare di proseguire il proprio cammino con un allenatore che deve fare i conti con la sfiducia dei suoi due leader in campo. Manuel Akanji e Granit Xhaka, a Felcsút, non hanno per nulla dato l’impressione di aver abbracciato pienamente il piano di gioco del tecnico 49.enne. L’atteggiamento, e di conseguenza la prestazione, con cui sono scesi in campo nel secondo tempo del match contro Israele solleva svariate domande. Non sarebbero dovuti essere loro i primi ad assumersi le loro responsabilità? Non avrebbero dovuto dare l’esempio e richiedere al contempo un impegno maggiore da parte dei compagni di squadra?
Se tutto ciò non si è visto, non si può che dedurne che il difensore e il capitano elvetici siano ormai visibilmente stanchi dello stile di gestione dei match della Nazionale. All’inizio del suo mandato, questo gli va riconosciuto, Murat Yakin aveva subito convinto, centrando una quasi inaspettata qualificazione diretta ai Mondiali del 2022. Poi però, col passare del tempo, l’ex tecnico dello Sciaffusa ha perso il tocco magico. Ciò che maggiormente gli si recrimina, in questo senso, è la costruzione delle sue liste di convocati, che sa quasi di dilettantismo. Il tecnico rossocrociato era infatti già partito per il Qatar con un solo terzino destro. Per questo raduno di novembre, il 49.enne di Basilea ha fatto però ancora meglio, anzi peggio, evitando di convocare uno specialista di ruolo nel suo contingente di 24 elementi. L’espulsione di mercoledì sera di Edimilson Fernandes, il suo terzino destro di ripiego, lo lascia di conseguenza in difficoltà.
Un bel pasticcio
In qualità di responsabile delle squadre nazionali, Pierluigi Tami ha, dal canto suo, anche lui una dose di responsabilità in questo bel pasticcio. La Svizzera, lo ricordiamo, ha iniziato il suo cammino della fase a gironi verso Euro2024 con tre vittorie, per poi trovare la via del successo solo in una delle cinque partite successive. Tornando al discorso dei convocati, il direttore delle squadre nazionali avrebbe dunque dovuto pretendere che il suo allenatore inserisse un terzino destro in rosa, per evitare che si ripetesse il brutto film visto in occasione degli ottavi di finale del Mondiale, quando il ritiro di Widmer costrinse ad affrontare il Portogallo con una difesa a tre. Anche se un tale interventismo avrebbe significato oltrepassare i suoi doveri, Pierluigi Tami avrebbe dovuto agire. Ora è troppo tardi per spegnere l’incendio. La casa è in fiamme.