Nella tana del «Çarşi», il gruppo organizzato che irrita il sultano

Recep Tayyip Erdogan non lo ammetterà mai. Ogni club storico di Istanbul, d’altronde, rappresenta un bacino elettorale tutto fuorché secondario. Se - in segreto - dovesse puntare il dito contro la squadra più odiata, tuttavia, il sultano non avrebbe dubbi. Il Besiktas, già. Con la sua frangia più calda di tifosi. A riunirla, dal 1982, è il gruppo denominato «Çarşi». Quest’ultimo, nella primavera del 2013, fu in prima linea nel contestare i piani del governo Erdogan, all’epoca premier turco. La riqualifica e la cementificazione del Gezi Park, per la precisione, costituirono una delle micce della rivolta.
Anarchici e proiezione moderna dell’anima proletaria della società polisportiva più antica del Paese, i membri del «Çarşi» riuscirono in un’altra impresa. Unire, nei tumulti, i tifosi di Besiktas, Galatasaray e Fenerbahçe. Anche di qui l’irritazione e la massima diffidenza di Erdogan, finito poi nel mirino per aver arrestato e processato 35 tifosi delle «Aquile nere». Grave l’accusa: tentativo di rovesciamento del governo.
Il gelo tra le parti venne confermato nell’aprile del 2016. Quando fu inaugurato il nuovo Vodafone Park. Erdogan, in precedenza, non aveva mancato di strigliare la presidenza del club, ricordando i milioni messi sul tavolo per i lavori di ammodernamento dell’impianto. La cerimonia, quindi, si svolse a porte chiuse. All’interno tribune deserte, all’esterno i tifosi decisi a manifestare ma tenuti sotto controllo dalle forze dell’ordine. «Çarşi is against everything» è, non a caso, lo slogan fatto proprio dai supporter più viscerali del Besiktas. La squadra, leggiamo, più surreale al mondo. Il sultano Erdogan la detesta. All’opposto, si sussurra che Mustafa Kemal Atatürk - padre della Repubblica di Turchia - simpatizzasse proprio per lei.