Olimpiadi e Russia, clima da guerra fredda più che da Giochi

Mancano meno di quattro mesi alle Olimpiadi. E sull’asse Parigi-Losanna-Mosca, in queste ore, non si parla d’altro. A tenere banco, purtroppo, non sono lo sport, la vendita dei biglietti o ancora l’esplosione dei prezzi in vista dell’evento nella Ville Lumière. No. Tra il Comitato internazionale olimpico (CIO) e la Russia è in atto una violenta escalation verbale. Proviamo a spiegarne genesi e ragioni.
Dunque, come mai CIO e autorità russe sono tornate a darsi battaglia a suon di comunicati, prese di posizione ufficiali e singole bordate?
Dopo settimane di calma apparente, martedì - 19 marzo - il CIO ha battuto due colpi non indifferenti. A sferrare il primo è stata la sua Commissione esecutiva, annunciando sia come sarà valutata l’ammissibilità ai Giochi dei singoli atleti qualificati e in possesso di un passaporto russo o bielorusso, sia a quali condizioni sarà concessa loro la presenza alla cerimonia d’apertura (vedi la domanda numero 4). A indispettire il Cremlino, però, è stata pure una nota del CIO, nella quale si condanna fermamente «la politicizzazione dello sport» promossa da Mosca. Il motivo? L’intenzione russa - con tanto di decreto già emesso in autunno - di organizzare i «Giochi dell’amicizia». Per concretizzare questo (contro)evento a margine delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi, «il Governo russo - sentenziano da Losanna - ha lanciato un’offensiva diplomatica molto intensa facendo sì che delegazioni governative e ambasciatori, nonché autorità ministeriali e altre autorità si rivolgano ai governi di tutto il mondo per invitarli. Per rendere ancora più evidente la loro motivazione puramente politica, aggirano deliberatamente le organizzazioni sportive dei paesi prescelti. Si tratta di una palese violazione della Carta Olimpica e allo stesso tempo di una violazione delle varie risoluzioni delle Nazioni Unite».
Ma che cosa sono i «Giochi dell’amicizia»?
Innanzitutto non si tratta di una novità. Anzi, se si sta tornando a evocare un clima da guerra fredda, è proprio perché i «World Friendship Games» videro la luce nel 1984 nei Paesi dell’area socialista. Nel dettaglio, URSS, Bulgaria, Ungheria, Germania dell’Est, Cuba, Corea del Nord, Mongolia, Polonia e Cecoslovacchia boicottarono le Olimpiadi di Los Angeles e - due settimane dopo la cerimonia di chiusura - presero parte alla competizione alternativa. I Giochi dell’amicizia verranno dunque riproposti per la seconda volta nella storia. Dal 15 al 29 settembre, Mosca e Ekaterinburg permetteranno ad atleti russi e non di mettersi alla prova in 27 sport, tra cui basket, boxe, atletica, nuoto, ginnastica, beach soccer, padel e persino rock and roll acrobatico. Il budget previsto per la tenuta della rassegna è stato stimato in 8 miliardi di rubli (poco meno di 80 milioni di franchi). Saranno ammessi, o meglio invitati secondo procedure ancora da finalizzare, 10 mila atleti, provenienti da 137 Paesi. E in palio, invece delle medaglie, vi sarà un montepremi complessivo di 4,6 miliardi di rubli (45 milioni di franchi).
Contromosse sportive a parte, l’attuale dibattito verte naturalmente attorno ai criteri d’ammissione e partecipazione ai Giochi degli atleti russi e bielorussi. Ci sono novità in merito?
Ve n’è una più importante delle altre per la sua portata simbolica. Nessun atleta russo e bielorusso potrà infatti prendere parte alla cerimonia d’apertura dei Giochi, in agenda il 26 luglio lungo la Senna. Non facendo parte di una delegazione - e non essendo ammesse le selezioni russe nelle gare a squadre - gli organizzatori dovrebbero limitarsi a prevedere una tribuna separata, lontana dalle telecamere. I diretti interessati, lo ricordiamo, saranno anche privati di bandiera, inno ufficiale (ne è stato realizzato uno senza voci, ndr.), e dovranno altresì indossare una divisa che non conterrà scritte o simboli. Di più: in quanto «atleti individuali neutrali», le eventuali medaglie conquistate durante i Giochi non saranno contabilizzate nel medagliere, per sua natura espressione delle forze nazionali in gioco.
Come ha reagito il Cremlino alle accuse e ai provvedimenti del Comitato internazionale olimpico?
Non bene. Anzi, ha portato i toni della controversia a un livello superiore. «Queste decisioni dimostrano fino a che punto il CIO si è allontanato dai suoi principi fondatori ed è caduto nel razzismo e nel neonazismo» ha dichiarato la portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova. Le critiche mosse ai Giochi dell’amicizia, affiancata per l’appunto al concetto di «politicizzazione dello sport», ha invece indispettito Dmitri Peskov, portavoce del presidente russo Vladimir Putin: «Questa è un’intimidazione nei confronti degli atleti. E mina completamente l’autorità del CIO».
Ma, a conti fatti, quanti saranno (o potrebbero essere) gli sportivi russi e bielorussi chiamati a competere come atleti individuali neutrali?
A oggi, 12 russi e 7 bielorussi hanno staccato - grazie alle prestazioni nelle rispettive discipline - il pass per i Giochi parigini. Stando alle previsioni del CIO, a consuntivo dei vari percorsi di qualificazione, gli atleti russi dovrebbero raggiungere quota 36, a fronte di 22 bielorussi. Insomma, una sessantina in totale. Lo scenario limite, qualora ogni potenziale candidato a Parigi 2024 ottenesse i risultati richiesti, contemplerebbe 58 russi e 27 bielorussi. Ebbene, a titolo di paragone, alle ultime Olimpiadi estive - a Tokyo, nel 2021 - i partecipanti russi erano ben 330 e 104 quelli bielorussi.
Gli atleti russi e bielorussi già qualificati o che si qualificheranno nelle prossime settimane avranno la certezza di essere a Parigi dal 26 luglio all’11 agosto?
Non proprio. Tra le decisioni di peso prese dalla Commissione esecutiva del CIO figura pure l’istituzione di uno speciale comitato d’esame, chiamato a giudicare il profilo dei qualificati con passaporto russo o bielorusso. A comporlo saranno tre figure: Nicole Hoevertsz (vicepresidente del CIO), Pau Gasol (rappresentante della commissione etica del CIO) e Seung Min Ryu (rappresentante della commissione degli atleti del CIO). A fare stato, nell’analisi dei candidati, saranno per contro i criteri stabiliti lo scorso dicembre. Coloro che hanno sostenuto o sostengono attivamente la guerra all’Ucraina non potranno prendere parte ai Giochi parigini. Stesso discorso per quegli atleti che risultano sotto contratto con l’esercito di Mosca o Minsk, come pure con altre agenzie di sicurezza nazionali.
A questo punto, considerate le rigide condizioni quadro, c’è la possibilità che la Russia decida di boicottare i Giochi?
Ora è davvero tutto possibile. E pure tra osservatori e specialisti di geopolitica dello sport le posizioni divergono. Nonostante le restrizioni estreme del CIO, c’è chi ritiene che alla fine prevarrà il potere dell’«io c’ero». Detto altrimenti, Vladimir Putin cercherà comunque di sfruttare i riflettori parigini: da un lato esaltando le eventuali medaglie nel nome della Russia, dall’altro denunciando l’atteggiamento ostile degli organizzatori in caso di assenza di risultati. Sul fronte opposto, non mancano però gli esperti convinti di come - a poco a poco - si stia giungendo a un punto di non ritorno. D’altronde, per chi - come il presidente russo - ha fatto dello sport un efficace strumento di propaganda, il divieto di prendere parte alla cerimonia d’apertura potrebbe costituire una sorta di umiliazione. Quanto basta, secondo due voci di spessore raccolte da Le Monde, per arrivare a uno strappo definitivo. «Ciò che sembrava altamente improbabile sino a poco tempo fa, diventa ora un’ipotesi vieppiù credibile» ha osservato Lukas Aubin, direttore di ricerca all’Istituto di relazioni internazionali e strategiche di Parigi. Dello stesso parere Sylvain Dufraisse - ricercatore e storico dello sport all’Università di Nantes -, secondo cui le veementi reazioni di Mosca mirano espressamente «ad accrescere la tensione al fine di giustificare un eventuale boicottaggio».