Calcio

Pazza Argentina, ma ora la partita diventa economica

Per le vie di Buenos Aires milioni di persone hanno festeggiato il trionfo mondiale - Il Paese vive però un momento molto delicato: la povertà è una piaga
La festa proseguirà ancora con l’arrivo dei campioni. © AP Photo/Victor R. Caivano
Maurizio Salvi
20.12.2022 06:00

Sognare a occhi aperti non è proibito. E sulle rive del Rio de la Plata gli argentini hanno provato che qualche volta questo esercizio si trasforma in una straordinaria realtà. Tale dolce sensazione ha spinto oltre un milione di persone a festeggiare per lunghissime ore la vittoria in Qatar sui «Bleu» francesi vicino all’emblematico Obelisco di Buenos Aires. Là, nel fragore dei fuochi di artificio, la «hinchada» festante ha cantato e ballato, tessendo a non finire le lodi del capitano della «selección albiceleste» Lionel Messi, e ringraziando, con gli occhi rivolti al cielo, Diego Armando Maradona.

Il messaggio politico

La festa continua oggi perché i 26 «campeones», guidati da Messi, al ritorno in patria partiranno dalle vicinanze dell’aeroporto di Ezeiza per raggiungere la capitale e sfilare lungo la Avenida 9 de Julio verso l’Obelisco, con l’agognata Coppa dorata, per un ultimo, indimenticabile, bagno di folla. Per la gente sarà una specie di catarsi finale, alla vigilia delle feste natalizie, che permetterà magari a molti di meglio affrontare, nel 2023 (anno elettorale), le asprezze della vita quotidiana. Dai commenti per le strade e nei bar, e dalla parentesi messa nei media a qualunque altra cosa che non sia il trionfo «mondialista», si capisce come gli argentini non avrebbero nessuna intenzione di risvegliarsi dal sogno per ripiombare nelle difficoltà causate dall’inflazione, che corrode il potere di acquisto dei salari e accresce i livelli di povertà. Il presidente di centro-sinistra Alberto Fernández, conscio della delicatezza della situazione e preoccupato di curare le possibilità per una riconferma sua o di un altro leader del Partito peronista nelle elezioni di ottobre 2023, ha scelto di non viaggiare a Doha. Lo ha annunciato via Twitter, adducendo anche «problemi di “cabala”». Ma poi ha salutato attraverso le reti sociali «i giocatori e il corpo tecnico» che «sono l’esempio che non si deve mai gettare la spugna», sottolineando che «abbiamo un grande popolo e un grande futuro». E in un sintetico secondo tweet ha aggiunto: «Sempre insieme, sempre uniti. Così siamo campioni del mondo».

Un messaggio quasi-politico inviato a un popolo per il quale, come ha ricordato di recente l’ex calciatore Roberto Baggio - che ha forti interessi economici in Argentina -, «il calcio non è uno sport, ma una ragione di vita». E ciò nonostante si tratti di persone che devono fare i conti con un debito pubblico di quasi 380 miliardi di dollari, un’inflazione che ha raggiunto a novembre il 92,4% annuo - in America latina solo il Venezuela fa peggio - e con il 36,5% della popolazione (circa 17 dei 47 milioni di argentini) che vive al di sotto della linea di povertà. Una difficile situazione che, paradossalmente, va però letta anche con l’esistenza di fasce consistenti di cittadini agiati, i cui risparmi all’estero legali e non - stimano le autorità argentine - si aggirano sui 300 miliardi di dollari.

Il compromesso

Nei tre anni trascorsi al potere dal 2019, Fernández ha cercato di affrontare questa emergenza socio-economica, ma non è stato certo aiutato dalla bassa crescita dell’economia planetaria, dal biennio di pandemia da coronavirus, e poi alla fine anche dalla guerra prodotta dall’invasione russa dell’Ucraina. L’America latina è lontana dal teatro bellico europeo, ma gli effetti della guerra si sono fatti sentire sul commercio internazionale, sulla produzione agricola e sui prezzi del gas e del petrolio. Il Governo e l’allora ministro dell’Economia Martín Guzmán sono riusciti all’inizio dell’anno a chiudere un accordo con il Fondo monetario internazionale per rifinanziare un debito di 47 miliardi di dollari, con un periodo di grazia fino al 2026. Sembrava un successo per Guzmán, ma le tensioni all’interno del peronismo fra l’ala moderata e quella più radicale della vicepresidente Cristina Kirchner ne hanno determinato le dimissioni.

Il compromesso fra le fazioni in conflitto è stato trovato sul nome di Sergio Massa, navigato leader politico e presidente della Camera dei deputati, a cui è stato affidato il timone dello strategico ministero. Grande tifoso di calcio - è praticamente sua la squadra di Tigre che milita nella serie A argentina -, Massa ha usato però via Twitter un linguaggio, non da tifoso, ma compatibile con il suo ruolo di regista delle riforme con cui sta tentando di riordinare l’economia del Paese, da decenni in condizioni precarie. «Coraggio. Temperanza di fronte a una situazione difficile. Talento, ordine e umiltà». L’impresa di Massa è titanica, perché una correzione dell’economia argentina significa anche l’eliminazione di spese inutili e, chiede il FMI, anche la riduzione dell’enorme quantità di sussidi che il Governo da sempre concede a settori formalmente disagiati della popolazione, in una logica keynesiana o anti-ciclica, che si spiega con la forte propensione degli argentini a spendere, e quindi a contribuire al funzionamento della produzione nazionale, anche in periodi di crisi.

Più in generale, per migliorare in tempi brevi le disponibilità di cassa, il Governo punta soprattutto su un incremento delle esportazioni agroalimentari, sul commercio continentale e sul turismo, grazie anche a questo titolo mondiale. A medio termine, invece, si punta su potenziali entrate che potrebbero provenire dal forte sviluppo del settore delle energie verdi e dallo sfruttamento del bacino patagonico di petrolio e gas non convenzionali di Vaca Muerta. Questo progetto richiede importanti investimenti, soprattutto esteri, e comunque inizialmente i benefici secondo gli analisti sono già ipotecati dal rimborso del credito al FMI, che l’Argentina dovrà affrontare a partire dal 2026 unicamente con proprie risorse finanziarie.

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