Per il capitano la bella favola diventa un incubo
Avrebbe potuto finire diversamente. Anzi no, avrebbe dovuto finire diversamente. Per il popolo bianconero che ha invaso il Wankdorf, per il Lugano e - soprattutto - per Jonathan Sabbatini. Il capitano con ogni probabilità ha chiuso così la sua lunga e straordinaria carriera in bianconero. Con una sconfitta che brucia più del fuoco dell’inferno. E con il cuore in frantumi per un rigore calciato alle stelle.
Una favola finita male
Sembrava una storia scritta apposta per lui. Un sogno, una fiaba che nemmeno lo scrittore più romantico avrebbe osato immaginare. Quando il ginevrino Bolla si è fatto parare il suo rigore da Saipi, Sabbatini ha avuto l’occasione per entrare ancora di più nella leggenda del Lugano. Ha preso il pallone e si è avvicinato al dischetto mentre lo stadio veniva avvolto da un silenzio quasi surreale. C’è chi ha chiuso gli occhi, altri si sono raccolti in una preghiera profana. Ma non ha retto l’enorme responsabilità sulle sue spalle, il Sabba. Ha calciato malissimo, il pallone è finito nella curva occupata proprio dai tifosi bianconeri. Quanto può essere crudele, lo sport. Non è stato l’unico, a sbagliare. Anche Steffen e Hajdari hanno fallito il match-point che poteva riportare la Coppa Svizzera in Ticino. Che doveva riportare la Coppa Svizzera in Ticino. E la storia del calcio è piena zeppa di campioni che una volta o l’altra non hanno retto la pressione, dagli undici metri. Sabbatini meritava però di segnarlo, quel maledetto rigore.
La bocca cucita
La delusione è stata insomma immensa. Così grande che quasi non sembra vera. Anche nei momenti più difficili bisogna però essere in grado di assumersi le proprie responsabilità. Al rientro negli spogliatoi, quasi nessuno dei giocatori bianconeri ha voluto fermarsi a parlare. Nemmeno una parola. Nemmeno Sabbatini: con un gesto della mano e un «no, mi dispiace», il capitano ha tirato diritto. Peccato, i tifosi che tanto lo hanno coccolato in questi anni e nelle ultime settimane, avrebbero meritato almeno un saluto.
Le geometrie giuste
Come previsto, la partita di Sabbatini era iniziata dalla panchina. Mattia Croci-Torti lo ha mandato in campo al 68’, proprio insieme ad Aliseda. E il loro ingresso ha fatto bene ad un Lugano che nel secondo tempo ha preso coraggio rispetto ai primi 45 minuti. Dopo aver ricevuto la fascia da Mattia Bottani, si è messo per l’ennesima volta in mezzo ai compagni, a cercare le geometrie giuste, in grado di mettere in difficoltà la difesa del Servette. Nei supplementari si è pure preso un cartellino giallo, quando ha messo giù Kutesa, lanciato a rete. Ha insomma fatto il Sabbatini, per l’ultima volta. Fino a quel rigore che - ci si può scommettere - non lo farà dormire nelle prossime notti.
Il giorno della verità
Domani, già in mattinata, il club dirà come stanno davvero le cose. Se ci sarà un futuro per Sabbatini, in questo Lugano. Il CEO Martin Blaser, il membro del CdA Georg Heitz, il direttore sportivo Carlos Da Silva e Mattia Croci-Torti stileranno il loro bilancio. Hanno promesso totale trasparenza sul futuro. Non c’è solo il caso Sabbatini da risolvere una volta per tutte. In scadenza è pure il contratto di Kreshnik Hajrizi, difensore che ha dimostrato di meritarsi la nuova dimensione del Lugano. Insomma, è già il momento di pianificare, di costruire, di ricostruire. Senza dimenticare i giovani nazionali rossocrociati Bislimi e Hajdari. Da oggi, dalla delusione di questa finale persa così in malo modo, sta per nascere il nuovo Lugano. Una squadra che avrà tanta voglia di dimenticare questa domenica maledetta.