Il commento

Pogacar e il duello degli estremi

Lo sloveno domina il Tour e il ciclismo si divide tra innocentisti e colpevolisti
Flavio Viglezio
22.07.2024 06:00

Dopo il Giro, Tadej Pogacar ha dunque vinto anche il Tour de France. Anzi no, non lo ha vinto: lo ha dominato in lungo e in largo, umiliando sportivamente i suoi avversari dall’alto di una superiorità insolente e per certi versi imbarazzante. In salita, soprattutto, lo sloveno della UAE ha spazzato via tutti i record del passato: di velocità, di tempo di percorrenza, di potenza sviluppata. Prestazioni e numeri che fisiologicamente – è proprio il caso di dirlo… – hanno fatto nascere dubbi e sospetti. Il discorso è quello di sempre: i difensori dello sloveno – che metterebbero la mano sul fuoco su un ciclismo diventato limpido come acqua di fonte – sostengono a giusta ragione che Pogacar non è mai risultato positivo ad un controllo antidoping. Non è però questa la discriminante decisiva: lo si diceva anche di Lance Armstrong, nei sette Tour de France vinti dall’americano. Si è scoperto solo in seguito, come li aveva dominati. Si tratterebbe invece di capire – la scienza dovrebbe permetterlo – se le prestazioni dello sloveno possano essere semplicemente figlie, oltre al talento dell’atleta, di una preparazione sempre più mirata, di un’alimentazione studiata nei minimi particolari e degli indiscutibili progressi a livello dei materiali, degli pneumatici in primis. C’è chi già sostiene che il Tour del 2024 sia uno dei più grandi imbrogli dello sport moderno. Antoine Vayer, ex allenatore della Festina (vi dice nulla, il nome?) e oggi giornalista di spicco specializzato nel calcolo delle prestazioni dei ciclisti, definisce Pogacar un clone di Armstrong, ma ancora più potente. Non è l’unico, Vayer. Philippe Saudé, professionista francese negli anni ottanta, si è detto sconvolto dalle imprese dello sloveno. Tra innocentisti e colpevolisti la lotta è ormai aperta. È una battaglia degli estremi, tra chi non mette nemmeno minimamente in dubbio l’onestà dello sloveno e chi, invece, lo accusa di essere il nuovo impostore delle due ruote. In questi termini il dibattito non porterà a nulla. Servirebbe solo un po’ di buon senso, figlio della memoria di un oscuro passato non così lontano e, allo stesso tempo, di un presente che ha comunque visto il ciclismo far tesoro degli errori commessi. Ne va del bene e della credibilità di questo sport.