Quando Donald Trump voleva creare la sua Superlega
La Superlega europea, dunque, si farà. Riformuliamo: la società che detiene i diritti del progetto, sentenza della Corte di giustizia europea alla mano, può muoversi in questo senso. Sembra lontano, anzi lontanissimo il caos dell'aprile 2021: l’uscita delle inglesi, la sollevazione popolare, le minacce dell’UEFA, l'allora presidente della Juventus – Andrea Agnelli – costretto a fare un passo indietro. Il progetto, per alcuni, rimane lontano, anzi lontanissimo dai (sani) principi dello sport. Ma la competizione, a certi livelli, è anche questo. Soprattutto questo. Potere, soldi, influenza. E poi, attenzione, non è la prima volta che qualcuno – o qualcosa – si ribella al sistema.
La mente degli appassionati, tornando alle vicende recenti, nel 2021 era subito andata a ripescare la scissione nel basket con la creazione dell’esclusiva (e ricca) Eurolega. Quella, però, a distanza di anni può considerarsi un’iniziativa riuscita. Quali, allora, gli altri fallimenti? Ne abbiamo ripescato uno, eclatante considerando i personaggi in ballo. Anzi, il personaggio: Donald Trump.
Una franchigia alternativa
Siamo nel 1984. Chiariamo subito: George Orwell non c’entra niente. Un giovane Raf, in inglese, dominava le classifiche dei singoli con l’edonistica Self Control. Trump, proprio lui, è già un volto noto. E un imprenditore (più o meno) di successo. Nel 1984, dicevamo, The Donald riprende le redini di una franchigia di football americano, comprata l’anno prima e ceduta temporaneamente. I New Jersey Generals, squadra che non milita nella classica NFL ma nella neonata United States Football League o, volendo abbreviare, USFL. Una lega nuova, appunto, creata nel 1982 con l’obiettivo di cominciare a giocare nel 1983. L’idea, banale ma accattivante, era riempire il vuoto che la NFL lasciava in primavera. E, in effetti, la cosa funziona: per la prima stagione la media spettatori si attesta sulle 25 mila unità, gli ascolti televisivi sono buoni se non ottimi. I vari proprietari varano addirittura il salary cap (il tetto dei salari) e si affidano, per costruire le rose, a giocatori appena usciti dal college o a quelli scartati dalla NFL.
Dio ha inventato il baseball
Trump, sempre lui, entra nel business a suo modo. Avete presente la storiella dell’elefante in una cristalleria? Ecco. «Se Dio avesse voluto il football in primavera, non avrebbe inventato il baseball» dichiara senza troppi giri di parole. I titoli reboanti sui giornali si sprecano, la USFL cresce in termini di interesse e popolarità. Lui guadagna consensi. Ma i problemi sono dietro l’angolo. Al secondo anno di gestione, rompe ogni limite di spesa mettendo sotto contratto nomi grossi. Di più, convince gli altri presidenti a sfidare direttamente il gigante – la NFL – spostando la stagione dalla primavera all’autunno. Sì, è concorrenza diretta. È sfida aperta. È guerra.
Tre dollari e 76 centesimi
Un suicidio annunciato, sportivamente ed economicamente parlando. Donald, però, non si dà per vinto. Cita perfino la NFL per danni all’antitrust. «Occupa le tre reti televisive maggiori – afferma – quindi è monopolista». Chiede danni per oltre un miliardo di dollari. Roba da matti. A fine processo, beh, Trump avrà ragione. Il risarcimento, però, è simbolico. Un dollaro. Correggiamo, tre dollari e 76 centesimi considerando anche gli interessi. Una miseria. The Donald non si dà per vinto, mette in piedi una squadra imbattibile. La stagione 1986, però, non vedrà mai la luce. E questo perché la USFL chiude a causa dei troppi debiti accumulati (160 milioni di dollari). «Ho portato questa Lega fin dove poteva arrivare, senza di me sarebbe affondata prima» commenta, amareggiato, l’imprenditore. Quantomeno, la sua idea di rivoluzionare il football americano è durata di più rispetto al fronte ribelle del calcio europeo.