Renato Steffen: «Sono un leader inflessibile e qualcuno non lo accetta»
Renato, partiamo da una domanda che può apparire banale, ma che forse in questo caso non lo è: come stai?
«Sto “okay”, diciamo così. Potrebbe andare meglio, non sono privo di pensieri. Certo, il mio problema al collo è migliorato nelle ultime settimane. Ma ho ancora dei fastidi all’anca, che non mi hanno permesso di effettuare la preparazione al 100%. Nel complesso direi che non sto ottimamente, ecco».
Te l’ho chiesto perché l’ultima volta che abbiamo domandato a Croci-Torti come stavi, prima del match contro il Lucerna, ci ha risposto che ti aveva visto arrabbiato per un’intera settimana. E a lui questo aveva fatto piacere...
«Beh, su questo particolare tema potrei soffermarmi parecchio (ride, ndr). Ci sono in effetti alcune cose, in generale, che al momento non mi trovano d’accordo. Allo stesso tempo devo individuare la via migliore per dire ciò che provo. Ciò che penso. Ho infatti notato che la strada che avevo inizialmente scelto per comunicare, quella che in fondo ho sempre prediletto in carriera, qui a Lugano non è quella giusta. È difficile, alla luce di questo fatto, trovare un equilibrio e concentrarsi sull’essenziale. Anche perché nei miei confronti sono riposte tante aspettative. Non posso fare altro che accettarlo però, conscio che al momento sto combattendo un po’ con me stesso e un po’ con alcune situazioni».
Partiamo allora da te: sei soddisfatto, fin qui, dell’avventura a Lugano e delle tue prestazioni?
«Di tutto quanto è accaduto prima dei Mondiali, sì. Ho potuto fare le mie partite, ho giocato bene e avevo preso il ritmo. Poi è arrivata la Coppa del Mondo e, in seguito, la sfortuna. Come detto, per i problemi fisici dei quali vi ho già accennato non ho potuto effettuare la preparazione invernale come avrei desiderato. Ripartire col botto a Sion mi aveva dato fiducia, ma le ultime partite non sono state positive. E io stesso, per primo, non sono soddisfatto del mio attuale rendimento. Posso e devo dare di più. So che per fare bene, il presupposto fondamentale è che la mia condizione fisica sia ottimale. Purtroppo da quando sono arrivato in Ticino non è stato sempre così, e per questo motivo non ho potuto aiutare appieno la squadra. Non nascondo che è una situazione pesante e complicata. Sono arrivato qui per dare una mano al club ad effettuare un salto di qualità e questo è ancora il mio obiettivo. Ma ripeto: per riuscirci devo essere al 100%, e a volte ho il sentimento che non sia così. Va trovata la strada per superare questa fase e ritrovare il vecchio Renato, che io per primo conosco, riportandolo al suo posto. Perché al momento quello che state vedendo è lontano da quello reale. E questo è deludente, in primis per me».
Non hai mai pensato di fermarti un attimo per curarti e ristabilirti appieno, vista la situazione?
«Sì, ci ho riflettuto. Ma farlo porterebbe in dote altri problemi. Starei ad esempio lontano dalla squadra, e al mio ritorno molto potrebbe essere cambiato. Io credo che alcune lacune che attualmente accuso, possano essere eliminate attraverso l’allenamento. Stavamo valutando, in accordo con lo staff tecnico, di svolgere delle sedute individuali extra. Ma senza forzare, perché - anche in quelle normali - è meglio non esagerare se avverto dolore. La ricerca della miglior condizione, ad ogni buon conto, si estende anche a quella mentale. E pure qui andrà individuato il percorso ideale. Perché è evidente che prestazioni come quella proposta contro il Lucerna, dove io stesso mi sono reso conto che non ero completamente in partita, tant’è che alla fine sono stato sostituito, non mi portano nulla».
Le stesse prestazioni da te citate, peraltro, hanno suscitato diverse critiche...
«Lo so, ma non mi feriscono. Non le trovo fuori luogo. Non sono un novellino, so che fanno parte del gioco e le accetto. Anche perché, come detto, sono il primo a non essere soddisfatto della situazione. A farmi arrabbiare è lo status quo e la difficoltà che incontro nel cambiarlo in meglio. Non le considerazioni di chi mi vede dall’esterno. Ci tengo però a sottolineare una cosa: non giochiamo a tennis, bensì a calcio. Io devo aiutare la squadra con le mie qualità, ma allo stesso tempo ho bisogno dell’aiuto dei miei compagni affinché insieme si possano raccogliere i risultati auspicati. Non si può pretendere che io da solo trascini la squadra alla vittoria, non è così semplice».
Viste le tue parole, possiamo allora aprire il capitolo squadra. Tra i tuoi obiettivi, qui a Lugano, ti sei posto quello di diventare un leader del gruppo. Ci stai riuscendo?
«Esserlo resta una mia volontà, ma non dipende soltanto da me. Molto ruota attorno ai compagni, se ti accettano per come sei e per ciò che vuoi apportare. E qui c’è una resistenza. Ribadisco: io voglio essere un leader, ma non voglio piegarmi. Anche perché non ho fatto la carriera che ho fatto perché sono stato carino e gentile. Voglio rimanere chi sono, con qualche adattamento. Ma qui sorge la domanda: questo sta bene agli altri giocatori? Ho il sentimento che tanti non lo accettano, perché sono già soddisfatti di come le cose vanno attualmente. Quindi, per concludere, è difficile dare una risposta alla tua domanda».
Cito due episodi, per cercare di dare ulteriore contesto alla tua risposta. Mesi fa al Letzigrund, al tuo debutto in bianconero, dopo la sostituzione hai quasi funto da allenatore aggiunto, incitando platealmente i compagni. Un paio di settimane fa a Cornaredo invece, contro il Grasshopper, al cambio sei uscito molto arrabbiato. Come spieghi le differenze e perché di recente hai reagito così?
«In merito alla reazione con le Cavallette: ce l’avevo un po’ con tutti, me compreso. Ero irritato dal nostro primo tempo e dal fatto che nella ripresa, proprio mentre sia io sia la squadra stavamo crescendo, son dovuto uscire dal campo. Io voglio sempre vincere, in quel momento mi sentivo bene e volevo dare il mio contributo per evitare il pareggio, che a mio avviso sarebbe stato - ed è poi stato - un bottino troppo magro. Tutta questa frustrazione è sfociata nei miei gesti al momento della sostituzione. Ma dovete capire una cosa. Quella che avete visto - chiamatela rabbia, grinta, come preferite - è parte di me. Fa parte del mio carattere. Noto però che chi non mi conosce ancora bene, forse la interpreta male. Come un atteggiamento non costruttivo o poco positivo. Vorrei allora fare chiarezza: so di non essere un giocatore facile da gestire. Lo dico apertamente. Col passare degli anni sono in parte diventato più tranquillo, prendo un paio di respiri in più. Ma rimango poco malleabile. Se però chi mi circonda capisce come prendermi, come relazionarsi con me, posso dare davvero tanto. Necessito solo di un po’ di comprensione, in tutti i sensi. Anch’io poi, di tanto in tanto, necessito di aiuto e sostegno. E se mi accorgo che non lo ricevo, beh... divento molto acido».
Come leggere allora la discussione avuta con Zan Celar, in merito a chi dovesse tirare il rigore di domenica contro il Lucerna?
«Prima di tutto non è stata una discussione. Semplicemente gli ho detto che avrei potuto incaricarmene io, ma quando lui mi ha risposto “sì, posso tirarlo anch’io” mi sono subito fatto da parte accettando la situazione. Non volevo infatti discutere, anche perché mi sarei sentito in colpa qualora l’avessi poi innervosito prima di batterlo, finendo con l’indurlo all’errore. Resta il fatto che non c’è un rigorista definito in squadra, chi sta bene e se la sente può assumersi tale responsabilità».
Celar oggi tira i rigori perché in passato, in un suo momento di difficoltà, gli era stato affidato questo incarico con l’intento di sbloccarlo. È per questo motivo che a tua volta, domenica, ti sei fatto avanti?
«Era la terza partita che non segnavo e non stavo giocando benissimo... In questi casi è naturale guardare un po’ a sé stessi ed essere un pizzico egoisti, perché andare in rete può sicuramente essere d’aiuto. E francamente, se qualcuno sta vivendo un momento “difficile”, il rigore glielo si può anche lasciare. Però capisco che un attaccante voglia sempre segnare e non intendo fare un torto a Celar. Con lui mi trovo bene, parliamo molto e in futuro gli lascerei volentieri altri rigori, perché batterlo si è rivelata la scelta giusta. Spero di poterlo aiutare a festeggiare nuove reti, offrendogli diversi assist».
Un’ultima domanda: se sabato contro lo Young Boys non dovessi partire titolare, saresti sorpreso?
«La scelta spetta all’allenatore. Se deciderà di mettermi in panchina, troverò il modo di accettare la situazione a cuor leggero. Anche se vorrei sempre giocare, pure in ottica Nazionale. Qualora fossi una riserva, mi concentrerei sulla mia prestazione e sul dare il massimo da subentrante. Tenendo duro, senza badare all’eventuale brusio che si genererebbe. Vorrei però aggiungere: se qualcuno ritiene di dover scendere in campo al mio posto, dovrebbe prendere posizione e affermarlo chiaramente. Dimostrando però anche in partita, in seguito, di avere ragione».