Hockey

Sandro Bertaggia: «Vent’anni fa ho chiuso da campione, ora tifo per Alessio»

L’8 aprile 2003, l'ex difensore metteva fine alla sua carriera vincendo il sesto titolo con il Lugano - Ora il figlio va all’assalto del suo primo sigillo con il Ginevra
Fernando Lavezzo
14.04.2023 06:00

È l’8 aprile del 2003, alla Resega si è fatto tardi e Sandro Bertaggia ha ancora gli occhi lucidi. «È il finale perfetto, sembra scritto da uno sceneggiatore di Hollywood», dice nelle interviste. Il Lugano ha da poco battuto il Davos in gara-6 per 4 a 0, conquistando il sesto titolo della storia bianconera. Tutti vinti con il mitico numero 2 in difesa. Quasi 39.enne, Sandro aveva già annunciato la decisione di smettere. «Gioca un altro anno, dai», gli dicono durante i festeggiamenti. Lui sorride, ma fa cenno di no con il capo. Poi, tra cori, docce di champagne e sigari, si concede un momento tutto per sé e per la sua famiglia. Si mette in disparte e abbraccia il figlio Alessio, 10 anni ancora da compiere. Poco dopo, un suo giovane compagno di squadra, Jan Cadieux, irrompe in spogliatoio con le pizze appena sfornate. La festa continua.

Sono passati vent’anni. Stasera Jan Cadieux e Alessio Bertaggia, allenatore e attaccante del Ginevra, apriranno la caccia al titolo nazionale nella finale contro il Bienne. Sarebbe il primo del Servette. Il primo di Jan come coach. Il primo di Alessio dopo due finali perse con il Lugano, nel 2016 e nel 2018. Sandro tiferà per loro. In attesa dell’ingaggio d’inizio, ci siamo fatti raccontare la sua vita dopo il ritiro. Tutta dedicata all’hockey.

Memoria corta

«Alcuni vecchi compagni bianconeri potrebbero parlare per ore delle finali vinte, raccontando mille aneddoti e ricordando ogni dettaglio. Io, invece, ho la memoria corta. Di certo non penso tutti i giorni al trionfo del 2003, ma è stato un modo stupendo per chiudere una lunga carriera. Mi è rimasto dentro. Fu un finale perfetto, come dissi all’epoca».

Passata la festa, l’idea di continuare per un altro anno non sfiorò nemmeno Sandro Bertaggia: «Meglio smettere quando si è in cima. Io, poi, non segnavo un gol da due stagioni. Anche quello era un segnale (ride, ndr.). La verità è che fisicamente avrei forse retto ancora una stagione, ma mentalmente ero saturo. Non mi ci vedevo a ricominciare una nuova preparazione estiva».

Il suo futuro, del resto, era già stato definito con il club. Nelle due stagioni seguenti, in veste di team manager, Sandro si occupò dell’organizzazione logistica della prima squadra.

Panchine bollenti

Nel 2005, Bertaggia iniziò ad allenare nel settore giovanile bianconero, prima nella U17, poi nella U20, diventando anche responsabile per lo sviluppo dei giocatori del vivaio HCL. «Cercai di portare idee fresche e nuovi metodi», racconta. Nel 2007-08, Sandro divenne pure assistente allenatore in una prima squadra che passò di mano più volte: da Ivano Zanatta a Kent Ruhnke, per finire con John Slettvoll. L’anno dopo il mago svedese se ne andò a inizio gennaio. Sandro garantì un breve interim, per poi diventare il vice di Hannu Virta. Seguirono altre due stagioni movimentate come assistente di Kent Johansson e Philippe Bozon, fino all’esonero, insieme al francese, a metà campionato 2010-11. «Furono anni complicati, tumultuosi. Una catastrofe. Per me fu difficile su vari livelli: in squadra c’erano ancora diversi giocatori che erano stati miei compagni, e questo non mi facilitò il compito. Venendo dalla panchina degli juniores, avevo inoltre poca esperienza per gestire un gruppo di professionisti in una situazione del genere. Gli stessi allenatori con cui mi trovai a lavorare – Hannu, Kenta e Philippe – non erano molto navigati e infatti non riuscirono a trasmettermi chissà quali insegnamenti».

La cosa più dolorosa, però, fu un’altra: «A un certo punto, una parte della tifoseria iniziò a contestarmi. A inizio partita, ogni volta che appariva la mia foto sul grande schermo, partivano i fischi. Mi faceva talmente male che aspettavo la fine della presentazione per uscire dallo spogliatoio. Non ho mai capito il motivo di quegli attacchi personali e la cosa mi ha disturbato parecchio. Dopo una vita nel Lugano, passata a fare il meglio per la squadra e per il club, non mi aspettavo un trattamento simile. All’epoca mi mancò anche il sostegno della società. È il solo ricordo negativo in tanti bellissimi anni trascorsi in bianconero».

Tra Forsberg e Timo Meier

L’esonero, unito all’amarezza, condusse Bertaggia su nuove strade. Oltre a diventare un opinionista per la televisione pubblica, Sandro si è rilanciato come importante agente di giocatori. Oggi è un pezzo grosso della 4Sports fondata da Daniel Giger, campione con lo Zugo nel 1998. Il co-proprietario è un certo Peter Forsberg, mito dell’hockey svedese e della NHL. «Il mio capo è Daniel, Peter lo vedo occasionalmente, ma poter contare su un grande dell’hockey come lui è davvero speciale. I racconti sulla sua carriera in NHL sono fantastici. Lui sì che ha una memoria di ferro. Potrebbe scrivere un libro di successo».

Le soddisfazioni, in questo lavoro, non mancano: «A me piace molto lavorare con i giovani, anche se tra i miei clienti non mancano giocatori già affermati. Ogni giorno regala nuove sfide e nuovi problemi da risolvere. La cosa più appagante è accompagnare un ragazzo durante tutta la sua evoluzione, dal primo contratto fino – perché no? – al top mondiale. Il mio fiore all’occhiello, in questo senso, è Timo Meier, quest’anno autore di 40 gol in NHL con i San Jose Sharks e, da gennaio, con i New Jersey Devils. Avevo iniziato a seguirlo una decina di anni fa, quando giocava nelle giovanili del Rapperswil. Non era appariscente come Nico Hischier, ma era completo. Mi colpì soprattutto il colloquio con lui e i suoi genitori. La sua è una famiglia umile, ma Timo era un quindicenne con le idee chiare. Aveva una determinazione e una maturità che in pochi hanno a quell’età. Voleva assolutamente andare in Canada e voleva farlo immediatamente. Gli trovammo un’ottima soluzione ad Halifax, nella lega juniores del Quebec, dove trascorse due stagioni e mezza. Nel gennaio del 2016 passò al Rouyn, arrivando fino alla finale. Ha avuto una crescita costante e nessuno gli ha mai regalato nulla. Si è guadagnato tutto con il duro lavoro. Il primo anno a San Jose fu decisamente tosto, faceva spesso su e giù dalla AHL».

Il futuro di Meier è ancora da scrivere, visto che il suo contratto è in scadenza: «Ora contano solo i playoff, ai quali lui non prendeva parte dal 2019. A fine stagione si vedrà. I Devils conoscono la nostra richiesta. Timo è ‘‘restricted free agent’’, quindi loro potrebbero decidere di tenerlo un’altra stagione a un salario già stabilito, ma fra un anno diventerebbe ‘‘unrestricted free agent’’».

Gli occhi del padre

Da questa sera, gli occhi di Sandro saranno tutti per Alessio e il suo Ginevra: «Ho dei clienti anche nel Bienne, ma il cuore batte sempre per la squadra di mio figlio. È normale. Purtroppo non è riuscito a vincere il titolo con il Lugano, ma ora ha una nuova opportunità. Il Servette è solido, i seeländer sono veloci. Sarà una bella sfida. Vedo un Alessio molto sereno sin da inizio stagione. A Ginevra si è trovato subito bene, la sua compagna anche. Ha accettato il ruolo affidatogli da Jan Cadieux e cerca di dare sempre il meglio. Questa, per me, è la cosa più importante».

In questo articolo: