Sascha Kever: «Parole forti da alcuni arbitri, ma la situazione è sotto controllo»

Una nomina prestigiosa, figlia della passione, ma anche del senso di responsabilità. Sascha Kever è il neopresidente della Commissione arbitri dell’ASF. L’ex fischietto ticinese, 48 anni, ci parla delle sfide che attendono il settore e non manca di prendere posizione sul grido d’allarme lanciato negli scorsi giorni da alcuni direttori di gara.
L’arbitraggio, dunque, continuerà a scandire la sua vita. Perché candidarsi per questo incarico?
«Ho iniziato ad arbitrare da ragazzo e, oramai, sono più gli anni trascorsi con il fischietto in bocca rispetto a quelli senza. Alla base di tutto, insomma, c’è una grande passione. Dopo essere rientrato nel giro, occupandomi per un quadriennio di VAR ai vertici del calcio svizzero, stavo iniziando a ragionare sulle modalità di uscita. Poi, però, si è presentata questa opportunità. Il classico treno che passa una volta in carriera. Mi sono candidato e il modo in cui ho inteso collocarmi, rispetto alla visione e agli obiettivi strategici del comitato centrale e della commissione arbitri, ha convinto».
Mettiamo un po’ di ordine. In cosa differisce il suo ruolo, rispetto per esempio a quello di Dani Wermelinger - capo degli arbitri d’élite - e Brent Reiber, Elite Referee Manager?
«Beh, la Commissione arbitri racchiude tre dipartimenti: la categoria élite, per l’appunto gestita da Wermelinger in collaborazione tra gli altri con Reiber; la categoria speranze, guidata dal ticinese Luca Gut; la categoria amatori e sviluppo affidata a Claudio Bernold. Si tende ad associare l’arbitraggio alla Super e alla Challenge League. In qualità di presidente, io sarò alla testa dei 4.600 fischietti attivi nel Paese. Tutti gli arbitri, dunque, dal futsal, al beach soccer, passando ovviamente dalle 13 regioni».
Per il massimo campionato, Wermelinger ha posto l’obiettivo: «Vogliamo ridurre il numero di interventi del VAR, aumentando la qualità delle decisioni in campo». Eppure, sembra un cane che si morde la coda, dal momento che l’assistenza video tende - o rischia di farlo - a deresponsabilizzare il direttore di gara. Non crede?
«Il VAR alimenta delle dinamiche particolari. È innegabile. E, sì, l’effetto paracadute fornito dalla tecnologia potrebbe subentrare. Noi, però, vogliamo che accada esattamente il contrario, vogliamo arbitri che decidano in maniera coraggiosa e corretta sul campo. Lavoriamo per questo e, in prospettiva, puntiamo a uniformare il più possibile la linea e le modalità d’intervento».



Tra due settimane scatta la nuova Super League, allargata a dodici squadre. Due club in più, banalmente, cosa significa per il dipartimento degli arbitri d’élite?
«A fronte di un numero maggiore di partite in calendario, significa schierare nuovi direttori di gara e nuovi VAR. Il che, va da sé, si ripercuoterà sugli effettivi da impiegare e promuovere dalla Challenge League in giù. È una questione di pianificazione e fabbisogno, per i quali vengono effettuate delle simulazioni anche a seconda delle convocazioni ottenute dai nostri migliori elementi (assistenti e VAR inclusi) per le competizioni internazionali. In alcune fasi, di conseguenza, la coperta risulterà corta. In altri momenti, più tranquilli, andrà per contro ricercato un corretto turnover e il miglior equilibrio che Reiber e Wermelinger gestiscono molto bene. In tutte le figure coinvolte, che conosco personalmente, nutro assoluta fiducia. Il settore sta evolvendo in modo positivo, complici altresì istruttori e coach che ci sono invidiati all’estero. La motivazione e la qualità degli effettivi sono date. Poi è chiaro: nell’economia di una stagione vi sono dei periodi in cui le decisioni prese possono essere ritenute meno soddisfacenti. Tipicamente quando si entra nella fase cruciale di un campionato o, mi permetto di aggiungere, in assenza di argomenti. Fa parte del calcio. Da sempre. Il VAR, se vogliamo, ha spostato di un livello l’attenzione. Permettendo di cercare capri espiatori anche fuori dal rettangolo verde. Che agiscano in campo o meno, si tratta comunque di essere umani, per i quali non è possibile sradicare l’errore o il margine d’interpretazione. Che sono umani, per l’appunto».
La sua nomina, al proposito, cade a margine di una stagione intensa e - soprattutto nella seconda parte - non esente da critiche e polemiche. Come ha vissuto, da dentro, gli ultimi mesi?
«Il buon capitano non viene forgiato dal mare tranquillo, ma da quello in tempesta. Le fattispecie di cui parla, quindi, costituiscono dei momenti di arricchimento e crescita anche se sul momento non sembra. Sarebbe bello agire in un mondo perfetto, ci mancherebbe. La pressione, tuttavia, è un fattore col quale convivere. Un fattore necessario e prezioso per migliorarsi. E, ve lo assicuro, l’autocritica non manca alla categoria degli arbitri elvetici».
I carichi da sopportare, sul piano fisico e mentale, possono però essere massicci. Negli scorsi giorni il portale Watson ha dato voce - sotto forma anonima - a diversi suoi ex colleghi. Sono emerse criticità pesanti, circa l’enorme stress subito, l’insostenibilità delle condizioni di lavoro e una retribuzione ritenuta insufficiente. Come giudica, da neopresidente della Commissione arbitri, questo grido d’allarme?
«Ho letto parole forti, non c’è dubbio. Per esperienza, posso però garantire che nel dipartimento condotto da Wermelinger sensibilità, attenzione e dialogo schietto non sono mai venuti meno nel recente passato. Detto altrimenti, si è sempre cercato di creare le condizioni quadro più favorevoli all’intero corpo arbitrale. Non dimentichiamo che come ogni ramo economico, anche quello degli arbitri d’élite è soggetto a budget, limiti e priorità d’investimento, per i quali si rendono necessari dei compromessi. Su questo piano, a mio avviso, l’azione è stata oculata. E, nel complesso, la situazione è buona. Perfettibile sì, ma tutt’altro che fuori controllo. Prendiamo atto dello sfogo e ne siamo dispiaciuti, anche se non sappiamo in quanti lo abbiano espresso. La porta dei diversi membri della Commissione, nel frattempo, è sempre aperta».
Ma c’è margine per il professionismo in Svizzera?
«Negli ultimi anni abbiamo fatto progressi notevoli e come avviene in tutte le aziende, valutazioni tese al progresso sono costanti. Che tipo di evoluzione sarà - se più orientata al ritocco del budget o alla configurazione dei carichi di impiego - mi è difficile dirlo ora».