Calcio

Schiavo della vittoria e meno italiano: 20 anni dopo, sarà un altro derby

Milan e Inter tornano a sfidarsi in una semifinale di Champions League, dopo quella del 2003 andata ai rossoneri grazie a due pareggi - Rispetto ai fasti di allora, l’Italia torna a esaltare i suoi club e i suoi allenatori, ma deve fare i conti con meno giocatori locali e proprietà lontane
©EPA/DAL ZENNARO
Massimo Solari
21.04.2023 06:00

Il campo, questa volta, dovrà essere sincero sino in fondo. Vincere pareggiando non sarà possibile. Anche se poi, rispettare quel regolamento lì, goderne anche, vale molto di più che calpestare bellamente le regole civili. Travestendo nel peggiore dei modi un’altra doppia sfida continentale; impedendole - appunto - di elevare una squadra sull’altra se non a tavolino. Si riparte dal 2003 e dal 2005, insomma. Da due pareggi e un petardo lanciato addosso a Nelson Dida. Dal Milan trionfatore, sempre e comunque. E, di riflesso, da una ferita dalla quale non ha mai smesso di sgorgare sangue nerazzurro. Sì, il derby della Madonnina metterà di nuovo in palio una fetta importante d’Europa. Riporterà Milano - e una fra le sue due figlie - ai vertici della competizione per club più prestigiosa al mondo. E poco importa, almeno per un mese, se sul fronte opposto si disputerà «la finale anticipata» fra Real e City. Il cuore di San Siro tornerà a battere all’impazzata, generando emozioni e ansia. Le promesse si sprecheranno. Ai rossoneri, al fine di confermare una tradizione da primattrice sulla scena internazionale e in caso di duelli meneghini. Alla «beneamata» e ai suoi tifosi, invece, il sapore della vendetta ha già iniziato a inebriare i sensi. Una cosa è certa: vent’anni dopo, Milan e Inter daranno vita a un penultimo atto di Champions League molto diverso da allora.

Apprendisti e pure a rischio

Della variabile «gol in trasferta», abbiamo accennato. Non accadrà più, perché l’abbuono in questione - con provvida scelta - è stato abolito dalla scorsa stagione. Nella primavera del 2003, comunque, non ne beneficiò solo il Milan. Val la pena ricordarlo. Certo, i rossoneri fecero l’affarone in semifinale, da «San Zero» - come titolò il Daily Mail dopo lo 0-0 dell’andata - alla zampata di Sheva, più pesante del guizzo di Martins. Nel turno precedente, tuttavia, l’Inter aveva capitalizzato addirittura una sconfitta: 2-1 a Valencia, dopo l’1-0 firmato Vieri una settimana prima. Erano le squadre allenate da Carlo Ancelotti ed Hector Cuper. Ieri come oggi tagliate fuori (o quasi) dalla corsa scudetto. Alla vigilia della gara di ritorno, non a caso, la Gazzetta osò titolare «Chi non vince licenziato è», riservando una pagina speciale ai due tecnici. Nel 2023, un approfondimento del genere accoglierebbe solo un profilo su due: quello di Simone Inzaghi. La guida nerazzurra divide - e parecchio - nonostante e a causa della Champions, splendida realtà del presente e però anche obiettivo che rischia di sfumare clamorosamente nella prossima stagione. Il collega ed ex Stefano Pioli, per contro, non ha ancora esaurito il credito incassato grazie all’ultimo scudetto. Entrambi, ad ogni modo, sembrano controfigure e finanche apprendisti se paragonati agli omologhi dell’altra sfida: Ancelotti - quattro trofei più tardi - e Pep Guardiola. Già. Eppure, a ben guardare, vent’anni fa la situazione si presentava allo stesso modo, con Marcello Lippi (Juventus) e Vicente del Bosque (Real) impegnati nella seconda semifinale e infine beffati.

La promessa di Galliani

A questo giro, in ogni caso, solo una formazione italiana staccherà il biglietto per il grande ballo di Istanbul. Il sussulto dei club di Serie A è imponente. E, va da sé, esaltato nella penisola. Non bisogna infatti dimenticare Juventus, Roma e Fiorentina, sin qui protagoniste di Europa e Conference League. Detto ciò, sorridono forse le squadre e gli allenatori targati ITA, non il calcio italiano nella sua essenza. Prendiamo proprio Inter-Milan del 2003 e sovrapponiamola alle realtà attuali. Beh, i giocatori italiani in campo vent’anni fa erano 12: 5 in casa Inter, 7 per il Milan. Contro Napoli e Benfica, nelle scorse ore, i passaporti azzurri esibiti dal primo minuto sono stati 7: 5 interisti e 2 rossoneri. Per una quota quasi dimezzata. Non solo: a sintetizzare lo scollamento tra contenente e contenuto sono anche le rispettive proprietà. I milanesissimi Silvio Berlusconi e Massimo Moratti hanno fatto un passo indietro, ciascuno ripagato secondo la personale simmetria dei sacrifici e delle passioni. Il testimone del primo, dopo diversi passaggi di mano, è finito a Gerry Cardinale, o meglio alla società d’investimento statunitense RedBird. Sopra il quartier generale nerazzurro, Steven Zhang sventola invece le bandiere di Cina e Suning. Chissà. Chissà con quale immedesimazione e angoscia l’attuale classe dirigente vivrà i match del 10 e 16 maggio. Nel 2003, Adriano Galliani fece una promessa: «Non eccederò nell’esultanza in caso di vittoria del Milan, né mi lascerò prendere dallo scoramento in caso di sconfitta». Vi basti sapere che l’amministratore delegato rossonero seguì gli ultimi minuti del ritorno sul lettino dell’infermeria dello spogliatoio, placato da un mix di tranquillanti.

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