Sci alpino

A tu per tu con Manfred Moelgg, l’highlander dello slalom

Lo specialista azzurro delle gare tecniche ha un obiettivo in testa: le Olimpiadi di Pechino
Manfred Moelgg, 39 anni. © KEYSTONE/Jean-Christophe Bott
Giorgia Cimma Sommaruga
10.12.2021 17:44

Specialista delle gare tecniche, vincitore di tre medaglie iridate e di una Coppa del Mondo di slalom speciale, Manfred Moelgg è uno degli sciatori più longevi di tutti i tempi. A 39 anni, il marebbano si prepara per Pechino 2022: la sua quinta Olimpiade.

Allora, Manfred: che stagione si prospetta?
«Innanzitutto, spero che tutto possa aprire e che si possa tornare a un minimo di normalità. Soprattutto nelle zone di montagna: le ultime due stagioni invernali sono state molto sofferte. Dal punto di vista sportivo, invece, mi aspetto una stagione ancora più importante del solito. E questo perché ci sono le Olimpiadi. Mi di poter essere protagonista, in slalom per lo meno, mentre in gigante vedremo. Non so ancora se andrò in partenza in Val d’Isère: vediamo».

Lo scorso anno ha contratto il coronavirus in questo periodo: è stato un momento molto difficile per lei.
«È stata una brutta esperienza, molto tosta livello fisico, ma per fortuna non sono arrivato alle cure ospedaliere. Nonostante tutto, grazie anche alla vicinanza della mia famiglia, ho avuto la carica per riprendermi. Mi auguro che tutti trattino il virus come una cosa importante, non da sottovalutare. Al di là del vaccino, bisogna comunque prestare attenzione».

18 anni nella nazionale italiana di sci. Sin da ragazzino, ha sempre trovato una grande motivazione all’interno della sua famiglia.
«La mia famiglia è stata ed è un punto fondamentale della mia carriera, tornavo sempre a casa a ricaricarmi. Loro sono stati per me una sorta di “mental coach”. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre appoggiato, mostrato interesse per quello che facevo ma soprattutto mi ha sempre sostenuto. Penso che, se sono arrivato dove sono oggi, sia anche grazie a loro».

E non era da solo nemmeno in pista, anche sua sorella Manuela era nei quadri azzurri.
«Si, questa è stata la ciliegina sulla torta in merito al sostegno della mia famiglia. Lei è stata una grandissima atleta, ha interrotto la sua carriera da professionista che era ancora nella top 7 al mondo. Ci siamo supportati e caricati a vicenda. Insieme ci siamo anche allenati. Come in tutte le famiglie che si rispettino anche tra di noi ci son stati dei battibecchi, ma nessuno è perfetto. Quello che era importante era esserci sempre l’uno per l’altra».

Anche suo fratello Michael l’ha accompagnata con il ruolo di skiman per tanti anni.
«Micheal è stato il mio skiman per 10 anni. Lo skiman – per chi non è del settore – non è solo una persona che si occupa dell’attrezzatura di un atleta, ma è anche una persona di fiducia. Lui lo è stato. Mi ha accompagnato nel mio percorso, spronandomi a fare sempre del mio meglio. Indubbiamente è un ruolo difficile, poiché deve aver avuto veramente tanta pazienza. Con uno come me ancora di più! Lo scorso anno è andato in Svizzera con Semyel Bissig, e da questa stagione è tornato in Italia come skiman di Alex Vinatzer, un giovane sciatore molto promettente con grande talento: penso che farà una grandissima stagione perché sta andando molto forte».

La carriera facile non esiste. Posso sicuramente ricordare come un momento particolarmente duro il mio infortunio al tendine d’Achille

Una carriera all’insegna della perfezione. Quali sono stati i momenti più difficili in questa ricerca?
«A dir la verità non è facile pensarci: penso che in una carriera siano più i momenti difficili che quelli di successo. La carriera facile non esiste. Posso sicuramente ricordare come un momento particolarmente duro il mio infortunio al tendine d’Achille: sono rientrato a metà stagione ed è stato difficile riprendersi anche a livello mentale. Poi anche dopo la rottura del crociato destro c’è stato moltissimo lavoro per tornare a essere performante. Penso che l’up and down sia normale nella carriera di un atleta, l’importante è sempre stato per me non perdere mai di vista l’obiettivo».

Nel suo palmarès ci sono tanti successi: quello che ricorda con più trasporto?
«Tante gare mi hanno fatto venire i brividi. Ma indubbiamente penso che tra quelle più emozionanti ci sia la vittoria del 2008 nello slalom a Bormio: l’euforia era alle stelle, prima però c’era tanta tensione perché me la giocavo con Jean Baptiste Grange. Poi ricordo le tre medaglie ai Mondiali, in particolare quella nel gigante perché era forse la più inaspettata: dopo Alberto Tomba l’ho vinta io, e la scorsa stagione è stata la volta di un altro italiano, Luca De Aliprandini».

La vittoria di Zagabria 2017: Alberto Tomba l’aspetta all’arrivo con un sorriso a 32 denti.
«Tomba è un fuoriclasse. Ci sono grandi campioni nel nostro sport, ci sono bravi sciatori, ma lui è veramente una leggenda. Tutti l’abbiamo guardato gareggiare, io stesso interrompevo qualsiasi attività per vederlo. Durante la mia prima qualifica in carriera, a Campiglio, lui era lì. Anche a Zagabria c’era. A Bormio dove ho alzato la Coppa, lui c’era. Diciamo che per certi aspetti è stato per me anche un porta fortuna: devo dirgli di venire più spesso. Scherzo!».

Quando è entrato in nazionale il capitano della squadra era Giorgio Rocca, che rapporto ha avuto con lui?
«Giorgio è un grande amico, ora sono io il capitano della squadra di slalom, ma per me il capitano rimarrà sempre lui. Lui è stato un grande campione, ho imparato molto da lui, e penso anche di avergli dato la giusta carica per andare a vincere la coppetta di specialità prima di me. In allenamento era una grande sfida tra noi. Ho veramente dei bei ricordi di quel periodo. Recentemente ho letto il suo libro e anche lui cita queste simpatiche situazioni. Ora è in Svizzera con la sua academy, ci continuiamo a sentire perché è una persona a cui tengo molto».

La gara di Adelboden è per me una gara particolare, eccezionale, ho dei ricordi molto forti. Io lo definisco il Gigante della Coppa del mondo

Adelboden: grande pista, ma anche palcoscenico di uno dei suoi infortuni più gravi.
«La gara di Adelboden è per me una gara particolare, eccezionale, ho dei ricordi molto forti. Io lo definisco il Gigante della Coppa del mondo: quando arrivi nell’ultimo muro e ti immergi in quel tifo tipicamente svizzero, ti salgono i brividi. La gente, lì, mi ha sempre trattato bene, mi ha sempre applaudito anche quando mi sono infortunato e questo mi ha fatto piacere perché ho sentito tanto affetto vicino a me. Qui a casa conservo i campanacci di Adelboden, che per me sono la coppa più bella che segna la cifra della Svizzera. Lì purtroppo non ho mai vinto uno slalom, magari quest’anno è la volta buona».

Ma quindi questa è veramente l’ultima stagione per lei?
«Non saprei. Per ora mi concentro su questa stagione, vedo che negli allenamenti vado bene e mi sento ancora un giovanotto. Poi però saranno le gare a parlare, non è facile tenere botta con tutti questi giovani. Però continuo a lavorare, mi diverto ancora e poi vedremo».

Pechino 2022: per lei sarebbe la quinta olimpiade.
«Penso sia un evento fantastico. Sarà molto difficile a causa del coronavirus, però mi auguro che vada al meglio. Intanto devo andare forte in Coppa del mondo per qualificarmi. Senz’altro ambisco ad una medaglia olimpica: nonostante la mia lunga carriera, non c’è nel mio palmarès di slalom. Sarebbe davvero un sogno. È una gara secca, dove non si può sbagliare, penso che tutti lo vogliano un oro del genere. Per me sarebbe la quinta Olimpiade, cinque si sentono. Quello che è sicuro è che combatterò con le unghie e con i denti, a questo punto speriamo di risentirci durante e dopo: vorrebbe dire che sono andato forte».

Il suo primo appuntamento durante questa stagione è quello di Val D’Isère. Si inizia un po’ troppo tardi?
«Si, infatti le donne ora sono già a Levi. Però non organizzo io il calendario. Ci saranno un gigante e uno slalom: il mio focus è lo slalom, più difficile sarà il gigante perché parto un po’ indietro. Dopo ci saranno un grandissimo slalom a Campiglio, quindi con l’anno nuovo Adelboden e Wengen, dove spero a questo punto di avere un grande tifo da parte di voi svizzeri».

Come si vede Manfred Moelgg tra 10 anni?
«Spero di avere famiglia, sicuramente avrò smesso di sciare. Ma soprattutto non sarò un padre che obbliga i figli a sciare: ci sono tanti altri sport».