L’oro di Michela Figini e le donne del nostro sci
Il riscaldamento del clima è un argomento di attualità. Così come il graduale scioglimento dei ghiacciai. O la mancanza di neve negli impianti sciistici a sud delle Alpi. Gli appassionati degli sport di scivolamento avrebbero più di un motivo per preoccuparsi. Eppure, guardare al passato con un sentimento di amarezza (e con un filo di nostalgia) non servirebbe a granché.
Lassa fiuché
«Let it snow, lassa fiuché» è il titolo di una mostra in corso al Museo di Leventina (Casa Stanga a Giornico), ma è anche il tema conduttore di diverse serate, a incominciare da quella proposta stasera (inizio alle 18, proprio al Museo) con la conferenza del professor Gerardo Rigozzi: «Lo sport, una passione che non tramonta mai».
Ed è proprio di sport e dell’amore per le discipline invernali che si è parlato anche martedì sera nella palestra del centro scolastico di Faido, dove cinque protagonisti dello sci ci hanno fatto rivivere momenti storici, non solo sul piano agonistico. Sollecitati dalle domande della moderatrice Ellade Ossola (giornalista sportiva RSI), hanno parlato Doris De Agostini-Rossetti, Michela Figini, Natascia Leonardi-Cortesi, Deborah Scanzio e l’allenatore Mauro Pini.
Protagoniste sugli sci
Quattro ragazze che hanno fatto la storia della FSSI e un tecnico, diventato famoso anche per aver guidato a importanti successi personaggi come Maria Contreras («che molti ancora ricordano come la spagnola di Airolo»), Lara Gut e Tina Maze. Dove ma, soprattutto, come è nata la passione di questi fenomeni sportivi?
Doris: «Ricordo la mamma che ci portava a Lüina, il ruscelletto vicino a casa, i rami di nocciole che dovevano servirci come palette. Ed era difficilissimo trovarli dritti. Airolo ha subito molti cambiamenti dai tempi in cui ero bambina, eppure c’è ancora il locale Sci Club che si impegna tantissimo per i nostri giovani»,
Michi: «Il mio impatto con la neve è stato a Prato Leventina. Prima ancora degli sci si andava con le slitte e con i bob. Poi, molto tempo dopo, sono arrivate le gare. Anche quelle nelle quali mi capitava di fare meglio rispetto ai maschi».
Debby: «Ricordo grandi bobbate nei pressi di Piotta, dove sono cresciuta. Mi avevano messo gli sci ai piedi a due anni. Non ero certo dotata, ma qualche risultato di pregio è comunque arrivato. Per il freestyle il punto di riferimento, allora, era Cioss Prato».
Natascia: «Il mio primo ricordo è forse l’igloo costruito con mio padre, che è stato il mio primo e più importante allenatore. A lui devo la passione per il fondo, sport che mi ha sempre affascinato. Per le discese non ho mai avuto il pallino. Preferivo faticare in salita, tanto che a fine carriera mi sono guadagnata un titolo mondiale di sci alpinismo».
Il carattere d’acciaio
Testa dure, grande tempra e un carattere d’acciaio. Così erano queste quattro ragazze che, in un modo o nell’altro, mantengono ancora uno stretto rapporto con lo sport. «Le passioni nascono soprattutto se alle spalle c’è una famiglia che offre stimoli e che non frena», dice Mauro Pini pensando all’importanza della formazione.
Doris: «Potevo sembrare una dura, ma io sono sempre stata una romanticona. Lo sport era nato come un gioco, ho però dovuto lavorare sodo per cercare di adattare il mio fisico lungagnone alle esigenze dell’alta competizione. È stato anche un modo per riportare qualcosa alla mia famiglia, alla mia valle e al mio paese».
Michi: «L’oro olimpico conquistato a Sarajevo a 17 anni e mezzo è stato per me come una piattaforma di lancio. Da lì tutto mi è sembrato più facile. Il mio mondo allora era diviso in due: la competizione, che tanto preoccupava mia mamma Piera, e il nucleo famigliare. La casa mi dava sicurezza. Lì mi sentivo protetta e pertanto in grado di partire e di affrontare le gare. Le mie compagne di squadra allora erano spesso anche le mie più grandi rivali. Con loro c’era un sentimento di rispetto, ma non vera amicizia».
Natascia: «È difficile essere amiche nel mondo delle competizioni. Eppure il bronzo ottenuto nel 2002 a Salt Lake City nella staffetta è arrivato anche per una testimonianza di solidarietà di una sciatrice tedesca. Non riuscivo ad infilare uno sci e lei mi aveva aiutato togliendomi dal panico».
Debby: «Dal lato sportivo la mia quarta Olimpiade, non è stata brillante. Ma l’ho affrontata con la maglia rossocrociata. E, di conseguenza, anche con l’affetto triplicato di tutti quelli che mi volevano bene».