Sci alpino

Streif, storia di una leggenda: «Se hai paura non vincerai mai»

Oggi alle 11.30 la mitica discesa di Kitzbühel - Le testimonianze di Kristian Ghedina e Daniel Albrecht
Domani alle 11.30 è in programma la discesa di Kitzbühel. (Foto Keystone)
Giona Carcano
Giona CarcanoeDante Rinaldi
25.01.2019 09:35

Kristian Ghedina non è mai cambiato. Ha sempre quel sorriso da spaccone dipinto sul volto e una voglia matta di velocità. Senza, non riesce a stare. La stessa velocità che ha permesso all’ex leggenda italiana dello sci di vincere tanto. E di domare la leggendaria Streif di Kitzbühel nel lontano 1998. Il primo azzurro a riuscirci, hai detto poco. A poco dalla mitica discesa di Kitzbühel - prima partenza alle 13.30 di oggi - ci siamo fatti raccontare dal «Ghedo» segreti, difficoltà e storia della pista più difficile al mondo.

C’è un’immagine che racchiude cos’è stato e cos’è Kristian Ghedina per lo sci mondiale. Bisogna tornare indietro fino al 24 gennaio 2004. Quel giorno finì giù dal podio. Eppure è come se avesse vinto. Perché la sua spaccata a 150 chilometri orari sullo spaventoso salto finale della Streif di Kitzbühel – lo Zielsprung – è entrata nel mito quasi come la pista austriaca. Come dire «toh, provateci voi tanto io sono il migliore». Quel giorno, dicevamo, vinse una leggenda molto più seriosa e taciturna del «Ghedo», il fortissimo Stephan Eberharter. Ma l’italiano non aveva più nulla da dimostrare. «Perché quando vinci sulla Streif entri automaticamente nella storia» ricorda Ghedina, 49 anni e una passionaccia per il pericolo che continua ancora oggi. «Io ho avuto la fortuna di arrivare primo a a Kitzbühel nel 1998» prosegue. «Quella non è una pista come le altre. Se vuoi davvero fare il tempone non devi portarle troppo rispetto. È vero, il pendio incute parecchio terrore perché effettivamente ha pendenze enormi. Eppure se stai sulla difensiva e non rischi, beh, difficilmente andrai lontano. Devi aggredirla, un po’ come facevo io. Non era un pendio adatto alle mie caratteristiche, dunque dovevo spingere al massimo e andare al limite. Ad esempio a quei tempi in molti si aspettavano un successo di Peter Runggaldier, era andato sempre forte in Austria. Fondamentale, comunque, è la partenza. Impressionante. I primi 30 secondi ti mettono tanta paura addosso, le pendenze sono vertiginose e la velocità elevata. Quindi se sei alle prime armi è logico tirarsi un filo indietro. Tuttavia se tieni una linea prudente i centesimi fra il primo e il secondo intermedio si accumulano e non li riprendi più».

Kristian Ghedina va poi nel dettaglio e spiega esattamente il punto in cui ha avuto successo. «La Steilhang, senza alcun dubbio» dice con quella sua inconfondibile parlata veneta. «L’uscita della stradina è il passaggio più difficile di tutta la Coppa del mondo. Devi trovare il giusto compromesso fra velocità e pendenza. Affronti una curva in contropendenza, gli sci sbattono e devi decidere in una frazione di secondo il momento esatto per impostare la curva. Se ritardi la virata rischi di andare sulle reti, se l’anticipi vai fuori linea e devi risalire».

Negli anni, la Streif è stata un attimo rivista. Ad esempio, il salto finale (lo Zielsprung) è stato smussato dopo l’incidente capitato a Dani Albrecht nel 2009. «Lo hanno addolcito, sì» spiega Ghedina. «Rimane sempre un salto lungo, gli sciatori più veloci arrivano ancora a fare quaranta metri di volo. Però la parabola è stata ridotta per evitare l’altezza. Adesso ci si stacca forse un metro dalla neve, non di più. Ai miei tempi si riusciva a saltare quasi 70 metri in lunghezza. Da un lato è un peccato, e vi dico perché. Trovo che la FIS negli ultimi anni abbia cercato di minimizzare le zone pericolose delle piste, lo abbiamo notato recentemente anche a Cortina nella gara femminile sull’Olimpia delle Tofane. C’è la volontà di mettere in sicurezza gli atleti, eppure così facendo si riduce la spettacolarità delle discese. In questa disciplina adrenalina ed emozioni devono sempre esserci. A volte, quando due sciatori cadono nello stesso punto, gli organizzatori entrano con i gatti delle nevi o con le frese a limare la zona per renderla più sicura. Io la trovo un’abitudine un po’ assurda. C’è troppa paura di finire con una denuncia o di venir citati in giudizio. Lo dico da sempre: non puoi pensare di fare il discesista senza considerare la possibilità di cadere e farti male. Bisogna accettare il rischio. Faccio un paragone che magari potrà sembrare azzardato ma così rendo meglio l’idea. Io abito a Cortina e nella regione ci saranno una sessantina di falegnamerie. Ebbene, da queste parti l’ottanta percento dei falegnami si è ferito seriamente nello svolgimento della sua professione. Ovviamente non auguro del male a nessuno, tuttavia trovo che la purezza di questa disciplina la si debba misurare anche dalla parte del pericolo».

Sono stato il primo italiano a conquistare la Streif e dunque in quella vittoria c’è dentro una buona dose di orgoglio

La vittoria sulla Streif nel 1998 è stata forse la più significativa per Kristian Ghedina. «Sì, anche perché sono stato il primo italiano a riuscirci e dunque c’è dentro pure una buona componente di orgoglio nazionale che non guasta mai» le parole del «Ghedo». «Inoltre Bode Miller, uno che a Kitzbühel non ha mai vinto, racconta spesso che gli sarebbe piaciuto tantissimo avere in bacheca anche quel trofeo. Se non conquisti la Streif, sostiene l’americano, non sei un discesista completo. Poi oltre alla tappa austriaca vorrei citare il mio successo a Cortina nel 1990. Fu la mia prima vittoria in Coppa del mondo, per giunta davanti alla mia gente, ai miei compaesani. Avevo vent’anni, stavo cominciando a farmi le ossa. E attenzione: mi ero appena fratturato due costole e avevo rimediato una commozione celebrale proprio a Kitzbühel. Rientrai forzatamente dopo appena due settimane, volevo assolutamente correre a Cortina e misi pressione ai medici. Ebbene, grazie a delle infiltrazioni riuscii a sopportare il dolore e a vincere. Incredibile».

A Kitzbühel il pubblico non manca mai. (Foto Keystone)
A Kitzbühel il pubblico non manca mai. (Foto Keystone)

Spazio, poi, ai favoriti per la gara di oggi. «Beat Feuz è un fenomeno» spiega Ghedina. «Pur non assomigliando a uno sciatore perché ha un po’ di pancetta, ha una capacità di produrre velocità e controllare i missili che ha pochi rivali al mondo. Ha un fisico bizzarro, io scherzosamente lo definisco ‘‘uno svizzerotto’’. Ma ragazzi, quanto è forte. Merita di vincere la coppetta di specialità. Poi attenzione anche a Dominik Paris, Max Franz e a Hannes Reichelt. E visto che è andato bene nelle due prove disputate, cito Daniel Danklmaier: l’austriaco potrebbe essere la sorpresa».

In chiusura, due parole sui Mondiali di Cortina 2021: Ghedina ricopre il ruolo di ambasciatore. «Siamo pronti» dice. «A livello tecnico le piste ci sono, a fine stagioni si terranno i campionati nazionali che fungeranno da test. Ora si tratta di sistemare parcheggi e qualche struttura ricettiva».

Daniel Albrecht, sulla Streif un terribile volo verso la vita

Daniel Albrecht ha deciso di smettere nel 2012. (Foto Keystone)
Daniel Albrecht ha deciso di smettere nel 2012. (Foto Keystone)

3.312 metri tra paura, adrenalina e follia. La Streif, la discesa più pericolosa del mondo, regala ogni anno emozioni forti. Per chi la percorre col cuore in gola e per chi se la gode da spettatore.

«Ci sono tre modi per scendere. Prudente (per arrivare), determinato (per far risultato), senza limiti (per puntare alla vittoria). E in questo caso l’incoscienza gioca un ruolo decisivo...». Daniel Albrecht non ha certo un bel ricordo della Streif, lui che esattamente dieci anni fa era vittima di un'angosciante caduta sull'ultimo salto, a pochi metri dalla linea del traguardo. «Non ho difficoltà a rivedere quel volo, gli incidenti gravi fanno parte della vita di ogni sportivo d’èlite».

Albrecht si rimette gli sci e, virtualmente, si butta giù ancora una volta dalla Streif, indicandoci i punti cruciali. «La Mausefalle, con il suo 85% di pendenza, è da brivido. La affronti dopo pochi metri dall’uscita dal cancelletto di partenza e non concede distrazioni. Normalmente, una volta partito fissi già le prime 2-3 porte, ma in questo caso devi focalizzare l’attenzione unicamente sul dente, altrimenti schizzi in aria senza controllo. Il salto è lungo 80 metri, molto lungo, e la velocità è impressionante, con il rischio di sbandare all’atterraggio. La ‘‘trappola per topi’’ è un’insidia per tutti, anche per i campioni». Subito dopo arriva la Steilhang, una doppia curva in contropendenza che ha spesso deciso già in alto la gara. «È un passaggio molto tecnico e veloce – prosegue Albrecht – e solitamente è ghiacciato. Va affrontato con chirurgica precisione, altrimenti sfumano le speranze di vittoria o, peggio, ti ritrovi fuori pista. La prima curva a sinistra la devi anticipare di cinque metri, prendendola molto alta per mantenere la velocità. Ma decisiva è la chiusura, perché devi evitare il contatto con le reti nel cambio di direzione a destra e imboccare la stradina in perfetta posizione. È un passaggio sì molto tecnico, ma che richiede coraggio e nervi saldi».

La Mausefalle, con il suo 85% di pendenza, è da brivido. Non concede alcuna distrazione

Coraggio, da vendere, e nervi di ghiaccio anche all’attraversamento dell’Hausberg in vista dell’arrivo, da percorrere in diagonale a causa della pendenza ripidissima. «Tende chiaramente a spingerti verso il basso – precisa il campione del mondo di supercombinata 2007 – e l’alta velocità rende il tutto più complicato. Il salto ti porta spesso fuori traiettoria, perdi il controllo degli sci e devi rimanere freddo per ritrovare in fretta le giuste sensazioni. Ghiaccio e scarsa visibilità rendono il compito ancora più proibitivo, ci vuole una grande forza mentale e fisica per domare questo passaggio decisivo». E poi si arriva all’ultima insidia, la gobba dello «schuss» finale. «Non è un salto difficile – commenta serenamente Albrecht – ma quando lo affronti a 145 km/h, con gli sci in balia dell’alta velocità, ogni minimo spostamento può risultare catastrofico, come nel mio caso del 2009».

Ho rivisto il mio incidente, mi sento di dire che tecnicamente non avevo commesso da alcun errore

Cosa successe esattamente? «Ho visto e rivisto il mio incidente, mi sento di dire che tecnicamente non avevo commesso alcun errore. Ero sceso con il numero 5 nella seconda prova, non ero stato avvisato che l’ondulazione della pista era cambiata proprio in prossimità del salto. Rispetto alla prima prova la velocità era notevolmente aumentata. È una compressione che non dà particolari problemi, l’avevo schiacciata come di norma, ero molto compatto ma lo sci destro aveva preso aria e non riuscii a far niente perché cominciai a volare». Tre settimane di coma artificiale alla clinica universitaria di Innsbruck, il percorso più difficile: «Non parlavo più, non riconoscevo nemmeno i miei genitori e soprattutto non provavo più alcuna emozione». Un incidente che poteva costargli la vita e che oggi riesce invece a dargli gli stimoli per essere più forte. «La mia percezione delle cose è cambiata, sono più sensibile e apprezzo ogni esperienza». Il ritorno in Coppa del Mondo, alla fine del 2011, lasciava ben sperare. «Ero riuscito a conquistare un 21. posto in gigante a Beaver Creek, che per me valeva come un vittoria. Ma in questo ambiente se non vinci passi subito in secondo piano e non guadagni praticamente niente. La decisione di smettere nel 2012 è stata saggia ed inevitabile. La mia salute aveva la priorità e oggi sono contento di questa scelta».

I dettagli tecnici della pista. (P&G Infograph)
I dettagli tecnici della pista. (P&G Infograph)

Da sapere

Daniel «Dani» Albrecht è nato il 25 maggio 1983 e fino al 2012, anno del suo ritiro, è stato fra gli sciatori di spicco del circo bianco. La sua carriera è stata purtroppo condizionata da una terribile caduta sulla Streif di Kitzbühel dieci anni fa, il 22 gennaio 2009, che ne aveva messo a repentaglio la vita, tanto da restare per tre settimane in coma artificiale. Campione iridato in supercombinata, medaglia d’argento in gigante e bronzo a squadre ai Mondiali svedesi di Are nel 2007, Albrecht vanta anche quattro vittorie in Coppa del Mondo, tre titoli svizzeri, tre ori e un argento ai Mondiali juniores. Nel 2006 ha preso parte ai Giochi Olimpici di Torino con un quarto posto in combinata.

La Streif, pista aperta agli sciatori non agonisti durante la stagione, incanta dal 1937 con il record di spettatori (100.000!) stabilito nel 1999. Nel suo albo d’oro figura pure l'austriaca Traudl Hecher-Görgl, l’ultima donna ad aver vinto, nel 1961. Ma il re di Kitzbühel è il neocastellano Didier Cuche con cinque successi, che precede i mostri sacri Franz Klammer e Karl Schranz (quattro). Pirmin Zurbriggen e Franz Heinzer sono gli altri svizzeri che spiccano nell’albo d’oro con tre vittorie insieme a Roland Collombin (due), Dumeng Giovanoli, Bruno Kernen e Didier Défago (una). Curioso: Peter Müller, un altro mito dello sci elvetico che in carriera ha affrontato ben sedici volte la Streif, non è mai riuscito a vincere.

La Streif si adatta bene anche agli sciatori italiani, che hanno sorriso per la prima volta nel 1998 con Kristian Ghedina, imitato da Peter Fill e Dominik Paris (due volte). Il mondo ricorda lo stesso Ghedina per un numero spettacolare sull'ultimo salto, quando nel 2004 effettuò una spericolata spaccata a 137,6 km/h.