Il Brasile in lutto

Scruterà per sempre il suo stadio, immortale nel cuore della gente

Lunedì l’ultimo saluto, in seguito Pelé riposerà al Memorial Necrópolis Ecumênica: un grattacielo – «Perché non assomiglia a un cimitero e si affaccia sulla casa del Santos» raccontò lo stesso O Rei
La casa del Santos. ©AP
Maria Zuppello
30.12.2022 18:00

Dall’ospedale Einstein di San Paolo la morte di O Rei ha fatto in pochi minuti il giro prima del Brasile e poi del mondo. Persino la NASA lo ha omaggiato su Twitter con la foto di una galassia con i colori naturali della bandiera del Brasile, verde e giallo: «Ricordiamo la morte del leggendario Pelé, il re del “gioco meraviglioso”». Anche il Cristo Redentore, la celebre statua iconica di Rio de Janeiro, è stato illuminato con i colori sgargianti della bandiera nazionale.

«Tutto quello che siamo è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace» ha scritto la figlia Katy che, insieme agli altri fratelli, da giorni si era raccolta intorno al letto del padre. Pelé era ricoverato dal 29 novembre a causa di un’infezione da COVID-19 dalla quale era guarito ma che gli aveva lasciato una infezione polmonare in un quadro clinico già complicato da un cancro al colon scoperto nel 2021.

La sepoltura scelta 19 anni fa

Fino all’ultimo momento O Rei ha lottato, per andarsene poi in punta di piedi nell’epoca dell’anno in cui la maggior parte dei brasiliani è in vacanza per le ferie estive e per il Capodanno. Anche per questo e per non creare sovrapposizioni con la cerimonia di insediamento del presidente eletto Luiz Inácio Lula da Silva, in programma domani, i figli hanno deciso di spostare l’addio pubblico a lunedì prossimo. Il Brasile ha dichiarato un lutto nazionale di tre giorni mentre lo stato di San Paolo di una settimana. Il corteo funebre, scortato con tutti gli onori dalla polizia militare, lascerà l’ospedale per raggiungere lo stadio Urbano Caldeira nel quartiere di Vila Belmiro a Santos, sul litorale. È un luogo simbolico dove Edson Arantes do Nascimento divenne agli occhi del mondo ufficialmente Pelé. Proprio lì, per l’ultimo saluto, lunedì sono attese migliaia di persone, oltre a calciatori e secondo la stampa brasiliana anche il presidente della FIFA Gianni Infantino. Martedì il corteo funebre passerà davanti alla casa di Celeste, la madre centenaria del campione, ancora viva, per poi terminare nel cimitero più alto al mondo, il Memorial Necrópole Ecumênica, di Santos, finito anche nel libro del Guinness. È stato lo stesso Pelé a sceglierlo per la sua sepoltura 19 anni fa «perché non assomiglia a un cimitero e si affaccia sullo stadio».

Non si montò mai la testa

La sua leggenda rimarrà però immortale, a partire dal soprannome datogli dagli amici fin da ragazzino perché gli piaceva imitare un portiere chiamato Bilé che giocava insieme a suo padre João Ramos do Nascimento detto Dondinho, nella squadra di Vasco de São Lourenço. Quel ragazzino pieno di talento, però, quel nome lo storpiava in Pilé. Da lì a diventare Pelé fu un attimo come veloce corse la sua carriera che lo trasformò in uno dei figli del Brasile più amati nel mondo. Una vita morsa con entusiasmo, non priva di qualche ombra, come una figlia, Sandra, riconosciuta tardivamente e un altro figlio Edinho arrestato per traffico di droga e riciclaggio per ben tre volte. Ma O Rei ha sempre tenuto duro, portando nel cuore le sue origini umili di Três Corações, una cittadina dell’entroterra del Minas Gerais dal Brasile poi affettuosamente ribattezzata Pelépolis. E nonostante i successi e un patrimonio di diversi milioni di dollari il «calciatore del secolo» non si è mai montato la testa. Il 17 dicembre aveva fatto pubblicare sul suo canale Instagram una sorta di testamento spirituale per i suoi tifosi. «La vita è un’opportunità» si leggeva. «Quello che decidiamo di farne dipende da noi. Possiamo avere successo ma anche sbagliare. Nella vittoria veniamo celebrati ma è nella sconfitta che impariamo». Per poi aggiungere che «la vita è sempre generosa e offre nuovi inizi. E in questo ciclo alimentiamo sogni che non muoiono mai, a prescindere dagli ostacoli che incontriamo».

«Doveroso testimoniare»

«È morto un mito non solo del Brasile ma del mondo intero» raccontano i primi tifosi accorsi nel piazzale dell’ospedale di San Paolo appena diffusa la notizia. «Anche se non giocava più, il calcio adesso senza di lui non sarà più lo stesso» gli fa eco un suo anziano fan che si è avvicinato spontaneamente alle telecamere della tv brasiliana «perché non si può non testimoniare». Il futuro presidente Lula su Twitter ha voluto ricordarlo con queste parole: «È in compagnia adesso di tanti campioni eterni: Didi, Garrincha, Nilton Santos, Sócrates, Maradona. Ci ha lasciati con una certezza: non c'è mai stato un 10 come lui». E in queste ore tra le richieste dei figli alla direzione della squadra del Santos c’è stata proprio quella di ritirare per sempre la maglietta numero 10, a perenne ricordo del padre.

Il sogno finale

Anche Neymar come Pelé deve l’inizio del suo successo al Santos e come lui proviene da una famiglia povera. «Pelé ha cambiato tutto – ha scritto su Instagram il campione del Paris Saint-Germain – ha trasformato il calcio in arte. Ha dato voce ai poveri e al Brasile. Lui è andato via ma la sua magia è eterna». Parole queste in totale sintonia con l’ultima parte del messaggio lasciato da Pelé ai posteri. «Non so cosa in Brasile ci renda così pazzi per il calcio. Se è l’amore che ci unisce o perché il calcio ci fa dimenticare i nostri problemi di fame e povertà per 90 minuti. Ma non importa il motivo. Questo tifo ci ha unito. E il mio sogno è che questo sentimento duri per sempre».

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