Se i Giochi invernali rischiano l’estinzione
Il sipario verrà alzato tra poche ore. Sì, la XXIV edizione delle Olimpiadi invernali sta per entrare nella storia. A Pechino è tutto pronto. Nonostante la pandemia. Nonostante i dubbi. E la paura degli atleti. Anche l’assenza di neve naturale non è un problema. A Yanqing e Zhangjiakou, teatro delle prove di sci alpino e nordico, il manto è perfetto. Al 100% artificiale. Poco importa, insomma, se tutto attorno a queste lacrime bianche regna un paesaggio arido. Marrone, ovunque. Come hanno prontamente immortalato dall’alto diversi sportivi atterrati in Cina. Dove non ha potuto il clima è arrivata la tecnologia. In questo caso favorita da temperature rigide e importanti riserve d’acqua. Tutto bene, dunque? Non esattamente. Anzi, le prospettive sono ritenute allarmanti. Sia dalla scienza, sia dagli stessi atleti. La sostenibilità ambientale e la sicurezza dei Giochi invernali, avvertono, è in pericolo.
Il monito di oltre 300 atleti
A radiografare le fragilità presenti e future è stata l’University of Waterloo. Con uno studio per certi versi brutale, fresco di pubblicazione e basato su un sondaggio condotto tra 339 atleti e allenatori di venti Paesi. A loro, ai primattori delle Olimpiadi invernali, è stato chiesto di definire le condizioni cruciali - in termini di equità e pericolosità - per competere. Parliamo della qualità della neve (naturale o artificiale, appunto), così come del congelamento della superficie o ancora dell’impatto di pioggia, vento e nebbia. Gli autori della ricerca hanno quindi valutato in che misura l’aumento delle temperature rappresenta e rappresenterà un problema. E la cartina di tornasole sono state le 21 sedi che hanno sin qui ospitato i Giochi (Pechino compresa). Ebbene, se i Governi non intervengono per mitigare le emissioni di gas serra, in futuro saranno sempre meno le località in grado di garantire delle condizioni di allenamento e di gara affidabili. Addirittura solo una, nel 2080: Sapporo, in Giappone. La tendenza, dicevamo, è inesorabile. «La frequenza di condizioni non eque e non sicure è aumentata, negli ultimi 50 anni, in tutte e 21 le località che hanno ospitato i Giochi invernali» sottolinea lo studio. Per poi, soprattutto, constatare come sia probabile un peggioramento in tutti gli scenari futuri di cambiamento climatico. L’applicazione dell’Accordo di Parigi - puntando così a un aumento massimo della temperatura pari a 1,5 gradi - potrebbe tuttavia fare la differenza. Salvaguardando diverse mete olimpiche. Per dire: in buona parte del Nord America, ma altresì a Oslo, Lillehammer e Nagano si potrebbe ancora sperare di ospitare dei Giochi nel 2050 e nel 2080. L’evoluzione media delle temperature - dagli 0,4 gradi di cento anni fa ai 6,3 attuali - non lascerebbe per contro speranze ad altri siti. In particolare in Europa.
Le Alpi sotto pressione
«Se penso all’arco alpino, l’esito dello studio non è così sorprendente» riconosce Daniele Bocchiola, ingegnere ambientale e professore associato al Politecnico di Milano. «In quest’area montagnosa, negli ultimi cinquant’anni si è assistito a un dimezzamento del manto nevale. Qui, infatti, l’impatto dei cambiamenti climatici è stato maggiore, con un riscaldamento quasi doppio rispetto a quello complessivo. Tendenzialmente, appoggiandoci agli scenari dell’IPCC, appare oramai evidente l’innalzamento della quota con neve disponibile e per altro in quantità minore». Bocchiola chiarisce il concetto: «Una volta si potevano tenere in considerazione località a 1.400-1.600 metri d’altezza. In prospettiva appare invece impossibile immaginare un evento come un’Olimpiade invernale sotto una quota di 2.000 metri. E ciò se s’intende disporre di standard di sicurezza minimi». Questo, quantomeno, lo scenario ideale. Considerando, quindi, l’esistenza sufficiente di neve naturale e un effetto relativo degli altri fattori climatici. Pechino, tuttavia, suggerisce altre soluzioni. «Naturalmente l’alternativa passa da sistemi d’innevamento molto molto efficienti» conferma Bocchiola. «Le stazioni che si stanno attrezzando per affrontare il problema in modo scientifico non sono poche. Ma se la temperatura è o sarà troppo elevata, mi dispiace, ma non ci sarà nulla da fare».
Buone e cattive pratiche
Da un punto di vista ambientale, il professor Bocchiola non si dice particolarmente preoccupato del ricorso massiccio alla neve artificiale. «Non mi attendo un impatto enorme, considerati il livello tecnologico raggiunto e la resa elevata dell’acqua. A pesare, piuttosto, rimane il contorno. Tra costruzioni, ricettività turistica e trasporti, l’accento viene di colpo spostato. E le valutazioni ambientali di un evento rischiano di trasformarsi in un esercizio sterile. L’organizzatore, per intenderci, può produrre la neve o il ghiaccio di un palazzetto nel modo eticamente ed energicamente più sostenibile. L’indotto rischia però di farlo scivolare in una situazione di non neutralità climatica». Ma gli atleti (con il loro impatto mediatico), il CIO e, di riflesso, le Olimpiadi in quanto simbolo non hanno il potere di cambiare le cose? Sentite Bocchiola: «Quante più persone note al pubblico si ergeranno a paladine della lotta ai cambiamenti climatici, meglio sarà. La parte che mi rende pessimista, tuttavia, è quella che interessa il coordinamento delle politiche governative. La negoziazione del clima rimane un’attività politica di rara complessità. È quella che ha maggiore potenzialità ma, appunto, è la più difficile da attuare. Indipendentemente dal valore iconico dei Giochi».
Per la prima volta la neve sarà completamente artificiale
Meno di cinque centimetri. È questa la quantità di neve che, in media, cade durante gli inverni di Pechino. Lugano, probabilmente, registra dati più elevati. Non sorprende, dunque, che le Olimpiadi al via il 4 febbraio saranno le prime con un innevamento completamente artificiale. A un centinaio di chilometri dalla capitale, dove si lanceranno Odermatt e compagni, si lavora incessantemente da metà novembre. Per la precisione con 300 cannoni attivi a pieno regime. Il primo oro dei Giochi, in questo senso, è quello blu. L’acqua, già, che stando agli organizzatori non manca nella regione. Di più. A chi storce il naso, il comitato replica assicurando che quelle del 2022 «saranno Olimpiadi rispettose dell’ambiente, aperte e pulite». Non tutti, va da sé, la pensano allo stesso modo. Secondo Carmen de Jong, professoressa in idrologia dell’Università di Strasburgo, l’innevamento artificiale per i siti di Yanqing e Zhangjiakou potrebbe abbattersi sulla popolazione locale. «In totale saranno impiegati due milioni di metri cubi d’acqua, e cioè il consumo medio di una città cinese di 12.000 abitanti».
Un consumo, questo, che rischia di mettere in ginocchio gli agricoltori della zona, già in difficoltà per i periodi di siccità e a fronte della carenza idrica sistemica nell’area interessata. Non bastasse, su Nature è stato pubblicato un articolo che denuncia i luoghi scelti per le piste da sci, situati nella Riserva Naturale di Songshan, un ecosistema forestale protetto a Pechino. Le autorità, da parte loro, relativizzano: a Yanqing e Zhangjiakoui i prelievi idrici rappresenterebbero rispettivamente meno del 4% e del 10% delle risorse annuali in acqua. E per questo motivo non intaccheranno il fabbisogno domestico.