La prospettiva

Se torniamo a parlare di Giochi

La Confederazione e le federazioni sportive sarebbero interessate a riportare le Olimpiadi invernali nel nostro Paese - I fallimenti delle candidature vallesane e la bocciatura doppia nei Grigioni sono però spauracchi ancora presenti - La parola chiave è sostenibilità
© KEYSTONE (EXPA/JOHANN GRODER)
Paolo Galli
21.07.2023 19:34

«I Giochi olimpici invernali del 2022, se si terranno nei Grigioni, saranno neutrali dal punto di vista climatico». Lo si annunciava una decina di anni fa. Già allora, nella prospettiva di rivedere in Svizzera le Olimpiadi della neve e del ghiaccio, si parlava di neutralità, di sostenibilità. Poi tutti ricordiamo come quella corsa andò a finire. Nel marzo del 2013, gli elettori del Canton Grigioni respinsero tale possibilità - di candidarsi all’organizzazione - con il 52,7% dei voti. Nel febbraio del 2017, andò persino peggio, e il credito d’impegno di 25 milioni di franchi per le spese legate alla candidatura retica all’organizzazione delle Olimpiadi del 2026 venne bocciato dal 60,09% dei votanti. Passò il no persino in località come Davos e St. Moritz. Della serie: nessuno, oggi come oggi, vuole i Giochi. Eppure...

«Risvolti positivi»

Eppure è rimbalzata in tutto il Paese, dalle pagine del Tages-Anzeiger la notizia dal titolo seguente: «Viola Amherd will Olympische Spiele in der Schweiz». La consigliera federale vuole riportare i Giochi nel nostro Paese. Stando a una comunicazione interna di Swiss Olympic - una lettera -, la responsabile del Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport sarebbe infatti favorevole a una nuova candidatura elvetica. «La consigliera federale è convinta che un grande evento internazionale possa avere risvolti positivi e duraturi, sia in ambito sociale che economico», ha sottolineato poi Renato Kalbermatten, capo della comunicazione dello stesso Dipartimento, sollecitato dall’agenzia ATS. Lo stesso «Tagi» ha aggiunto un importante elemento: il lavoro dietro le quinte delle varie associazioni nazionali olimpiche, spinte in particolare da Swiss Ski, la più prestigiosa, quella - evidentemente - con più voce in capitolo. La lettera, in questo senso, mette in risalto il fatto che mai tale coinvolgimento era stato ravvisato in passato. Sì, perché è lì che le autorità non vorrebbero ritornare, al passato, ai fallimenti delle precedenti candidature. A tale scopo, la prossima proposta - sempre stando a questa comunicazione interna - non sarebbe più a carattere locale o regionale, bensì nazionale. Una candidatura svizzera che coinvolga più regioni e, quindi, varie località. Ciò significherebbe anche maggiore sostenibilità finanziaria e minori investimenti su nuove infrastrutture, quelle poi destinate a trasformarsi in cattedrali nel deserto. Storia, questa, già vissuta in passato, e non solo nelle destinazioni più esotiche.

La prospettata rotazione

Non è un caso che lo stesso Comitato olimpico internazionale, il CIO, stia studiando un sistema di rotazione che preveda un numero ristretto di località. Di riflesso, se davvero si andasse in questa direzione, i Giochi invernali potrebbero svolgersi sempre, o quasi, nelle stesse località. Questo per rendere tutto il circo più sostenibile e più sicuro, premiando quelle realtà già ricche di infrastrutture e possibilità, conoscenze e, molto più banalmente, neve. Lo stesso Thomas Bach aveva ammesso, senza troppi giri di parole, che molte stazioni invernali, «soprattutto in Europa», sono destinate a scomparire. Ha proprio usato questo termine, scomparire. Il cambiamento climatico non guarda in faccia a nessuno, men che meno a chi campa di freddo e di attività legate a tali condizioni meteorologiche. Il discorso legato alla sostenibilità riguarda anche il clima. Anche perché «ogni edizione dei Giochi invernali contribuisce alla propria estinzione, considerate le enormi produzioni di CO2 causate da costruzioni, spostamenti in massa e, sempre di più, il ricorso alla neve artificiale», ammoniva, da noi intervistato, Martin Müller, professore all’Istituto di geografia e sostenibilità dell’Università di Losanna. Meglio allora portare i Giochi - se proprio i Giochi devono farsi - là dove già ci sono infrastrutture e dove determinate condizioni risultano garantite. La Svizzera per quanto tempo ancora potrà presentare un simile biglietto da visita? Difficile a dirsi, ma certo - condizionati da qualche cassandra, oltre che da reali e inconfutabili dati scientifici - non infinito.

L’appoggio dei campioni

Jean-Daniel Mudry - a capo delle due candidature di Sion battute nel 2002 e nel 2006, rispettivamente da Salt Lake City e da Torino -, in una nostra recente intervista, confessava: «Io continuo a credere che la Svizzera sia in grado di portare avanti una propria candidatura. Ma ci sono dei paletti da superare e delle linee da seguire con la massima coerenza. Innanzitutto dico che l’iniziativa dovrebbe partire dalla Confederazione». In questo caso, sembrerebbe che la spinta stia arrivando proprio da lì, da Viola Amherd, dal Consiglio federale. E che sia accompagnata dalla volontà delle federazioni, dello sport tutto insomma. Non resta che convincere la popolazione, noi. Noi che, dopo i fallimenti vallesani e dopo le bocciature grigionesi, ma anche consci - finalmente - delle difficoltà organizzative, dell’impatto ambientale ed economico, crediamo sempre meno nei benefici legati all’onere dei Giochi. Che cosa potrebbe farci cambiare idea? La Confederazione spera nell’appoggio dei campioni. E quelli non mancano, specie in questo preciso momento storico. Basti pensare a Re Marco Odermatt. Basterà?

La storia

La Svizzera era partita bene, organizzando i secondi Giochi invernali della storia, nel 1928. A ospitarli, quattro anni dopo Chamonix, fu St. Moritz. Per l’occasione, si registrarono temperature inedite, attorno ai 25°C. La stazione grigionese si candidò subito per altre edizioni, ma la spuntò «solo» vent’anni più tardi, in vista dei Giochi del 1948 - che vennero ribattezzati, per ovvi motivi, «Giochi della rinascita» -, aperti dall’allora presidente della Confederazione, il ticinese Enrico Celio. St. Moritz venne poi sconfitta nuovamente nel 1955, in vista dell’edizione del 1960, aggiudicata da Squaw Valley. Solo Grigioni? Sì, di fatto. La Svizzera non è più riuscita a conquistare onori e oneri olimpici. Il Vallese ci ha provato, in varie occasioni, ma non è mai arrivato fino in fondo. Per l’edizione del 1968 fu stoppato dal popolo, mentre in vista del 1976, dopo il via libera alle urne - urne che frenarono le ambizioni di Zurigo e Berna -, subì il sorpasso di Innsbruck. Saltarono poi, prima di arrivare al CIO, le candidature in vista del 1988 (Grigioni) e del 1994 (Davos più St. Moritz, ma anche Losanna). Più recenti sono le bocciature, da parte del Comitato olimpico, dei tentativi fatti dal Vallese. Sion è stata infatti battuta da Salt Lake City per il 2002 e da Torino per il 2006. L’ultima partita davvero giocata dalla Svizzera è stata questa, persa nel 1999 a Seul. Berna 2010 è stata fermata alle urne, Zurigo 2014 non è andata in porto per motivi politici e finanziari, l’idea di Grigioni 2022 non è piaciuta al popolo e infine, in vista del 2026, sia gli stessi Grigioni sia Sion non hanno trovato l’ok dei votanti. Fine della storia, almeno per ora.