Tennis

Sempre più Arabia in barba a tradizioni, buon senso ed etica

Il PIF sta investendo sempre più soldi e sembra essersi aggiudicato un nuovo Masters 1000 dal 2028 – La mossa dell’ATP, però, scontenta una buona fetta dei tifosi - Malgrado la questione dei diritti delle donne, anche la WTA è coinvolta
©Reuters/Mohammed Saad
Alex Isenburg
16.04.2025 19:41

Dal 1990, di pari passo con la nascita dell’ATP Tour, il circuito tennistico raccoglie un insieme di tornei di spicco all’interno di un solo cappello. Da quei tempi ai giorni nostri, vi è stato un susseguirsi di scenari differenti. Certe sedi sono state spostate, mentre alcune manifestazioni sono state degradate favorendone altre, talvolta per giunta nuove. Persino la denominazione è evoluta, mutando in cinque circostanze e passando dall’originario «ATP Championship Series» all’attuale «ATP Tour Masters 1000». L’unica costante di questi eventi - che si stagliano, dietro i Grandi Slam e le ATP Finals, quali competizioni di maggior prestigio in quanto a punti assegnati e montepremi in palio - è stata una e una soltanto: il numero degli appuntamenti. Sin dagli albori, infatti, i tornei Masters 1000 sono stati nove. A partire dal 2028, invece, il numero è destinato a essere ritoccato verso l’alto, raggiungendo la doppia cifra.

Non i cambiamenti sperati

In molti, e da un po’ di tempo, si attendevano ulteriori variazioni del sistema attualmente in vigore. Questa categoria, d’altra parte, è prevalentemente appannaggio di due soli continenti: l’Europa - in cui si disputano i tornei di Montecarlo, Madrid, Roma, Parigi-Bercy - e il Nordamerica, dove si gioca sui campi di Indian Wells, Miami, Montréal/Toronto, Cincinnati. L’unica eccezione, in termini geografici, è il Rolex Shanghai Masters collocato in Asia a inizio ottobre. Tolti i tre appuntamenti sulla terra rossa che vanno in scena nel Vecchio Continente, tutte le altre tappe sono accomunate dalla superficie di gioco: il cemento.

Ecco che, allora, invocare dei cambiamenti pare legittimo. Chi, però, si auspicava l’introduzione di un 1000 su erba - la cui fetta di calendario è ridotta e vanta esclusivamente due ATP 500 prima di Wimbledon - è rimasto certamente deluso. Lo stesso sentimento, d’altro canto, avrà pervaso coloro che desideravano ardentemente coinvolgere una città sudamericana; per puntare sul sempre presente e caloroso tifo che accompagna i giocatori in America Latina. Nessuna delle due parti, però, verrà accontentata e, con ogni probabilità, dal 2028 sarà l’Arabia Saudita a ricevere l’onere e l’onore di ospitare il decimo Masters 1000. Recentemente - nell’ambito dello «Sports Investment Forum» tenutosi a Riad qualche giorno fa - ne ha dato conferma il CEO dell’ATP, l’italiano Massimo Calvelli, al quotidiano The National.

I primi passi di avvicinamento

Il prossimo Masters 1000, dunque, sarà il decimo per ordine di ingresso, ma verosimilmente il primo cronologicamente parlando. L’esatta collocazione - all’interno di una stagione già ora assai fitta - d’altronde, non è ancora nota. Da quanto si vocifera, tuttavia, l’intenzione del fondo sovrano dell’Arabia Saudita sarà quella di inserire l’evento nel mese di febbraio, successivamente agli Australian Open. Precedendo, in questo modo, il canonico appuntamento inaugurale di Indian Wells. Dietro a questa manovra, per l’appunto, c’è il famigerato PIF, che da qualche anno a questa parte - come già accaduto con altri sport, vedi calcio, pugilato, arti marziali miste - sta investendo ingenti somme di denaro per promuovere il tennis.

Prima ancora della collaborazione ufficiale, stretta nel febbraio dello scorso anno - in cui il PIF è stato annunciato quale nome ufficiale del ranking ATP e sponsor di alcuni dei tornei più importanti del tour - si erano già intraviste svariate avvisaglie. Dalla decisione riguardante le Next Gen Finals - assegnate ai sauditi, nella fattispecie a Jeddah, dal 2023 al 2027 - alle esibizioni della Diriyah Tennis Cup o l’ancor più celebre e redditizio Six Kings Slam. Senza dimenticare, poi, la mossa di investire Rafael Nadal della carica di ambasciatore della Federazione Tennis Saudita.

Il problema d’immagine

E per quanto riguarda il movimento femminile? Non è chiaro, al momento, se anche la WTA sarà inclusa nel progetto del 2028, e se il torneo così diventerà il settimo di questa categoria a essere condiviso simultaneamente da entrambi i massimi circuiti professionistici. Sembra plausibile, però, alla luce di due fatti: il primo è che anche l’organizzazione guidata da Portia Archer ha stretto nel 2024 un accordo con il PIF; la seconda è la strategia «OneVision» dell’ATP, volta a ridurre le frammentazioni tra i vari organi governativi. Lo stesso Calvelli - amministratore delegato dimissionario, a fine giugno smetterà di ricoprire questo ruolo - ha confermato la volontà, già evocata in più occasioni, di unificare i due circuiti; ribadendo pure che un futuro assieme porterebbe a vantaggi economici non indifferenti. Per lui - braccio destro di Andrea Gaudenzi da gennaio 2020 - si può ipotizzare di raddoppiare la cifra di affari attuale in soli cinque anni.

Secondo i dati riportati dall’ATP, la disciplina sta avendo successo nel Medio Oriente, tanto da aver incrementato del 46% le iscrizioni di coloro che si cimentano con una racchetta in mano. La visione a lungo termine di «rendere il tennis parte dell’ecosistema, sociale ed economico, dell’Arabia Saudita» però non piace a tutti. Il primo esperimento condotto con la WTA, ossia le Finals svoltesi a Riad, sono state un vero e proprio fiasco dal punto di vista della partecipazione del pubblico. Per non parlare, inoltre, delle polemiche legate ai diritti delle donne, che il Paese del principe ereditario Mohammed bin Salman trascura bellamente. Insomma, i vertici del tennis sembrano intenzionati ad agire contro la tradizione, il buon senso e l’etica. Come sempre, a comandare, c’è ben altro.

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