Anniversari

Sessant’anni fa moriva Fausto Coppi: ricorrenze e aspetti filosofici dello sport

Sono trascorsi 60 anni dalle morti del ciclista italiano (il 2 gennaio 1960) e del saggista francese Albert Camus (il 4 gennaio dello stesso anno), poco più di 80 da quella dello psicanalista austriaco Sigmund Freud (23 settembre 1939), ripubblichiamo quindi un articolo che ricorda tutti e tre questi pesonaggi
Fausto Coppi in maglia gialla nel 1952 (Castellania, 15 settembre 1919 – Tortona, 2 gennaio 1960). © Wikipedia
Piergiorgio Baroni
02.01.2020 11:12

Nei giorni iniziali dell'anno 2020 sono state proposte tre ricorrenze. Sessant'anni dalla morte di Fausto Coppi e di Albert Camus, ottanta da quella di Sigmund Freud. Uno dei «grandi» del ciclismo mondiale, uno scrittore francese che (si dice) fu anche portiere della nazionale di calcio algerina e nientemeno che il padre della psicoanalisi. Sulle tracce dell'eredità freudiana, alcuni suoi discepoli vanno ora ad indagare quel che circola nel consapevole e nell'incoscio di chi pratica lo sport ad alto livello. Focalizzare analogie e differenze fra personalità diverse e il loro percorso esistenziale rappresenta un'operazione che dovrebbe essere lasciata agli «addetti ai lavori»: ma nel nostro piccolo tentiamo almeno, in questa sede, di ricercare qualche sprazzo di eredità spirituale, come esercizio di «cultura sportiva», comunque intrigante anche per chi si avvicina solo occasionalmente allo sport.

Di Fausto Coppi, a sei decenni di distanza dalla morte, dovuta alla malaria contratta in Africa, si è detto e scritto moltissimo: centosessantasei vittorie su strada, cinque giri d'Italia, due Tour de France, un «mondiale» (a Lugano nel 1953), quattro campionati italiani, cinque Lombardia, tre Sanremo, una Roubaix e una Freccia Vallone e altri successi minori su strada. Ottantaquattro vittorie in gare di inseguimento su pista, compresi due «mondiali» e cinque titoli italiani. E altre settantacinque vittorie in corse su pista. Si è imposto in salita, a cronometro, in volata, sui circuiti. L'apice è stato toccato negli anni dell'immediato dopoguerra, quando la Svizzera era rappresentata da due fuoriclasse: Ferdy Kübler e Hugo Koblet. Coppi assicurava il «pendant» italiano con Gino Bartali (insieme nella foto).

Gino Bartali (a sinistra) e Fausto Coppi, grandi rivali nel ciclismo dell’immediato dopoguerra. © Wikipedia
Gino Bartali (a sinistra) e Fausto Coppi, grandi rivali nel ciclismo dell’immediato dopoguerra. © Wikipedia

Chi sfoglia il volumetto «Chiedi chi era Coppi - Il grande Fausto come non l'avete visto mai» (autori Bergonzi, Gregori e Pastonesi, prefazione di Carlo Verdelli, 160 pagine), oltre a trovare questi dati di riferimento, non può non rimanere affascinato dalla qualità delle fotografie: quasi tutte rigorosamente in bianco e nero, con Coppi ripreso «con quella faccia un po' così» perché, scrive Marco Pastonesi, «era timido, riservato, discreto, di poche parole e tanti silenzi, molti sguardi, profondi respiri». Figura emblematica in un'Italia dove «prima della guerra era mettere insieme il pasto con la cena, dopo la guerra era mettere qualcosa nel pane, pane e salame, poi pane e Gazzetta e poi il pane non bastava più». Protagonista, Fausto, dell'adulterio più famoso del secolo: la «Dama Bianca» imprigionata, il processo il 12 marzo 1955 (ad Alessandria c'è perfino il corrispondente della «Pravda»), condanna a tre mesi con la condizionale per Giulia Occhini, a due mesi per Coppi. E inoltre il supplemento gazzettiano, riproducendo la «foto simbolo» ci dice anche la verità sullo scambio della borraccia. Avvenne sul Galibier, al «Tour» del 1952: Vito Liverani, fotografo milanese, 80 anni, assicura che quella «era una bottiglia. C'era una donna ai lati della strada, voleva dare la bottiglia a Coppi, ma non ci arrivò. Allora Bartali, che seguiva, fece da intermediario. Poi basta guardare la foto: Bartali ha due borracce sulla bici, Coppi ne ha una in mano». Uno scrittore del calibro di Albert Camus, morto agli inizi del 1960 per incidente stradale, avrebbe raccontato quell'episodio a modo suo, da «unico portiere di calcio esistenzialista del mondo». Dall'esperienza con il pallone aveva ricavato la sola morale possibile, nel senso che «la sfera non arriva mai da dove te l'aspetti». Forse anche Coppi non si aspettava quel gesto da «Ginettaccio», come mediatore fra lui e la donna, anche perché i rifornimenti provenienti dal pubblico erano proibiti e avrebbero comportato squalifiche. Ci sono le regole non scritte («A Parigi non ci si può fidare di nessuno», ha scritto ancora Camus) e ovviamente le eccezioni.

Albert Camus: Dréan, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960. © Wikipedia
Albert Camus: Dréan, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960. © Wikipedia

Bartali ne ha firmata una con un gesto «non atletico», ma che ha fatto storia, non solo del ciclismo. Che cosa passa nella psiche dei grandi sportivi impegnati sul loro terreno professionale: ecco un tema per la scuola freudiana, che ora indaga anche sulla profezia del capostipite. Sigmund Freud intravide già nella sua epoca che la società «sarebbe diventata sempre più nevrotica». Lo si avverte anche negli atteggiamenti di alcuni ex campioni, che a carriera conclusa debbono ricorrere alla psicoanalisi per riordinare il pensiero e il modo di porsi nei confronti della vita, che comunque va avanti: fra i momenti più drammatici viene evocato quello vissuto da Matthias Behr, più volte campione mondiale di scherma e vincitore di un titolo nell'olimpiade del 1976, che a 54 anni si trovò sull'orlo del suicidio. Lo salvò anzitutto il pensiero del danno morale che avrebbe fatto ai bambini, perfezionando il gesto. Affidandosi ad uno psicanalista, riuscì a far emergere un episodio che lo aveva tormentato a lungo: nel 1982 aveva accidentalmente ucciso uno schermidore russo. Non ne portava colpa, perché erano le protezioni in gara che non avevano retto l'urto di un affondo. Ma gli era rimasta una tensione interiore, sfociata in ricorrenti depressioni. L'intervento dello psicologo ha avuto un esito positivo. Ma sono pochi, fra gli sportivi, quelli che trovano le risorse per sottoporsi ad un lavoro di ricerca. In se stessi: e su se stessi.

Sigmund Freud: Freiberg, 6 maggio 1856 – Hampstead, 23 settembre 1939. © Wikipedia
Sigmund Freud: Freiberg, 6 maggio 1856 – Hampstead, 23 settembre 1939. © Wikipedia