Tanta noia e giocatori fuori forma, dov'è finito lo spettacolo delle ATP Finals?
Lo sport non è una scienza esatta: ogni tanto i pronostici vengono sovvertiti e le aspettative disattese. Ed è proprio questa componente di imprevedibilità a conferirne fascino e bellezza. A volte, tuttavia, non si può scappare dalla realtà. Bisogna rendersi conto del contesto e delle forze in gioco e poi, dinanzi a certi risultati, serve ammettere con estrema franchezza che il livello di una competizione - anche se rilevante - è di fatto basso. È il caso di queste ATP Finals, che - per una serie di motivi - stanno avvalorando quanto di poco ci si aspettasse prima del loro inizio. Quando un appuntamento - come quello che a fine anno coinvolge i migliori otto tennisti della stagione - è così storico, i paragoni diventano pressoché inevitabili. Già alla vigilia di questa 55. edizione, infatti, si guardava alla «classe» del 2024 come la più debole della storia moderna e ora - giunti nel vivo del torneo, con ancora da disputare l’ultima giornata del «round robin» e la fase ad eliminazione diretta - si può senza dubbio confermare che, da impressione, questa è divenuta una certezza.
Mancano i campioni
Partiamo dai dati, oggettivi e incontestabili. Tra gli otto presenti a Torino solamente in tre - Alcaraz, Sinner e Medvedev - sono riusciti ad imporsi, in carriera, almeno una volta a livello Slam e soltanto in due - lo stesso Medvedev e Zverev -hanno già vinto il torneo «dei maestri», come veniva chiamato un tempo. Per la prima volta da 23 anni, poi, alle Finals non si è presentato nessuno dei «Big Three» che hanno trascinato il tennis mondiale al suo massimo splendore. Uno, Djokovic, per la verità si era anche guadagnato il diritto di partecipare. Tuttavia, il serbo ha chiuso - a causa di un infortunio non specificato - anzitempo la sua stagione e così, in queste ultime settimane, lo si è visto raggiante in giro per il mondo tra un piacevole soggiorno alle Maldive e alcune comparizioni da spettatore in Serbia, prima al torneo di Belgrado e poi anche a una partita di Eurolega di basket. La sua assenza, è inutile negarlo, pesa molto. Per capacità tecniche e personalità, è il giocatore che nel circuito genera ancora più «hype», come direbbero gli anglosassoni.
Insomma, nel recente passato - con lui, Federer e Nadal - siamo stati abituati fin troppo bene. Malgrado abbiano rappresentato un lungo capitolo della disciplina, però, è giusto voltare pagina e, si badi bene, ciò non significa screditare a priori quello che ne segue. Al tempo stesso, però, bisogna mantenere una certa onestà intellettuale e checché ne dicano alcuni arditi telecronisti persuasi - o che vogliono convincere gli altri - del fatto che questo è il torneo più importante del mondo - «più dei Grandi Slam», a detta loro -, così non è. Nemmeno per idea, non lo è mai stato neanche in passato e, tanto meno, lo è nella «povera» edizione di quest’anno.
Si percepisce la stanchezza
Lo spettacolo sta indubbiamente mancando, tanto che nessuna delle 8 partite sin qui disputate è andata al terzo set. Diversi protagonisti, semplicemente, sono arrivati a Torino non nelle migliori condizioni. Nel gruppo nominato «Ilie Nastase», quello del favoritissimo Jannik Sinner per intenderci, soltanto il numero uno al mondo ha realmente impressionato. Taylor Fritz, proprio contro l’altoatesino, ha inscenato una buona prestazione macchiata solo - come troppo spesso accade - da una mancanza di lucidità nei momenti chiave del confronto. Il suo, però, l’ha sostanzialmente fatto mentre lo stesso, sin qui, non si può dire di Medvedev. Il russo - che ha esplicitamente parlato di un’evidente stanchezza così come di palesi difficoltà legate alla lentezza delle palline - ha completamente fallito l’esordio contro l’americano. Poi, nella seconda sfida del girone, ha avuto la meglio su Alex De Minaur, il quale - alla prima esperienza nelle Finals - si sta distinguendo più per abnegazione che per la brillantezza dei suoi colpi.
Fuochi d’artificio, comunque, non si stanno ammirando nemmeno nel gruppo «John Newcombe» dove, tanto per fare un esempio, è inserito Andrey Rublev. Quest’ultimo, con la sconfitta di ieri contro Alcaraz, è riuscito nell’impresa di perdere - considerando anche le edizioni del 2022 e 2023 - addirittura 12 set consecutivi (l’ultimo a raggiungere la doppia cifra era stato Coria ben 20 anni or sono). Di certo non sta attraversando un bel momento, come non lo era, d’altra parte, nemmeno quello di Casper Ruud, che prima di questo torneo aveva un bilancio tutt’altro che edificante di 7 sconfitte nelle ultime 8 partite. Fortunatamente per lui, il debutto - su una superficie che non resta certamente la sua preferita - è andato meglio del previsto e, grazie alle magagne di salute di Alcaraz, ha strappato un successo importante.
È ancora tutto da decidere
Oltre alla ripresa, in termini fisici, dello spagnolo ci si augura allora che possa essere Zverev a ergersi a protagonista. Lui, a differenza di gran parte della concorrenza, appare ancora in un buono stato di forma e in questo contesto - lo testimoniano i due successi del passato, tra Londra e Torino - si trova a suo agio. Potrebbe diventare il tedesco, quindi, l’ostacolo più ostico da superare per Sinner, che però ancora non conosce il suo percorso.
L’aspetto maggiormente positivo è proprio il fatto che nulla sin qui è stato deciso: né da una parte né dall’altra, infatti, alcun giocatore ha la garanzia di passare il turno o è sicuro di essere eliminato. L’incertezza - relativa ai possibili accoppiamenti delle semifinali - che aleggia attorno al Palasport Olimpico consente quantomeno al pubblico di mantenere alto l’interesse fino all’ultima giornata dei gironi all’italiana. Considerando i fior di quattrini spesi per lo spettacolo (non) ammirato sinora, è da considerarsi un successo non da poco.