Jannik Sinner, ecco perché la WADA ha spinto per un accordo
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James Fitzgerald, portavoce dell'Agenzia mondiale antidoping, la WADA, ha spiegato alla Stampa i motivi che hanno spinto l'Agenzia a proporre e/o accettare un accordo con Jannik Sinner, infine sospeso per tre mesi in merito all'arcinota vicenda Clostebol. Il caso dell'altoatesino è stato definito «unico» in base all'articolo 10.8.2 del Codice Antidoping introdotto nel 2021. «Una delle funzioni principali dell'articolo 10.8.2 – ha spiegato Fitzgerald – è garantire che i casi unici che non rientrano esattamente nel quadro sanzionatorio possano essere giudicati in modo appropriato ed equo, a condizione che tutte le parti e la WADA siano d’accordo». E ancora: «L’articolo consente un’ulteriore riduzione del periodo di sospensione in base al livello di gravità della specifica violazione, nonché al fatto che l’atleta abbia ammesso la violazione. La disposizione è stata utilizzata decine di volte, nelle migliaia di casi giudicati dall’entrata in vigore del Codice».
Nel marzo del 2024, ricordiamo, Sinner era risultato positivo al Clostebol, uno steroide, in due controlli distinti. Le quantità di anabolizzante riscontrate, tuttavia, erano infinitesimali. Per questo, inizialmente, l'International Tennis Integrity Agency aveva riconosciuto la buona fede definendo «involontaria» la contaminazione dalla sostanza. La WADA, per contro, aveva fatto ricorso al Tribunale arbitrale dello sport di Losanna, il famoso TAS, poiché non riteneva corretta l’applicazione della «mancanza di colpa o negligenza». Pur riconoscendo l'involontarietà dell'episodio e, quindi, la contaminazione avvenuta attraverso un massaggio da parte di Giacomo Naldi, che all'epoca era nello staff del tennista e che, soprattutto, aveva applicato su di sé una pomata contenente Clostebol per curarsi una ferita, l'Agenzia si era rivolta al TAS per far valere un principio: quello, citiamo Fitzgerald, «secondo cui gli atleti sono effettivamente responsabili delle azioni del loro team». Di qui, appunto, il ricorso.
Curiosamente, sottolineano i media italiani, dopo aver chiesto lo scorso ottobre una squalifica fra i dodici e i ventiquattro mesi, proprio perché «l’atleta è sempre responsabile dei comportamenti del suo staff», la WADA ha rivisto la sua posizione, diciamo intransigente, sulla base dei documenti presentati da Sinner. Arrivando a stabilire che «anche la sanzione di un anno sarebbe stata troppo severa». Ancora Fitzgerald: «I fatti di questo caso erano davvero unici e diversi da altri casi che riguardavano la somministrazione da parte del personale di supporto dell’atleta. In effetti, questo non era un caso di somministrazione diretta da parte dell’entourage dell’atleta, ma di assorbimento transdermico perché il massaggiatore dell’atleta (all’insaputa dell’atleta) aveva trattato un taglio sul dito con un prodotto contenente Clostebol. Attraverso la propria approfondita revisione del caso, la WADA ha verificato e concordato che lo scenario dell’atleta era scientificamente plausibile e ben documentato sui fatti. In effetti, lo scenario dell’atleta era stato precedentemente accettato dall’ITIA, l'International Tennis Integrity Agency, e dal Tribunale indipendente che aveva deciso il caso in primo grado. Tenendo conto, in particolare, del livello di gravità della violazione, dati i fatti specifici, la WADA ha ritenuto che una sanzione di 12 mesi sarebbe stata eccessivamente severa».
Di conseguenza, l'Agenzia ha concordato con lo staff di Sinner una sospensione di soli tre mesi. Uno scenario, questo, che tutto sommato ha fatto il gioco di entrambe le parti in causa, al di là del potenziale danno di immagine per l'atleta. Resta, a monte, un dubbio, espresso ancora dai media italiani: a due mesi dal processo al TAS, la WADA si è affrettata a concludere un accordo poiché, verosimilmente, non avrebbe saputo «difendere» la sua richiesta minima, ovvero un anno di stop. Di più, secondo alcuni esperti c'era altresì il rischio che il TAS avrebbe potuto rispedire al mittente l'appello.