Totò Cabibbo: «Dalla Sicilia a Massagno con il sogno dell’Eurolega»
L’orario dell’intervista cambia più volte nel corso della mattinata. «Mi hanno messo una supplenza alla seconda ora, sentiamoci dopo», avvisa Salvatore Cabibbo, insegnante di educazione fisica a Como e assistente allenatore della SAM Massagno. In queste settimane, «Totò» sta facendo supplenza anche allo squalificato Robbi Gubitosa. Un’occasione per conoscere più da vicino il 46.enne, già coach dei Lugano Tigers.
Totò, com’è la vita di un docente di Como che allena a Massagno?
«Molto impegnativa. Fortunatamente, su mia richiesta, ho ottenuto di non insegnare mai alla prima ora, così ho tutto il tempo per accompagnare i miei due bambini a scuola. Inizio a lavorare alle 8.50, finisco alle 13.30 o alle 14.20, poi vado a recuperare Giuseppe, il figlio più grande. Andiamo a casa insieme, gli preparo da mangiare e alle 15.00 parto per Massagno. Dopo l’allenamento, affronto l’immancabile coda per tornare a Lipomo, dove abito. Arrivo verso le 20.00, ceno in famiglia e quando i piccoli sono a letto mi metto al computer per analizzare le partite e preparare i video da mostrare ai giocatori. Sono le mie giornate tipo dal lunedì al venerdì. Nel weekend c’è la partita».
Lombardo d’adozione, ma nato e cresciuto in Sicilia.
«Esatto. Nato a Ragusa, cresciuto a Santa Croce Camerina, dove ho giocato a pallacanestro fino ai 18 anni. In seguito mi sono trasferito a Roma per frequentare l’università: tre anni all’Istituto superiore di educazione fisica e due anni di laurea specialistica in Scienze e tecniche dello sport. Terminati gli studi, sono tornato in Sicilia, ho continuato a giocare per un po’, cominciando anche ad allenare nel settore giovanile della società in cui sono cresciuto. Ho fatto anche l’assistente in Serie B. Finché, nel 2012, ho deciso di inoltrare la richiesta per poter insegnare in provincia di Como. Mi hanno preso e non me ne sono più andato. Nel 2015 mi hanno raggiunto anche mia moglie e il nostro primogenito. Nel 2018, a Como, è poi nato Mattia».
Che giocatore eri?
«Di ruolo guardia, ma non ero un granché. Non sono mai andato oltre la Serie C, però ero già un allenatore in campo: motivavo i compagni, cercavo di portare positività. Di questa cosa sono molto orgoglioso. Nelle mie squadre vorrei sempre avere giocatori così. Ne basterebbe uno, ma non è mai scontato trovarlo. È più facile cercare delle scuse che prendersi delle responsabilità. Alla SAM siamo fortunati e un po’ mi rivedo nel nostro Isaiah Williams. A livello tecnico non c’è confronto, ovvio, ma io avevo la sua stessa attitudine».
Nel 2016 sei approdato in Ticino come assistente di Nicola Brienza ai Tigers. Nel 2017 sei diventato il vice di Gubitosa a Massagno. Nel 2019 sei tornato a Lugano come capo allenatore. Poi, nel 2022, ti ha richiamato la SAM. Come mai sei così conteso dalle nostre due squadre di Serie A?
«Bisognerebbe chiederlo ad altri. Forse vengo apprezzato per il mio carattere. Sono un tipo puntiglioso, ci tengo a fare le cose per bene. Anche se di mestiere sono un insegnante, per me fare l’allenatore o l’assistente allenatore di basket è una cosa molto seria. Voglio essere il più professionale possibile».
Quanto basket c’è nelle tue lezioni di educazione fisica?
«Purtroppo molto poco, perché le strutture dell’istituto scolastico in cui insegno non sono particolarmente adatte».
Tigers e SAM: così vicini, così lontani. Sono due mondi diversi?
«Sono due società che stanno vivendo fasi diverse. In passato il Lugano ha avuto grandi momenti di successo, mentre ora le condizioni per ottenere risultati importanti sono di casa a Massagno. Io all’Elvetico ho avuto la possibilità di fare il capo allenatore: un’esperienza importante, che mi ha fatto crescere e maturare. Essere l’head coach è completamente diverso da essere il vice».
Ma allora perché hai fatto un passo indietro, tornando assistente?
«Perché Robbi Gubitosa è tornato a cercarmi e il suo progetto per la SAM mi è piaciuto».
Sei il suo erede designato, ma quest’anno Robbi ha deciso di restare in sella per un altro anno. Arriverà anche il tuo momento?
«Per come era finito lo scorso campionato, con i fatti che ben conosciamo e la sua squalifica, capisco la sua scelta di continuare. Se a giugno deciderà di smettere e di affidarmi la squadra, io sarò pronto. Confesso che per me sarebbe la soluzione ideale. Il mio obiettivo è fare l’head coach e la SAM è una squadra ambiziosa e forte, in cui potrei dimostrare le mie qualità. Parlarne adesso, però, è prematuro. Non ho l’ansia di sapere cosa succederà tra sette mesi. Nel frattempo, ho iniziato a coltivare il mio desiderio di migliorare e di scoprire, attraverso corsi e stage, le metodologie di lavoro in una pallacanestro di più alto livello».
Coltivare in che modo?
«Tutto è iniziato frequentando on-line, per un periodo di sei mesi, l’accademia degli allenatori di Eurolega, scoperta grazie a un annuncio su Facebook. In questo modo ho conosciuto tante persone e ho avuto la possibilità di svolgere degli stage in alcuni club di Eurolega. Ho visto all’opera, da vicino, alcuni grandi allenatori, con i quali ho potuto confrontarmi su temi tecnici e tattici, ma anche sulla gestione dei giocatori. Ho potuto assistere a quattro giorni di allenamenti del Bayern Monaco di Andrea Trinchieri, mentre preparava la sfida contro l’Olympiakos. L’anno scorso sono stato quattro giorni a Belgrado per seguire il Partizan di Željko Obradovic. Negli ultimi tre anni, ho inoltre assistito a otto allenamenti dell’Olimpia Milano. Quest’anno avrei dovuto fare uno stage da loro, ogni mattina, sull’arco dell’intera stagione, ma alla fine è saltato perché un assistente dei Milwaukee Bucks ha preso il mio posto (ride, ndr). Dovrò pazientare, sono in lista per l’anno prossimo».
Parli di queste esperienze con un entusiasmo coinvolgente.
«Queste cose mi piacciono un sacco. Ho tanta passione, sì, ma anche l’obiettivo di raggiungere quei livelli. Il mio sogno è poter entrare, un giorno, nello staff di una squadra di Eurolega. Intanto mi preparo, così, se il sogno si avverasse, saprei già cosa aspettarmi».
Non è un segreto: ti voleva anche l’Olympic Friburgo.
«Due anni fa ho svolto uno stage di 15 giorni da loro. Alla fine, Petar Aleksic mi ha proposto di entrare nel suo staff tecnico come secondo assistente. Inoltre, mi avrebbe affidato la Under 18 dell’Academy, dove giocava anche suo figlio. Ero molto attratto da quel tipo di lavoro, in un club ben strutturato che giocava pure in Europa. Dopo averne parlato con mia moglie, avevo deciso di accettare. Poi, riflettendoci meglio, ho rinunciato. Per la mia famiglia sarebbe stato difficile. Siamo soli, qui non abbiamo parenti a cui appoggiarci in caso di necessità. E anche mia moglie lavora».
E così l’Olympic è diventato il nemico giurato, il rivale numero uno della SAM Massagno.
«Sabato a Nosedo vivremo un nuovo capitolo di questa bella sfida. Sarà una partita significativa per vari motivi. Vincere sarebbe importante per la classifica, per restare a contatto del primo posto. Sappiamo bene quanto conti il fattore campo nei playoff. Battere il Friburgo, inoltre, ti dà una bella carica e ti fa capire di essere sulla buona strada. Rispetto alla nostra vittoria in Supercoppa, troveremo un Olympic diverso, con un Kazadi in più e tanta voglia di rivincita».
In conclusione, come stai vivendo il periodo da sostituto head coach che durerà altre 5 partite?
«Molto serenamente. Conosco i giocatori e loro mi rispettano. Sono ben inserito nell’ambiente. E i due anni da allenatore ai Lugano Tigers mi hanno insegnato molto. Negli allenamenti settimanali il coach resta Gubitosa. È lui a preparare le partite. In gara devo prendere tante decisioni in modo rapido, ma non ho paura di sbagliare. Con Robbi ci sentiamo nell’intervallo. Ci confrontiamo. Poi discutiamo ancora a fine gara. Lo scorso sabato a Monthey è andata molto bene. Era importante un riscatto immediato dopo la sconfitta di Vevey».