La storia

Trent’anni fa l’Ambrì completò la sua «rivoluzione russa»

Nell’estate del 1994 la squadra biancoblù venne affidata ad Alexander Jakushev, primo allenatore di scuola sovietica nella storia del club e della LNA
Alexander Jakushev (a destra) insieme a Petr Malkov, suo assistente allenatore, ma anche indispensabile interprete. © Keystone
Fernando Lavezzo
23.08.2024 06:00

Trent’anni fa, nell’estate del 1994, l’Ambrì Piotta ingaggiò l’allenatore Alexander Jakushev, completando così quella «rivoluzione russa» iniziata nel 1991 con la prima coppia di giocatori di scuola sovietica della storia del club, l’ucraino Petr Malkov e il russo-kazako Yuri Leonov.

Una trattativa laboriosa

Il 6 giugno del 1994, l’Ambrì Piotta sciolse gli ultimi dubbi sul successore del tecnico canadese Perry Pearn alla guida della prima squadra. Il nome di Alexander Jakushev circolava già da qualche settimana, ma anche altri candidati – tutti russi: Boris Michailov, Igor Dimitriev e Vladimir Jursinov – erano stati presi in considerazione e presentavano ottime credenziali. «Le trattative sono state lunghe e laboriose, ma alla fine siamo riusciti a spuntarla», disse con orgoglio il compianto commissario tecnico Sergio Gobbi, scomparso nel 2022. «Da parecchio tempo, visti i buoni risultati ottenuti con i giocatori di quel Paese, guardavamo alla Russia anche per l’allenatore», aggiunse.

Lo sguardo ad est

Come detto, la svolta (ex) sovietica avvenne già nel campionato 1991-92 con l’arrivo in Leventina degli attaccanti Petr Malkov e Yuri Leonov, successori degli indimenticati canadesi Dale McCourt (nominato vice del coach Bryan Lefley) e Mike Bullard. Nel 1992-93, a causa dei gravi infortuni di Malkov e Leonov, approdarono alla Valascia anche Igor Dorofeyev e Sergei Martynyuk. Nel 1993-94, stagione in cui Leonov giocò soltanto 21 partite e Malkov, rientrato dopo un anno di assenza, appena 12, fu Igor Fedulov a trascinare l’attacco biancoblù. Poco più di una meteora, invece, il gigantesco Oleg Maltsev. Eliminato ai quarti di finale dal Lugano nella decisiva gara-5, a fine stagione l’HCAP decise di cambiare rotta anche in panchina, volgendo lo sguardo a est. «Un passo che andava fatto per dare nuovi stimoli», disse Gobbi.

Un monumento

«Gran maestro russo per l’Ambrì», titolò il Corriere del Ticino del 7 giugno 1994 annunciando l’arrivo del 47.enne Alexander Jakushev, già allenatore dello Spartak di Mosca (1989-1993) e reduce da un’esperienza alla guida dell’EK Zell am See nella seconda divisione austriaca. Impressionante il suo curriculum da giocatore: 569 partite e tre titoli nazionali con lo Spartak, 218 presenze e 140 reti con l’URSS, 8 titoli mondiali e due ori olimpici. Insomma, un monumento dell’hockey.

In Ticino, Jakushev era già stato due anni prima. Solo una toccata e fuga all’aeroporto di Agno per accompagnare due attaccanti del suo Spartak, Igor Boldin e Nikolai Borschevski, destinati al Lugano. Sembrava tutto fatto, ma poi il primo si spezzò le gambe in un incidente stradale a Mosca e il secondo si trasferì a Toronto, in NHL.

Ci vuole il traduttore

Alexander Jakushev non fu soltanto il primo allenatore russo dell’Ambrì Piotta, ma dell’intera LNA. Stabilitosi ad Airolo con la moglie nell’agosto del 1994, venne presto soprannominato «lo zar della Leventina» per lo sguardo severo. Al suo arrivo, iniziò a prendere lezioni di italiano, ma di fatto parlava solo russo e poco tedesco. Indispensabili, per comunicare con i giocatori e la stampa, furono le traduzioni del suo assistente, Petr Malkov.

A livello tecnico, Jakushev portò subito la sua filosofia: «La prima cosa, nella scuola russa, è la ricerca del gioco collettivo nel quale ogni gesto tecnico va eseguito alla massima velocità possibile, supportato da un pattinaggio rapido e dalle abilità individuali. Ogni linea deve saper essere offensiva e difensiva. Se ce ne sarà una che penserà solo a segnare, trascurando la difesa, la cambieremo». Quasi una minaccia.

Alti e bassi

Insieme a Jakushev, dalla Russia – via Boston Bruins – arrivò anche l’attaccante Dimitri Kvartalnov, schierato all’ala del confermato Fedulov. Il sogno di portare in Leventina Valeri Kamensky, corteggiato durante l’estate ma trattenuto dai Québec Nordiques, si concretizzò per una dozzina di partite durante il «lockout» della NHL. In quella prima stagione sotto la guida di Jakushev, l’Ambrì chiuse la regular season al terzo posto, ma venne eliminato dal Berna nei quarti di finale con un secco 3 a 0.

Nel 1995-96, con Igor Chibirev al fianco di Kvartalnov, i biancoblù iniziarono a carburare dopo la pausa natalizia, proprio quando il futuro di Jakushev aveva iniziato a vacillare. Il raggiungimento della semifinale, poi persa 3 a 0 contro il Kloten, convinse l’HCAP ad andare avanti con il tecnico russo per un altro anno. E questo – come si può leggere nelle cronache dell’epoca – nonostante la nuova commissione tecnica (con Fiorenzo Panzera e il suo braccio destro Raffaele Jelmini al posto di Sergio Gobbi) avesse una visione diversa. La stagione 1996-97 – con il super trio Kvartalnov-Chibirev-Petrov – prese subito una brutta piega. E il 5 novembre del 1996 Jakushev venne licenziato. Al suo posto, il club puntò su un profilo completamente diverso, soprattutto a livello caratteriale: Larry Huras.

«Mai un complimento»

Il licenziamento di Jakushev fece emergere i malumori dello spogliatoio. Panzera e Jelmini, nel frattempo dimessisi dalla commissione tecnica, avevano da tempo sottolineato le carenze del russo nei rapporti personali. La squadra, come riporta il CdT del 6 novembre 1996, rimproverava al tecnico la freddezza e la mancanza di impulsi, entusiasmo e partecipazione: «Mai un complimento o un consiglio, solo rimproveri, considerazioni negative e silenzi».

Jakushev, a dire il vero, accettò l’esonero da gran signore. Curiosamente, posò insieme a Larry Huras e al compianto presidente Emilio Juri per una foto surreale, in un simbolico passaggio di consegne. «Lui sorride perché ha le vacanze pagate», scherzò Huras, sfoderando subito le sue doti di intrattenitore e scusandosi «per non parlare ancora italiano e russo». Il canadese non riuscì a portare quell’Ambrì ai playoff. Negli anni successivi, però, lo condusse a tre coppe europee e alla finale del 1999 contro il Lugano. Con un solo superstite della rivoluzione russa: Oleg Petrov.