Market Outlook

Geopolitica, mercati e imprese

Un nuovo ordine mondiale condiziona investimenti ed economia reale - La seconda parte del 2023 ed il 2024 possono essere una fase di transizione
©Gabriele Putzu
Gian Luigi Trucco
03.07.2023 09:00

Quando una crisi geopolitica scoppia, oppure si aggrava, ciò si riflette sui mercati finanziari.

Di solito salirà l’oro con gli altri beni rifugio ed il petrolio nel caso la crisi coinvolga aree di produzione o di transito. Diminuiscono gli investimenti, i mercati azionari cedono, ma vendere in condizioni di panico è sempre una mossa controproducente, e talvolta le fasi più acute di una crisi si rivelano una buona opportunità di acquisto. Di solito, calma e pazienza vengono premiate, come rivelano le analisi di istituzioni specializzate. Considerando ad esempio «casi» quali la Guerra del Golfo, gli attacchi terroristici in Europa, l’11 settembre o le crisi fra Russia, Georgia ed Ucraina, nella maggior parte dei casi gli indici azionari risalgono dai minimi nell’arco dei successivi sei mesi, raggiungendo do spesso livelli superiori. Le ricerche empiriche rivelano una diminuita sensibilità dei mercati nei confronti degli eventi militari e terroristici, anche se una grande importanza è data dalla correlazione fra evento e fase del ciclo economico. Una recessione amplifica gli effetti, come avvenne per l’embargo petrolifero del 1973 o l’invasione irachena del Kuwait nel 1990. Oggi, nella fase post-pandemia, gli eventi geopolitici si incrociano con lo <scontro USA-Cina, la nuova globalizzazione centrata su «cluster» economici, commerciali e finanziari creati su basi di affinità ideologica e politica, su transizioni energetiche e tecnologiche e su nuove forme di attacco anche geopolitico e militare.

Esiste un indicatore, molto seguito, che misura il livello di rischio geopolitico: è il Geopolitical Risk Index (GPR), ideato negli USA da Dario Caldara e Matteo Iacoviello, che considera, attraverso ricerche testuali automatizzate, le news riportate da giornali internazionali su tensioni geopolitiche, potenziamento militare, minacce di guerra, minacce terroristiche, minacce nucleari, inizio di una guerra, escalation, attacchi terroristici. L’indice GPR comprende due sotto-indici: uno relativo alle «minacce» ed uno agli «eventi» accaduti. È interessante notare come a gravare negativamente sui mercati sia sovente più la fase di minaccia ed il protrarsi di una situazione critica ed incerta, che non la sua risoluzione, anche se in forma acuta e drammatica.

Le crisi geopolitiche impattano anche le imprese. Lo evidenzia una ricerca condotta dal Credit Suisse fra il 2022 e l’inizio del 2023 su 650 imprese svizzere, in gran parte medie e piccole. Dopo pandemia e strozzature logistiche, sono venute sanzioni, contromisure, nuove turbolenze, rischi ed opportunità da soppesare con attenzione.

I quesiti sottoposti alle aziende riguardano fra l’altro l’andamento dei rischi commerciali con l’estero e l’eventuale sospensione di relazioni, il peso delle regolamentazioni, i prezzi dei fattori di produzione e le strategie adottate per contrastare gli aumenti dei costi, un eventuale riorientamento della loro politica commerciale con l’estero ed il timore di eventuali rischi reputazionali che i nuovi scenari geopolitici possono determinare. Anche se il tema dominante appare quello dei conflitti armati, delle minacce socio-politiche e delle relative conseguenze, anche le frizioni di natura commerciale vanno considerate, con il loro corollario di iper-regolamentazioni, burocrazia, procedure talvolta macchinose, problemi di omologazione che crescono invece di snellirsi.

L’inchiesta rivela come ciò non sempre riguardi Paesi lontani, visto che la pressione regolamentare si manifesta ad iniziare dall’Unione Europea. Si vedano le norme «green» ed ambientali o quelle sulla protezione dei dati. E quanto al ritirarsi da un Paese divenuto «sensibile», come nel caso della Russia, il distacco sovente non può essere brusco per ragioni economiche e tecniche, ad iniziare dagli investimenti effettuati, ma progressivo.

Si può anche decidere di rimanere, mettendo in conto i rischi relativi. Un capitolo importante dello studio riguarda l’esplosione dei prezzi di molte materie prime con la ripresa della domanda post-Covid, i forti aumenti dei noli e dei costi di trasporto e di assicurazione, i ritardi e le mancate consegne e quanto ne è seguito. Il vecchio Just-intime ha ceduto così il posto all’incremento delle scorte di magazzino, alla diversificazione dei fornitori ed alla ricerca di controparti più vicine ed affidabili. Il «reshoring», cioè il rimpatrio di lavorazioni o loro fasi, si rivela in realtà più difficile di quanto sembri.

Per molte imprese i margini operativi sono calati, ma solo il 10% delle aziende interpellate ha operato tagli del personale. A preoccupare di più (circa il 50% del campione) sono gli attacchi informatici e le azioni negative provenienti dai social media. E l’incertezza, se è vero che non piace ai mercati finanziari, è ancor meno gradita all’imprenditore ed al manager.