"Gli asini? Utili, pazienti e bastonati"

INTERVISTA A ROBERTO FINZI, autore di "Asino caro o della denigrazione della fatica", un saggio sui pregiudizi che assorbiamo e trasmettiamo senza pensarci
Tommy Cappellini
Tommy Cappellini
06.04.2017 00:15

Un libro sull'antisemitismo (Il pregiudizio. Ebrei e questione ebraica in Marx, Lombroso, Croce), uno sul maiale (L'onesto porco. Storia di una diffamazione) e ora uno sull'asino (Asino caro o della denigrazione della fatica, Bompiani, pagg. 272, euro 13). Professor Roberto Finzi, da dove deriva questa passione intellettuale per, si direbbe, le vittime di una violenza, nel migliore dei casi, profondamente calunniatrice?

«Le radici sono lontane. Ma stiamo a quelle più vicine. Mi colpì molto, studiando l'applicazione delle leggi antisemite italiane nelle Università, quel che si dette dopo la Liberazione. In particolare certe pagine di Croce, Merzagora e Omodeo. Tutti antifascisti e non antisemiti ma portatori e trasmettitori di un "pregiudizio" che sta pure là dove parrebbe che non potesse annidarsi: tra gli scienziati e i grandi innovatori. Nacque così il libro Il pregiudizio, uscito per Bompiani nel 2011. Diversi tra i temi di fondo erano già in un precedente librino del '97 pubblicato da Giunti e che ha girato il mondo».

Pregiudizi: li assorbiamo e li trasmettiamo troppo alla leggera, senza pensarci. È così?

«Noi uomini comuni ma anche i "grandi". Ad esempio – l'ho scoperto dopo che il libro era già in stampa – uno svizzero, ma francese d'adozione, come Le Corbusier proprio sull'asino. I due volumi che ho dedicato al maiale e all'asino sono anche divertissements ma soprattutto, come dire, un " monito" – ohibò – per fare intendere come il linguaggio non sia neutro, abbia lontanissime radici, una storia. Chissà se divenirne consapevoli non aiuti ad avere una visione più critica, meno piatta della realtà».

Approfondiamo. Nella storia è venuta consolidandosi la nobiltà del cavallo e la «cretineria» dell'asino. Questione estetico-morale? Oppure vi sono anche ragioni concrete, economiche, dietro questa preferenza?

«Nel '500 un notevolissimo e influente agronomo bresciano, Agostino Gallo, si chiedeva perché mai l'asino costasse meno del cavallo e dava una risposta sociale. Moltissimi ricchi o nobili avrebbero potuto servirsi del somaro per le loro esigenze, poiché il cavallo è più costoso e più facile preda di malattie. Il cavallo, però, non solo è più maestoso, è più veloce. Per questo, fin dai tempi di Ciro il Grande, è stato usato, attraverso un vero e proprio sistema di posta, per diffondere rapidamente notizie e ordini. Gli autori classici, ad esempio Virgilio, ne parlano soprattutto come di un animale "sportivo", per le gare circensi. Si usava anche in guerra ma la sua essenzialità bellica si ha solo nel Medioevo, con la "cavalleria pesante". Poi è adatto, più dell'asino, all'aratro nei terreni non dell'area mediterranea ma dell'Europa continentale. Ciononostante Buffon, ad esempio, dice che non ci fosse il cavallo il primo tra gli animali sarebbe l'asino».

Che tuttavia s'è fatto fama di «cretino».

«Lei allude a un aspetto decisivo: l'essere l'asino ritenuto – uso le sue parole – "cretino", che è termine, dicono gli etimologi, derivante dai dialetti savoiardo e del Basso Vallese e che ha la sua radice, parrebbe, in "cristiano", come dire che il cretino è "un povero cristo". Come l'asino, che è aiuto, dice l'Encyclopédie, della povera gente».

Ha alcune caratteristiche atte alla bisogna.

«È un animale, mi richiamo ancora a Gallo, paziente e sempre pronto a servire uomini e donne, poveri e ricchi, sani e pazzi, religiosi e laici, peccatori e credenti, senza mai chiedere nulla e portando some che, compreso l'uomo che lo cavalca, superano di due o tre volte il peso dello stesso animale. E nondimeno gli asini "caminano gagliardamente per li fanghi, et per li sassi come se fussero tanti Elefanti"».

Gli asini, simbolo del faticare?

«Già. Sarà allora strano che un trovatore declami "tels les asnes, tels les vilains", tali gli asini, tali i contadini?».

Purtuttavia l'asino ha una sua ambiguità. Da una parte, è animale evangelico (Cristo entra a Gerusalemme, la domenica delle Palme, in groppa a un ciuco), dall'altra fa sovente la figura del lussurioso. Che considerazione fare su tale doppiezza?

«Dobbiamo fare un po' di storia. L'asino è animale "evangelico" in quanto, per così dire, simbolo di povertà. Nelle culture preclassiche, è però, secondo molti, anche simbolo demoniaco. E nella cultura classica, greca e latina, è connesso alla lussuria. Qui ci sono appunto due aspetti. Primo: l'asino, per quanto non molto prolifico, ha grandi appetiti sessuali. Forse, chissà, per rimediare alla scarsa prolificità. Secondo: tra i quadrupedi l'asino sembra avere il membro più grande. E allora in diversi autori, in particolare in Apuleio ma pure nel suo ispiratore, Luciano di Samosata, l'asino diventa oggetto di desiderio da parte della donna».

A tal punto la figura dell'asino si mescola alla «questione femminile»?

«A tal punto! Nell'immaginario collettivo maschile, impaurito dalla potenza sessuale femminile, germina l'idea che la donna, nel cercare il piacere attraverso membri di dimensioni notevoli, aspiri all'asino, non a caso animale associato a Priapo. Più in generale la donna è vista come affetta da zooerastia, dal desiderio di accoppiarsi con un animale».

Quella che gli inglesi definiscono «bestiality». Ma andiamo al capitolo sette del suo libro. I due animali del presepe, il bue e l'asino, sono proposti quali «segni di forze opposte». In entrambi, però, possiamo rintracciare l'attributo della pazienza, della sopportazione. Virtù rarissima nel mondo animale. Non è una misteriosa eccezione, questa dell'asino e financo del bue? 

«Non sono in grado di dire come l'asino, e pure il bue, abbiano o sviluppino la "virtù" della pazienza. Che nell'asino non è assoluta. Si impunta, non di rado. E, se lo si disturba, scalcia. Simbolicamente, per dirla con il sottotitolo di un famoso giornale satirico chiuso dal fascismo che si chiamava appunto L'asino: "Come il popolo è l'asino: utile, paziente e bastonato". Ma, aveva osservato già nel XIII secolo un grande giurista, i contadini, il popolo di allora, "quando si trovano riuniti diventano cattivi e tutti insieme sarebbero capaci di mettere in difficoltà persino Carlo Magno". Magari è per questo che l'asino sarebbe un simbolo "demoniaco" e che il presepe rappresenterebbe il Cristo che viene al mondo tra le due opposte forze della natura umana: il bene e il male».

Ora occorre che lei prenda una decisione, per non finire dalle parti dell'asino di Jean Buridan e per chiudere quest'intervista in bellezza. Tra maiale e asino, come storico, quale preferisce?

«Mah! Se debbo dar retta ai piaceri della gola non potrei che dire il maiale. Il mio vissuto, però, mi porterebbe ad altro. Da bambino ho passato molto tempo in campagna di mio nonno materno, che aveva un asino cui ero molto affezionato. In quelle condizioni non si poteva dare rapporto con il maiale chiuso nello "stalletto" e sempre a rotolarsi nei suoi escrementi, per necessità, non per scelta. Privo di ghiandole sudoripare, il maiale ha bisogno di stare in ambiente umido. Lo mettessero vicino a un ruscello d'acque limpide, vi si getterebbe. Non posso quindi scegliere: maiale e asino sono entrambi vittime del pregiudizio, alla pari. E così ho fatto diversamente dall'asino di Buridano: ho preso quel che mi serviva dai due sacchi».

Sul Corriere del Ticino in edicola il 6 aprile 2017 una pagina di approfondimento "ticinese".

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