Il punto

Twitter e pubblicità, che succede?

La piattaforma, parola di Elon Musk, ha perso circa il 50% dei ricavi pubblicitari e, ora, cerca di frenare l'emorragia puntando sui cosiddetti content creator – Ma la strada sembra in salita, se non peggio
© LUDOVIC MARIN / POOL
Marcello Pelizzari
16.07.2023 17:15

Twitter, che succede? La domanda, oramai, sta diventando una consuetudine. E questo perché, da quando Elon Musk è al timone, le cose non vanno bene. Anzi, vanno malissimo. Sembrerebbe che i guai, per l'eccentrico miliardario, siano come le ciliegie: uno tira l'altro. E così, dopo aver digerito (male, anzi malissimo) l'arrivo di Threads, rivoluzionato la piattaforma con regole tutto fuorché comprensibili, fra cui la limitazione di tweet al giorno, e gestito come meglio poteva il forte debito contratto per acquistare il social network, Musk ora deve fare i conti – in tutti i sensi – con un nuovo, vecchio problema. Il calo degli introiti pubblicitari, già. 

Che cosa ha detto il patron

È stato lo stesso patron a parlarne, spiegando che Twitter ha perso circa la metà delle entrate legate alla pubblicità sulla piattaforma. La voce principale in termini di entrate, nell'attesa (e nella speranza) di far crescere Twitter Blue o, meglio, gli abbonamenti. Più facile a dirsi che a farsi, visto il clima non proprio disteso e amichevole fra gli utenti. «Siamo sempre in una situazione negativa per il flusso di cassa, a causa di una caduta di circa il 50% dei ricavi pubblicitari e del peso consistente del debito» ha cinguettato il magnate. «Dobbiamo pervenire a un flusso di cassa positivo prima di permetterci il lusso di fare qualunque altra cosa» ha aggiunto. Un quadro, quello dipinto da Musk, mica tanto bello né tantomeno confortante.

Il proprietario di Tesla e SpaceX, ad ogni modo, non ha indicato in quale finestra temporale la sua creatura ha perso metà delle entrate pubblicitarie. A suo dire, tuttavia, i ricavi di Twitter nel 2023 si sarebbero fermati a 3 miliardi di dollari contro i 5,1 del 2021. 

C'è di più. L'ammissione da parte di Musk, letta in un discorso più ampio, significa altresì che i tagli, pesanti, varati dopo l'acquisizione non basteranno a riportare in attivo l'azienda. È vero, le uscite per l'anno corrente sono passate da una previsione di 4,5 miliardi a 1,5 miliardi. Ma all'equazione bisogna aggiungere gli interessi per i finanziamenti chiesti da Musk per portare a termine l'acquisto. E per accaparrarsi Twitter, ricordiamo, sono serviti 44 miliardi.

Il nodo dei ricavi

Spingere sui ricavi, insomma, sta diventando sempre più una questione di vita o morte per la piattaforma. Nell'ottobre del 2022, proprio per rassicurare gli inserzionisti, Musk aveva scritto e postato una lettera apparentemente scritta con il cuore in mano. Nella quale aveva spiegato di aver acquistato il social network «perché è importante, per il futuro della civiltà, avere una piazza digitale in comune». E ancora: «Non ho comprato Twitter perché sarebbe stato semplice farlo, o per fare soldi. L’ho comprato per provare ad aiutare l’umanità, che amo». Parole, queste, che evidentemente non sono state ascoltate o, peggio, cui il mondo della pubblicità non ha dato un gran peso. Anche perché, nel frattempo, Twitter ha abbracciato giorno dopo giorno una narrazione divisiva e vicina alla destra più destra repubblicana, con tanto di fake news e disinformazione al seguito. Molti inserzionisti, scontenti perché associati a contenuti inappropriati o, nella migliore delle ipotesi, controversi, di fronte a una moderazione oggettivamente blanda da parte di Musk hanno deciso di abbandonare la nave. Non solo, l'ottimismo sbandierato da Musk lo scorso aprile, in occasione di un'intervista con la BBC, sembra aver fatto spazio a un sano realismo: no, la maggior parte degli investitori non è tornata come aveva sentenziato il patron. Anzi.

Spingere sui ricavi, dicevamo. Di qui la scelta di nominare quale amministratore delegato di Twitter Linda Yaccarino, già responsabile della pubblicità presso NBC Universal. La strategia di quest'ultima è tanto semplice quanto, ancora, forse troppo ottimistica: lavorare sui video, sui cosiddetti content creator e sulle partnership commerciali. Proprio giovedì, nell'ottica di convincere i twittatori di peso a rimanere sulla piattaforma, Twitter ha annunciato che alcuni content creator potranno incassare parte dei ricavi pubblicitari. Un approccio di per sé nobile, se non fosse che siamo nel territorio del gatto-che-si-morde-la-coda: se l'obiettivo è blindare star della destra repubblicana come Tucker Carlson, difficilmente la piattaforma riuscirà a frenare l'emorragia di inserzionisti pubblicitari.

Riproponiamo la domanda: Twitter, che succede?

In questo articolo: