A Davos il decalogo della pace, mentre domani Zelensky arriva a Berna
È stato ribattezzato «decalogo della speranza». Sono i dieci punti che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha immaginato e messo nero su bianco per indirizzare un possibile percorso sulla via della pace nel conflitto con Mosca, esploso ormai quasi due anni fa. Dieci punti che difficilmente i russi potranno accettare ma che, al momento, non sembrano avere alternative.
Ne è convinto anche il «ministro» degli Esteri della Confederazione, Ignazio Cassis, che oggi ha difeso con convinzione l’utilità della «soluzione di pace» in dieci punti formulata da Zelensky. Il presidente ucraino, atteso per martedì al Forum, domani è a Berna per incontrare la presidente della Confederazione Viola Amherd con la quale terrà una conferenza stampa in programma nella seconda parte della giornata. A ricevere Zelensky anche lo stesso Cassis e il direttore del DFGP Beat Jans. Amherd vedrà in separata sede anche il primo ministro cinese Li Qiang (cfr. pagina 8). La notizia della visita ufficiale in Svizzera è stata data questa sera dal DFAE e dalla stessa presidenza ucraina. Nel suo ruolo di co-presidente del quarto incontro tra i consiglieri degli oltre 80 Paesi che sostengono l’Ucraina - incontro che si è tenuto oggi a Davos - Ignazio Cassis ha spiegato perché sia necessario continuare a lavorare in direzione di un cessate il fuoco definitivo.
«Né la Russia né l’Ucraina sono pronte a fare concessioni. Sarebbe quindi irrealistico insistere, per il momento su una conferenza di pace - ha spiegato il consigliere federale in una conferenza stampa - La cosa più importante è essere preparati». Il vertice di Davos, e il decalogo di Zelensky, sono quindi fondamentali perché, ha spiegato Cassis, permettono ai Paesi che sostengono Kiev «di parlare con una sola voce e di essere sulla stessa lunghezza d’onda».
Il decalogo, ha aggiunto il capo della diplomazia elvetica, non ragiona soltanto dell’aggressione russa contro l’Ucraina «ma, più in generale, di come evitare nuovi conflitti nel mondo». Un modo, anche, per convincere il maggior numero possibile di persone a un approccio che riesca a superare l’impasse in cui si trovano, al momento, l’ONU e il Consiglio di sicurezza.
Un obiettivo difficile
Ovvio che l’obiettivo finale sia un vero accordo di pace o, in una prima fase, colloqui cui partecipino tutte le parti in conflitto. All’incontro nei Grigioni, il quarto dopo quelli tenuti lo scorso anno in Danimarca, in Arabia Saudita e a Malta, non erano presenti né la Russia né la Cina - Pechino non ha rinunciato nemmeno in questa occasione alla sua ambigua e soltanto apparente posizione di neutralità - ma per la prima volta si sono trovati attorno allo stesso tavolo Paesi notoriamente amici di Mosca - l’Ungheria di Orbán, ad esempio - e i grandi attori del gruppo dei BRICS - India, Brasile, Sudafrica - oltre all’Arabia Saudita, alla Turchia e a numerosi altri Paesi africani. Cosa niente affatto scontata, fino a qualche tempo fa, visti i legami tuttora mantenuti da molte di queste nazioni con il Cremlino.
La «visione di Zelensky», ovvero i 10 punti discussi a Davos riguardano in dettaglio: sicurezza nucleare, sicurezza alimentare, sicurezza energetica, liberazione dei prigionieri di guerra e dei deportati, ritorno alla sovranità in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, ritiro delle truppe russe e cessate il fuoco, giustizia internazionale, ecocidio, meccanismo per prevenire il ripetersi di un’escalation e definizione della fine della guerra. Almeno la metà di essi era stata già presentata dal presidente ucraino nei precedenti incontri. Su singoli temi, infatti, sono al lavoro da tempo alcuni Stati: la Svizzera, ad esempio, si è impegnata sul fronte della sicurezza nucleare e alimentare e della definizione della fine della guerra, nel rispetto della sua neutralità. La Svezia, invece, come ha scritto Le Temps, «ha affrontato la questione dell’ecocidio perpetrato dalla Russia, forse il punto più innovativo» tra quelli presenti nel decalogo stilato dal presidente ucraino.
In attesa di nuovi aiuti
In ogni caso, l’Ucraina sembra essere convinta del sostegno ampio alla propria formula di pace, nonostante ancora oggi il Cremlino abbia bollato il decalogo come una iniziativa velleitaria e senza futuro.
A Davos, Kiev cerca soprattutto la conferma degli aiuti statunitensi ed europei. «Un semplice cessate il fuoco non porrebbe fine all’aggressione russa in Ucraina, ma darebbe solo una pausa all’aggressore per ricostruire le sue forze. Non è sicuramente la strada per la pace. I russi non vogliono la pace. Vogliono il dominio. Quindi, la scelta è semplice: o perdiamo e scompariamo, oppure vinciamo e continuiamo a vivere. E noi stiamo combattendo», ha detto il capo dell’ufficio presidenziale ucraino Andriy Yermak, co-presidente assieme a Cassis del summit odierno.
A Davos, ha chiosato in conclusione Andriy Yermak, si è parlato di «ordine mondiale e di giustizia: se non si ripristinano il diritto internazionale e la nostra integrità territoriale, domani qualsiasi aggressore in qualsiasi parte del mondo sarà in grado di impadronirsi di un pezzo di qualsiasi Paese e di organizzarvi elezioni fasulle. La pace che l’Ucraina cerca deve garantire la sopravvivenza, l’integrità, la sovranità e lo sviluppo del Paese. E deve prevenire il ripetersi di aggressioni».