Alain Berset a ruota libera sulle sfide della sanità
Dopo l’annuncio della «stangata» sui premi di cassa malati anche per il 2024, il presidente della Confederazione e «ministro» dell’Interno Alain Berset è stato ospite oggi pomeriggio al Palazzo dei Congressi di Lugano per parlare delle sfide del sistema sanitario. Lo abbiamo intervistato.
Lei ha
sempre sostenuto che per risolvere il problema dell’aumento dei premi di cassa
malati servono riforme, non rivoluzioni. Ora però la situazione si è aggravata
parecchio. E le soluzioni più radicali, come la cassa malati unica o i premi in
base al reddito, hanno sempre più sostegno. È sempre convinto che le riforme
siano sufficienti?
«Dipende di
quale riforma stiamo parlando. Evidentemente, se avessimo potuto far passare le
riforme proposte dal Consiglio federale, esse avrebbero aiutato molto. Il Consiglio
federale è quindi dalla parte delle riforme forti. Quella del 2019 e del 2022
erano riforme forti che avrebbero avuto effetti importanti. Ma dal Parlamento
non sono uscite quelle riforme proposte dal Governo. Sono state completamente
indebolite. Non si può quindi dire che, siccome ci sono state riforme che non
hanno praticamente cambiato nulla, il sistema delle riforme abbia fallito. No,
servono delle riforme forti. Oggi si parla solo di riforme deboli, oppure di
rivoluzioni. Ma tra queste due opzioni c’è una via di mezzo da perseguire. Ed è
ciò che il Consiglio federale ha cercato di fare. Dobbiamo rivoluzionare il
sistema? Se ne può discutere, ma non penso che cambierebbe velocemente la
situazione. Ciò che invece potrebbe cambiare in fretta lo stato delle cose,
sarebbe fare delle vere riforme».
L’attuale
impasse è anche dovuta al fatto che nel sistema ci sono molti attori diversi
con interessi divergenti. Il margine di manovra del Consiglio federale è troppo
limitato?
«È
forzatamente molto debole. Perché tutto ciò che è struttura e organizzazione
ospedaliera non è compito della Confederazione, ma dei Cantoni. Tutto ciò che è
approvvigionamento delle cure è anche compito dei Cantoni. Tutto ciò che
riguarda le tariffe è gestito dai partner tariffali. Il Consiglio federale ha
la responsabilità con il Parlamento dell’insieme del sistema. Un sistema in
cui, appunto, ci sono molti attori. Ci sono alcuni aspetti molto positivi, ma
ci sono anche aspetti negativi: ci sono talmente tanti attori con diverse responsabilità
che si può voltare lo sguardo dai problemi e dire: “Non è colpa mia, tocca agli
altri”. Penso che da questo punto di vista potremmo migliorare molto la
situazione, se aumentassimo in maniera molto importante la trasparenza, dicendo
chiaramente chi deve fare cosa».
Che cosa
si attende dai Cantoni? Pensa che il sistema dovrebbe essere centralizzato,
dando più potere alla Confederazione?
«Ciò che ci
attendiamo dai Cantoni è che facciano il loro lavoro: ad esempio attuando le
riforme ospedaliere necessarie e garantendo una pianificazione ospedaliera più
efficace, compresa una pianificazione intercantonale laddove è possibile. Poi,
ai Cantoni chiediamo di essere molto più attivi nel verificare e controllare il
buon sviluppo dell’offerta sanitaria sul loro territorio. Detto diversamente: i
Cantoni sono chiamati a utilizzare gli strumenti a loro disposizione e avere
anche il coraggio di dire: di questi due o tre studi medici non abbiamo
bisogno. Ai Cantoni chiediamo di darsi gli strumenti per meglio pilotare
l’offerta. Detto ciò, bisogna pure riconoscere che nei Cantoni dove è stata
proposta una riforma ospedaliera coraggiosa, in generale la popolazione ha
detto no. E alcune iniziative popolari sono state fatte per cementare la
situazione. Ma poi, se impediamo pianificazioni coraggiose, non bisogna
sorprendersi che i costi aumentano».
Sarebbe
favorevole a attribuire la competenza delle pianificazioni ospedaliere alla Confederazione?
«No, a
priori no. Sarebbe una rivoluzione. Sono molto scettico su questa idea. Se i
Cantoni volessero parlarne con la Confederazione saremmo aperti alla
discussione. Ma non è un impulso che può venire dalla Confederazione».
Per una
semplice questione demografica la popolazione sta invecchiando. E ciò si
riflette sui costi. C’è chi propone di finanziare in maniera separata i costi
per le persone anziane e per le persone giovani. Che cosa ne pensa?
«Non
funziona. Sarebbe la fine della solidarietà. Vorrebbe dire che le persone
anziane e malate dovrebbero arrangiarsi per risolvere i propri problemi e
invece chi è giovane e sano non finanzierebbe nulla solo perché è in buona
salute. La solidarietà è tutta un’altra cosa. Poi va detto che la salute non è
solo una questione d’età: ci sono pure giovani con gravi problemi di salute e
ci sono persone anziane in buona salute. Questo sistema esiste affinché ognuno
possa affrontare i problemi di salute avendo a disposizione un sistema
sanitario di qualità. Si pensi ai trattamenti per il cancro, che magari costano
300 mila franchi. Chi potrebbe permettersi di pagare una tale trattamento?
Nessuno. Ebbene, grazie all’assicurazione malattie obbligatoria chi è in buona
salute contribuisce affinché quella persona possa avere accesso a prestazioni
di qualità. Lo ribadisco: separare giovani e anziani vorrebbe dire eliminare la
solidarietà».
La
preoccupa il fatto che potrebbe diventare una questione di lotta tra
generazioni?
«Penso che
uno scontro tra generazioni è più probabile nella previdenza vecchiaia. Lì c’è
un vero e proprio effetto generazionale. Non nella sanità, dove tutti, giovani
e anziani, possono a un determinato momento della loro vita aver bisogno di
cure».
Lei ha
ormai quasi finito il suo mandato come consigliere federale. Quale eredità
lascia al suo successore alla testa del Dipartimento dell’interno?
«È un
dipartimento appassionante. Direi anche che è il più bello. Perché è il solo in
cui si è a diretto contatto con le preoccupazioni quotidiane della gente. Tutti
hanno a che fare con le casse malati, tutti pianificano la propria pensione, tutti
hanno accesso alla cultura. E mi fermo qui, ma potrei continuare. È un
dipartimento interessante che tocca direttamente la vita della gente. Ma
dirigerlo è anche un impegno molto importante. Perché è un dipartimento enorme,
molto complesso e con interessi in gioco immensi. Al mio successore, dunque,
auguro di avere molte energie e di avere anche il coraggio di prendere
decisioni che non sono sempre per forza popolari».