«Alta Vallemaggia, una catastrofe da cui trarre insegnamenti»
La sala delle conferenze della Centrale comune di allarme di Bellinzona è gremita. A oltre due mesi, la catastrofe che ha colpito l'Alta Vallemaggia e che ha provocato sette morti – mentre una persona manca ancora all'appello – è ancora il tema del giorno. Una catastrofe da cui trarre insegnamenti per il futuro, hanno ribadito le autorità.
Finisce lo Stato Maggiore, ma si apre una nuova fase per la Val Bavona e la Val Lavizzara. Il Consiglio di Stato ha creato un gruppo che entra nella terza fase della ricostruzione, ha affermato Norman Gobbi. Christian Vitta, presidente del Consiglio di Stato, ha ricordato come siano passati «oltre due mesi, dalla notte di fine giugno, ma le immagini e le sensazioni sono ancora vive nella memoria. Le immagini ci hanno mostrato tutta la potenza che si era scatenata in quelle ore. Ricordo anche la solidarietà della comunità ticinese, che si è attivata a favore della comunità dell'Alta Vallemaggia. Abbiamo reagito, attivando tutti i dispositivi necessari per affrontare l'emergenza. Da questa esperienza potremo trarne insegnamenti per migliorare. Si tratta di eventi straordinari. Oggi si conclude il supporto dell'Esercito e domani sarà l'ultimo giorno operativo dello Stato maggiore regionale di condotta. Ma la fine della gestione di crisi non significa che il lavoro sia terminato. Anzi, Comuni, Cantone e Confederazione dovranno continuare a lavorare fianco a fianco per ricostruire e dare un futuro a queste regioni».
Vitta ha sottolineato l'impegno della Confederazione a voler stanziare 56 milioni di franchi, un importo destinato a tutti i cantoni colpiti dalle alluvioni (Ticino, Grigioni, Vallese, Vaud e Berna). «Abbiamo preso atto del sostegno finanziario da destinare alla ricostruzione. Attendiamo di vedere la documentazione per esprimerci in merito. In ogni caso, il percorso per la ricostruzione richiederà tempo». Il 52.enne ha concluso dedicando un pensiero, a nome del Governo, «alle persone che hanno perso la vita nel corso della notte, così come alle famiglie e ai loro cari». In sala si è tenuto un minuto di silenzio.
«Supporto decisivo dell'esercito»
Norman Gobbi, vicepresidente del Consiglio di stato e direttore del Dipartimento delle istituzioni, ha ripercorso le tappe dell'emergenza dalle prime ore: «In quei momenti, era difficile capire cosa fosse successo. Vuoi per l'interruzione della strada, vuoi per l'interruzione delle comunicazioni. Ma già domenica eravamo a Locarno con i sindaci di Cevio e Lavizzara per manifestare la nostra vicinanza. Dobbiamo fungere da supporto dei Comuni e gestire le crisi locali, come Dipartimento delle istituzioni».
Il consigliere di Stato ha ribadito come sia stato «giusto chiedere l'intervento dell'Esercito. «Un supporto decisivo ma non scontato. Se vediamo altri luoghi nell'arco alpino, ci vogliono nullaosta o procedure da seguire». Il 47.enne ha tracciato anche una riflessione per il domani: «In tutta questa esperienza, fatta in questi ottanta giorni ma soprattutto nelle prime fasi nei comuni di Cevio e di Lavizzara, abbiamo tratto degli insegnamenti per il futuro. Uno, per esempio, è quello di definire dei punti di raccolta d'urgenza o l'introduzione di soluzioni tecniche per le comunicazioni via satellite. Un altro elemento che abbiamo affrontato come Consiglio di Stato, è stata la costituzione di una Commissione per la gestione dei fondi per la quale è necessario creare una base legale per il futuro».
Sette morti e un disperso
Maurizio Dattrino, divisionario capo della divisione territoriale 3, ha ricapitolato le attività frenetiche dei primi istanti: «Evacuazione, ricerca di persone scomparse. Avevamo la fortuna, se così si può definire, che nello stesso periodo si stava tenendo un corso di formazione alla Base aerea di Locarno. Questo ci ha permesso di dirottare una serie di risorse sull'Alta Vallemaggia». Il 59.enne ha elencato anche le operazioni successive: «Abbiamo poi costruito il guado a sud del ponte di Visletto, poi il ponte provvisorio. La seconda fase, invece, è stata di appoggio ad attività civili con mezzi militari. Un gruppo di soldati ha trascorso quasi due mesi in Alta Vallemaggia per dare una mano. Un secondo gruppo ha continuato i lavori a supporto del ripristino completo dell'acquedotto in zona Fontana. Settimana scorsa abbiamo effettuato l'ultimo tentativo con il comando “Kamir” (esperti normalmente impiegati nello sminamento, ndr) per trovare la persona ancora dispersa, ma purtroppo le contaminazioni metalliche presenti nel terreno non hanno permesso di ottenere l'esito sperato». Il militare ha evidenziato l'atmosfera di riconoscenza che si riscontra sul posto da parte della popolazione: «Sono contento di ricevere i ringraziamenti da parte della popolazione civile».
«Ai Ronchini di Aurigeno si respirava l'ansia dei parenti»
Antonio Ciocco, capo dello Stato maggiore regionale di condotta, ha sottolineato «la reazione immediata della Protezione civile e dei vari enti. L'assenza di corrente e di comunicazione ha limitato parecchio la raccolta di informazioni. Abbiamo integrato un sistema cartografico che ci ha permesso di ottenere grandi risultati. Nel corso del pomeriggio, la perdita di ammoniaca alla pista di Prato Sornico ha complicato le operazioni. Nel contempo, abbiamo ripristinato le comunicazioni, svolgendo anche attività di prossimità, infondendo speranza nei confronti di chi si trovava sul posto. Ai Ronchini di Aurigeno si percepiva ansia da parte di parenti e amici che dalla valle aspettavano l'arrivo delle persone care in elicottero», ha concluso il 59.enne.
«Un evento esteso, una cinquantina di frane»
All'incontro aperto anche Patrik Arnold, comandante della Protezione civile Locarno e Vallemaggia: «Abbiamo affrontato due fasi, quella di emergenza e quella per il ripristino. Nella fase di emergenza, ci siamo occupati di accogliere le persone sfollate dai campeggi di Avegno-Gordevio. In zona c'erano quasi duemila persone. Le richieste e le chiamate erano tantissime. Lo strumento delle cartografie si è rivelato vitale. Abbiamo supportato l'ospedale di Cevio, apportando anche beni di prima necessità alle frazioni ancora isolate, come pure una serie di aziende. Abbiamo coinvolto dei "capivillaggio" per garantire un punto di riferimento per tutte le necessità. Negozi della zona hanno fornito gratuitamente viveri e beni di prima necessità. L'ampiezza della catastrofe, con una cinquantina di frane, ha un'ampiezza senza pari. Il nostro ruolo è stato anche la gestione delle richieste di intervento da privati e aziende. Oltre un centinaio, mentre una dozzina sono ancora in corso. Fin dal primo giorno, si erano annunciati moltissimi volontari che andavano gestiti, oltre 500. Ovviamente, i primi giorni non è stato possibile impiegarli a causa del pericolo geologico».
Il 48.enne ha elencato le operazioni ancora in corso: «La catalogazione dei beni culturali, in collaborazione con l'Ufficio beni culturali del Cantone, ha permesso di verificare lo stato di centinaia di oggetti. Nelle varie operazioni di ripristino, sono stati coinvolti militi anche di altre regioni di Protezione civile, da tutto il cantone. In tutto, sono stati impiegati 538 militi con 3.414 giorni di servizio. Numeri alti che dimostrano la dimensione dell'intervento. Da parte nostra, rimangono ancora da coordinare varie richieste di intervento, ma ci siamo siamo “spostati” dal ripristino delle strade a quella della rete di sentieri della Val Lavizzara e della Val Bavona. Dovremo ricostruire ponti, guadi e passaggi. Incarichi che, come Protezione civile, porteremo avanti per anni».
«Una prova sul campo»
Federico Chiesa, capo ufficio Stato maggiore protezione della popolazione, ha snocciolato le operazioni messe a punto una volta attivato lo Stato maggiore regionale di condotta: «Allineare le informazioni, mantenere una visione della situazione, identificare le conseguenze per la regione. Oltre a essere pronti per predisporre misure di emergenza e attribuire compiti. Abbiamo prodotto 47 rapporti dello Stato maggiore regionale di condotta, dei quali 25 solo nella prima settimana». Il 40.enne ha concluso ricordando i lavori da fare per il futuro: «Ci siamo resi conto dell'importanza della formazione. La Sezione del militare e della protezione della popolazione dispone da anni di esercizi per la condotta. Ma solo in queste situazioni reali si conferma la bontà di queste formazioni e di quanto sia importante conoscere i processi, le persone e parlare la stessa “lingua” tecnica. Il prossimo passo sarà costituito da una revisione post-azione, per trarre delle conclusioni al fine di migliorarci».
«Come nel 1978»
Infine Andrea Pedrazzini, geologo cantonale, ha parlato delle condizioni che hanno portato al disastro: «A Peccia e in Val Bavona, una serie di temporali rigeneranti hanno causato precipitazioni importanti. L'evento era contraddistinto da fattori di predisposizione aggiuntivi, come un suolo saturo da neve e precipitazioni. Condizioni simili a quelle già viste nel 1978 nella stessa regione. I lavori di sgombero lungo le strade sono terminati e altri in Val Bavona sono in corso. L'accesso in Val Bavona è sempre regolato e di principio vietato a chi non è residente. Gli interventi futuri saranno seguiti dal gruppo di intervento costituito dal Consiglio di Stato. Insegnamenti per il futuro? È importante l'organizzazione locale e la definizione del presidio territoriale. È importante avere persone sul posto che conoscano il territorio, che possano aiutare gli enti di intervento in caso di necessità».
L'esperto ha fatto il punto della situazione per guardare avanti: «È necessario accelerare il processo, lanciando una campagna nei prossimi giorni. È necessario anche sensibilizzare sull'importanza delle allerte. Questi eventi dimostrano l'importanza di proseguire a tutti i livelli istituzionali, fino ai Comuni, sulla gestione del rischio. Non si tratta solo di prevenire, ma di saper come gestire e analizzare l'evento e i pericoli».
Il confronto nella mappa di Swisstopo: link qui
Le foto delle aree colpite nella mappa di Swisstopo: link qui