Mafia

Arrestato dopo 30 anni di latitanza, ecco chi è Matteo Messina Denaro

Era l’ultimo boss mafioso di «prima grandezza» ancora ricercato – Il blitz dei carabinieri del ROS nella clinica Maddalena di Palermo
© KEYSTONE (CARABINIERI HANDOUT)
Jenny Covelli
16.01.2023 10:23

Matteo Messina Denaro è stato arrestato. Era ricercato dall’estate del 1993. Quando stamattina l'ANSA ha dato notizia dello storico arresto, le notifiche push da parte dei giornali italiani (e internazionali) hanno lasciato increduli molti. Eppure, il boss di Cosa Nostra ricercato da trent'anni è stato preso. Dopo trent'anni di latitanza. L'ANSA, citando «fonti qualificate», riferisce che Matteo Messina Denaro sarebbe stato arrestato all'interno di una clinica privata. La clinica Maddalena, in pieno centro a Palermo. Era ricercato da quando chi vi scrive aveva tre anni (e oggi ne ha 32), ma è stato preso nella «sua» Sicilia. Si era recato in clinica «per sottoporsi a terapie», secondo il comandante del Raggruppamento operativo speciale (ROS) dei carabinieri, Pasquale Angelosanto. Un colpo importante per il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia (e il procuratore aggiunto Paolo Guido), insediatosi solo tre mesi fa.

Messina Denaro era l’ultimo boss mafioso di «prima grandezza» ancora ricercato. Il boss numero uno di Cosa Nostra, «architetto» ancora in libertà della campagna stragista che la mafia siciliana condusse in Italia tra il 1992 e il 1993. Una fuga decennale. Una latitanza record, come quella di Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni (l'anniversario dei trent'anni dal suo arresto è stato proprio ieri), e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.

Da «U siccu» a solo «Iddu»

Nelle intercettazioni Messina Denaro è conosciuto come «Ignazieddu», ma si parla di lui anche come «Diabolik», «U siccu» (il magro), o semplicemente «Iddu», lui. Da trent'anni, come detto, fa presenza fissa nell’elenco stilato dal Viminale sui ricercati di massima pericolosità ai quali danno la caccia le forze dell’ordine italiane. Capo del mandamento di Castelvetrano (Trapani), è uno dei boss più potenti, considerato dagli investigatori uno dei capi assoluti della mafia. Nato nel 1962 nella Città degli Ulivi e dei Templi, nella valle del Belice, lavorava come fattore insieme al padre. Il suo padrino di cresima è Antonino Marotta, ex affiliato alla banda di Salvatore Giuliano. A vent’anni è diventato il pupillo di Totò Riina. Nel 1989 è partita la sua scalata criminale, quando è stato denunciato per associazione mafiosa per la partecipazione alla faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna. Fu proprio Paolo Borsellino a iscrivere il suo nome in un fascicolo d'indagine.

Matteo Messina Denaro ricopre di fatto il ruolo di capo della cosca di Castelvetrano e del relativo mandamento, alleato dei corleonesi già dalla guerra di mafia dei primi anni '80. Negli anni successivi, il collaboratore di giustizia Baldassare Di Maggio dichiarerà che si trattava di «un giovane rampante, anche se non è già capo, e suo padre gli ha dato un'ampia delega di rappresentanza del mandamento» (il padre era latitante dal 1990).

Nel 1992 Messina Denaro prese parte nel commando composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, inviato a Roma per mettere a segno un attentato nei confronti di Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli, facendo uso di kalashnikov, fucili e revolver, procurati dallo stesso Messina Denaro. Qualche tempo dopo, però, il boss Salvatore Riina fece ritornare il gruppo di fuoco, perché voleva che l'attentato a Falcone fosse eseguito diversamente. Nel luglio 1992, Messina Denaro fu tra gli esecutori materiali dell'omicidio di Vincenzo Milazzo (capo della cosca di Alcamo), che aveva cominciato a mostrarsi insofferente all'autorità di Riina. Pochi giorni dopo, strangolò la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi. I due cadaveri furono seppelliti nelle campagne di Castellammare del Golfo. In seguito, Messina Denaro fece parte del gruppo di fuoco che compì il fallito attentato al vicequestore Calogero Germanà, a Mazara del Vallo (14 settembre 1992).

Dopo l'arresto di Riina, Messina Denaro fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi, insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Messina Denaro mise a disposizione un suo uomo, Antonio Scarano (calabrese residente a Roma), per fornire supporto logistico al gruppo di fuoco palermitano che compì gli attentati a Firenze, Milano e Roma. Organizzò poi l'attentato ai danni di Totuccio Contorno coadiuvato da Leoluca Bagarella.

L’ultima volta che il boss di Cosa nostra è stato (ufficialmente) visto libero risale all’agosto del 1993. Matteo Messina Denaro era in vacanza a Forte dei Marmi. Da quel momento è iniziata la latitanza. «Sentirai parlare di me - scrisse in una lettera alla fidanzata dell'epoca - mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità». Il suo nome è iscritto nella lista dei ricercati dal 2 giugno 1993. A quel punto era già diventato il capo di Cosa Nostra nella provincia di Trapani. Nei suoi confronti venne emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori. Le notizie sulla sua vita arrivano dai racconti dei collaboratori di giustizia. Nel 1998, dopo la morte (durante la latitanza) del padre Francesco, Messina Denaro è diventato capomandamento di Castelvetrano e anche rappresentante della provincia di Trapani in Cosa Nostra.

L'uomo senza volto

Di Messina Denaro non esistono immagini recenti, solo una vecchia foto segnaletica e un identikit tracciato sulla base della descrizione degli ultimi che l’hanno incontrato, ormai molti anni fa. I media attendevano con trepidazione le immagini ufficiali dell'arresto odierno (ne è arrivata una, che trovate come foto principale dell'articolo), per rispondere alla domanda «chissà che faccia ha oggi».

Nell’agosto del 2021 è stato trovato, negli archivi del tribunale di Marsala, un nastro con la sua voce registrata nel 1993, durante la testimonianza in un processo. Esiste anche un video mostrato dal Tg2 a settembre del 2021, in cui secondo alcune ricostruzioni apparirebbe Messina Denaro transitare nel 2009, a bordo di un SUV, su una strada dell’agrigentino. La registrazione trasmessa dal Tg1 dura circa trenta minuti, impressi su nastro magnetico, risalenti a un'udienza tenuta presso il Tribunale di Marsala il 18 marzo del 1993. A quell'epoca «Iddu» aveva 31 anni ed era stato convocato per testimoniare al processo Accardo. «Senta, ricorda se fu sentito dalla squadra mobile di Trapani, dopo la morte di un certo Accardo Francesco da Partanna?», chiede il pubblico ministero. «Guardi - risponde Messina Denaro -, io, in quel periodo ho subito decine d'interrogatori per ogni omicidio che è successo». Due mesi e mezzo dopo quel «Può andare signor Messina Denaro. Grazie a lei, buongiorno», il boss si è dato alla latitanza, scomparendo.

La prima dichiarazione

«Oggi, 16 gennaio 2023, i carabinieri del ROS, del GIS e dei comandi territoriali della Regione Sicilia, nell'ambito delle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Palermo, hanno tratto in arresto il latitante Matteo Messina Denaro all'interno di una struttura sanitaria dove si era recato per sottoporsi a delle terapie cliniche». Sono queste le brevi parole con cui il comandate del ROS, Pasquale Angelosanto, ha rilasciato la sua prima dichiarazione.

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