Bally si riorganizza, a rischio una settantina di posti di lavoro
Ristrutturazione in vista per Bally. L’azienda di abbigliamento di lusso, acquisita qualche mese fa dal fondo statunitense Regent LP, ha confermato di aver «avviato un processo di riorganizzazione volto a creare le condizioni per uno sviluppo responsabile a lungo termine».
I dettagli dello stesso sono stati illustrati dalla direzione di Bally nel corso di due incontri andati in scena nella giornata odierna con i sindacati e i dipendenti. «La riorganizzazione – prosegue la presa di posizione di Bally inviata al CdT – viene condotta nel pieno rispetto delle normative vigenti, con comunicazioni tempestive alle autorità competenti e mantenendo un dialogo aperto con i sindacati».
La riorganizzazione, inevitabilmente, avrà ripercussioni sul personale. Stando a nostre informazioni, si sta valutando una settantina di tagli, egualmente divisi tra amministrazione e produzione. Bally assicura che «l’azienda è consapevole dell’impatto sui dipendenti coinvolti e si impegna a fornire tutto il supporto necessario durante questa fase di transizione».
Filtra ottimismo
A seguire l’evolversi della situazione è il sindacato OCST. «È a tutti gli effetti una riorganizzazione; non si tratta né di una chiusura, né di uno spostamento», afferma il vicesegretario regionale Paolo Coppi. All’origine della decisione di riorganizzarsi, «c’è una situazione congiunturale sfavorevole per il comparto della moda». Ad essere toccata, prosegue Coppi, «non è solo la sede di Caslano: la ristrutturazione aziendale ha impatto su tutta la Bally SA». Come detto, non si possono escludere dei licenziamenti. In questo senso, il vicesegretario regionale dell’OCST rileva che «l’azienda si è mostrata molto collaborativa e aprirà una fase di consultazione». Da parte di Bally, insomma, «c’è disponibilità a mitigare il numero di licenziamenti e ad offrire degli strumenti per ammortizzare l’impatto delle disdette». Nelle prossime settimane si lavorerà dunque per trovare delle soluzioni, per esempio la riduzione degli orari di lavoro. Da parte sindacale filtra un certo ottimismo. «La mia impressione è che il fondo non ha rilevato Bally per chiuderla; c’è un valore aggiunto in Ticino», conclude Coppi.
L’ipotesi di una chiusura, o di una delocalizzazione fuori dal Ticino, lo ricordiamo, era stata esclusa dagli stessi vertici di Bally lo scorso 11 settembre, nel corso di un incontro tra l’allora CEO Nicolas Girotto – il quale aveva poi lasciato l’incarico a fine settembre – e il sindaco di Caslano Emilio Taiana.
E Villa Heleneum?
A osservare l’evolversi della situazione da spettatrice interessata è anche la Città di Lugano, che con Bally (più precisamente con Bally Foundation) ha un accordo per creare un laboratorio culturale a Villa Heleneum. «La nostra interlocutrice è la Fondazione, che ha una personalità giuridica propria rispetto a Bally SA», precisa il vicesindaco Roberto Badaracco. «Il contratto è iniziato il 1. gennaio 2022 e ha una durata quinquennale. Una eventuale disdetta andrebbe data sei mesi prima della scadenza, quindi a metà 2026». Ad oggi, non vi sono segnali in tal senso.