«Bip! Bip!», il codice a barre ha mezzo secolo di vita

«Bip! Bip!». È il classico suono che emette un dispositivo di lettura di codici a barre. Tanto che, se non ci fosse, sarebbe strano non sentirlo in un negozio di oggi. Che provenga da un apparecchio fai-da-te oppure al termine della fila sul nastro trasportatore verso l'addetto alla cassa del supermercato, in tutto il mondo è ormai una conferma sonora. I numeri sul prodotto che sta per diventare tuo sono interpretati in modo corretto. Un'invenzione che ha ormai mezzo secolo di vita: il brevetto del sistema adottato a livello mondiale, infatti, è del 1973. Ma l'intuizione risale a molto prima. Un po' per noia, un po' per gioco, un giovane Norman Woodland si diverte a tracciare un codice Morse sulla spiaggia della Florida nella quale si trova. Punto, riga, punto. Ma è difficile rappresentare per bene i punti tracciati nella sabbia. Ed ecco che, per distinguerli meglio, inizia ad allungarli, a trascinarli in senso verticale. A premere con più forza disegnando così dei solchi più larghi. Eureka. L'idea di un nuovo codice. Basato sulla larghezza dei tratti. Un sistema che – dall'estate del 1974, con la lettura di un pacchetto di gomme da masticare in Ohio, a oggi – fa girare il mondo. Fa concludere affari, sposta le merci al posto giusto, permette di trasferire piccole proprietà alla velocità della luce e a costi ridottissimi. «Se da domani dovesse sparire all'improvviso? È molto difficile immaginare il commercio al dettaglio senza», esclama Francesca Destefani, portavoce di Coop Regione di vendita Ticino. Già. Sarebbe il caos. Una visione un po' meno catastrofica è quella del professor Luca Canetta, co-responsabile del Laboratorio Sistemi di produzione sostenibile della SUPSI, al Dipartimento tecnologie innovative. «Beh, senza il codice a barre ci resterebbero i codici a matrice. E se anche sparissero quelli, potremmo cavarcela usando le etichette di identificazione a radiofrequenza». Magra consolazione, però. Perché quelle righe verticali dalla larghezza variabile sono imbattibili.
Anche se, prima che fossero introdotte in Svizzera, di lineette ne son passate, sotto i fasci laser dei lettori di tutto il mondo. «La prima cassa a scansione introdotta da Coop risale al 1993. Il primo punto vendita pilota è stato aperto nell'ottobre di quell'anno a Köniz, nel Canton Berna», racconta ancora Destefani. «A partire dalla metà degli anni Novanta, comunque, è iniziata l'implementazione in tutta la Svizzera. Infine, nell'anno 2000 tutti i punti vendita Coop erano dotati di registratori di cassa a scansione e quindi il codice a barre poteva così essere utilizzato a livello nazionale», precisa la 31.enne.
Ma di tempo ne è passato parecchio anche da quel primo colpo di genio sulla spiaggia della Florida alla prima registrazione nel 1974. In mezzo, anni e anni di prove e fallimenti. «Sì – conferma Canetta –, la sua adozione è stata posticipata di parecchio. La prima versione del codice a barre si presenta con dei cerchi concentrici. Questo però causa dei problemi tecnici, l'inchiostro sbava troppo facilmente interferendo con la lettura». Brevetti e società passano di mano, fino a quando sempre Woodland – l'ideatore iniziale insieme a Bernard Silver – arriva all'IBM e sviluppa il codice a barre così come lo conosciamo oggi. «Era un periodo selvaggio, in cui convivevano i due sistemi: quello circolare e quello che poi, alla fine, si è imposto come abituale e che conosciamo ancora oggi».


Dalle casse... alle stelle
Un'idea nata per accelerare il lavoro di chi sta alla cassa è cresciuta in maniera esponenziale trovando mille applicazioni diverse. «Non permette solo di gestire un flusso di clienti e un flusso di acquisti molto più alto a parità di numero di postazioni, ma anche di gestire magazzini e di tracciare il flusso di entrata e il flusso di uscita di merci e materiali», evidenzia ancora Canetta. «Posso conoscere in maniera molto più precisa lo stato delle scorte», aggiunge il 50.enne. «Nel corso del tempo – dice ancora Destefani – sono migliorati i lettori, che sono diventati sempre più veloci. Inoltre, si sono sviluppati vari tipi di codici a barre, sempre più evoluti a livello tecnico. Il che significa che è possibile scrivere al loro interno sempre più informazioni».
Con la giusta tecnologia a fare da contorno, poi, «facilitano numerosi processi lavorativi. Proprio per questo, oggi, non è più possibile immaginare il commercio al dettaglio senza questo tipo di supporti. I processi logistici ne sono un esempio. Ne sono strettamente legati, così come l'intera gestione delle merci fino al negozio».


Futuro luminoso
Proprio per questa ragione, il futuro di questo cinquantenne è luminoso. «No, il codice a barre non sparirà. Continuerà a essere usato e, anzi, sta trovando sempre nuovi campi di applicazione. Basti pensare al mercato dei lettori di codici a barre, che si stima valga oltre 8 miliardi di dollari. E, secondo le ultime previsioni più aggiornate, questo potrebbe a sfiorare i 16 miliardi nel 2033».
Non esiste, probabilmente, tecnologia più versatile e alla portata di tutti. Un'applicazione divenuta simbolo della globalizzazione. «Il codice a barre è stata la prima pietra miliare che ha permesso di capire le potenzialità dell'idea e, oltretutto, di sviluppare sia nuove tecnologie, ma anche ampliare il campo di utilizzo per assicurare tracciabilità delle merci e delle materie prime», continua l'esperto del mondo delle catene di fornitura. «Ci sono settori nei quali queste informazioni sono cruciali nella produzione. Penso per esempio al settore farmaceutico: devo essere certo di avere i principi attivi giusti. E, se dovesse nascere un problema di qualità, devo essere sicuro di ritrovare il lotto che ha potenziali problemi».


Salva anche l'ambiente
Ogni minimo errore, nel settore farmaceutico ma anche nell'agroalimentare, potrebbe avere conseguenze gravissime. Un piccolo codice a barre può salvare vite. Ma anche l'ambiente. «Corretto. Tutto ciò permette di aumentare la trasparenza nei processi logistico-produttivi ha un impatto non solo economico, ma anche un forte impatto sulla sfera ambientale. Impatto che stiamo cominciando a studiare ora. Abbiamo iniziato a studiarlo a fondo solo ora e immagino anche possibili utilizzi in futuro, ad esempio per gestire al meglio tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto, inclusa la tracciabilità del suo smaltimento».
Un passaggio, questo, facilitato anche dai discendenti del buon vecchio codice a barre: i codici a matrice, o anche bidimensionali, perché letti in entrambi i sensi e non solo sulla sola larghezza. «Gli ultimi ritrovati della vecchia scuola che rientrano nella convenzione globale secondo la quale ogni formato di codice a barre può essere letto in tutto il mondo, qualsiasi sia il suo formato, permettono di includere un massimo di 85 caratteri. Ma le ultime generazioni a due dimensioni vanno ben oltre. Ce ne sono diverse, dal Datamatrix al più popolare QR sviluppato da una compagnia sussidiaria di Toyota e poi impiegato da quest'ultima nel 1994 per tracciare i pezzi di automobili nelle sue fabbriche. E permettono di arrivare a includere fino a 7.000 caratteri».
A tutta matrice
«Questi codici a matrice possono memorizzare più informazioni rispetto ai codici a barre», conferma anche la portavoce di Coop Regione Ticino. Che ha già iniziato a introdurli in alternativa al codice a barre su alcuni prodotti. «Oltre al codice identificativo possono registrare la data di scadenza, il peso e il prezzo. Inoltre consentono di ordinare le merci in modo ancora più preciso e affidabile. Questo ci permette, ad esempio, di ridurre ancora di più gli sprechi alimentari. Ovviamente Coop è sempre interessata alle nuove tecnologie se queste offrono un valore aggiunto per i clienti, se sono sicure e se sono efficienti».