Il reportage

Bruxelles, una capitale inconsapevole

A un mese dalle attesissime elezioni europee abbiamo visitato la città simbolo delle istituzioni comunitarie
Un enorme dipinto murale in pieno quartiere europeo recita: «L’Europa è il futuro».
Paolo Gianinazzi
24.04.2019 10:59

(Dal nostro inviato) - Vuoi vedere che siamo finiti nella città sbagliata? Fra un mese esatto gli occhi del mondo saranno puntati sull’Europa. Più precisamente sulla sua capitale: Bruxelles. Circa 400 milioni di cittadini in tutto il continente si recheranno alle urne per scegliere i loro rappresentanti in quella che da molti è stata definita la più importante elezione europea di sempre; uno spartiacque nello scontro tra globalisti e sovranisti (per utilizzare due termini semplicistici oggi molto di moda) che si è più volte proposto nelle tornate elettorali nazionali di questi ultimi anni. Eppure, passeggiando agli inizi di aprile per le vie di Bruxelles, dalla luccicante e centralissima Grand Place al moderno quartiere europeo, sino al tanto discusso Comune di Molenbeek, l’impressione è che questa attesissima elezione non sia nemmeno prevista. Non un cartello, un manifesto o una bancarella legati al voto anima le strade della capitale europea. Volendo esagerare, ad un primo sguardo, potremmo dire che a Bruxelles dei temi che agitano la contesa elettorale non ci sia niente. E invece c’è proprio tutto. Mancano i manifesti, ma la città vive sulla propria pelle le questioni che hanno contraddistinto i non facili cinque anni di legislatura del Parlamento europeo: il terrorismo, l’immigrazione, l’ambiente, la burocrazia e infine – o forse soprattutto – i difficili rapporti con la Gran Bretagna in procinto di lasciare l’UE.

Non a caso al nostro arrivo in aeroporto notiamo subito una coppia di militari armati di tutto punto. La presenza in città delle forze dell’ordine è leggermente diminuita rispetto a un paio d’anni fa. Tuttavia il loro presidio, in particolare presso i luoghi sensibili dell’agglomerato, rimane un monito, un segno, che ci ricorda le stragi avvenute sul suolo europeo in questi anni, Bruxelles compresa. Stragi che spesso avevano legami diretti o indiretti con il comune di Molenbeek, quartiere distante una quindicina di minuti a piedi dal centro città, del quale vi racconteremo nei prossimi giorni.

«È cambiato tutto»
Il nostro viaggio inizia però nel cosiddetto quartiere europeo dove, a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, si possono trovare le sedi del Parlamento europeo, del Consiglio dell’Unione europea e della Commissione europea, le tre principali istituzioni dell’UE. Per farci raccontare come è cambiata la capitale europea negli ultimi decenni incontriamo alcuni funzionari che da diversi anni lavorano, in svariati ambiti, a contatto con le istituzioni europee. «Quando ho iniziato a lavorare qui i Paesi membri erano ancora 12. Da allora tutto è cambiato. Ho visto il quartiere trasformarsi completamente; nuovi edifici sono spuntati come funghi e tutto è diventato più frenetico. Anche il nostro lavoro è diventato più complesso», ci racconta uno di loro.

L’inglese da tempo è la lingua predominante nelle istituzioni. Ci si potrebbe chiedere se cambierà qualcosa con la Brexit

Alcuni interpreti, ad esempio, ci spiegano che rispetto al passato le lingue da tradurre, per ovvi motivi legati all’allargamento dell’Unione, sono aumentate notevolmente. Dal loro racconto emerge che anche il ritmo di lavoro è aumentato: «Le riunioni oggi sono più tecniche e le tematiche da affrontare si sono moltiplicate. Noi ce la mettiamo tutta, ma è difficile essere esperti in tutto». Infine ci spiegano che da tempo la lingua predominante all’interno delle istituzioni è l’inglese. «Ci si potrebbe domandare – si chiede infine uno di loro – se cambierà qualcosa con l’uscita della Gran Bretagna. Ammesso che la Brexit avvenga veramente...».

«Un periodo intenso»
Durante il nostro soggiorno incontriamo anche Giorgia, giovane di origini svizzere e doppia nazionalità che lavora con la Commissione, l’organismo comunitario che con poco più di trentamila dipendenti conta più funzionari tra le istituzioni dell’UE. È, in sostanza, il cuore pulsante dell’Unione. Giorgia ci racconta che molti dipendenti britannici, pur essendo sicuramente preoccupati per le conseguenze della Brexit, saranno in grado di conservare il loro posto nelle istituzioni. «Molti infatti vivono in Belgio da diversi anni e hanno quindi acquisito la cittadinanza belga». Più in generale la nostra interlocutrice ci spiega che la Brexit e le imminenti elezioni, a Bruxelles, hanno portato un carico di lavoro elevato. «C’è molto da fare. Da una parte bisogna chiudere molti dossier in vista delle elezioni e del rinnovo della Commissione, e dall’altra, in vista della Brexit, è necessario prepararsi per qualsiasi scenario. Ma il tempo a disposizione è decisamente poco». Dalla discussione emerge poi l’evidente asimmetria di forze nelle trattative tra UE e Gran Bretagna.

È evidente che il Regno Unito si trova in difficoltà nei negoziati per lasciare l’Unione

«L’Unione desidera continuare ad avere una stretta relazione con la Gran Bretagna: è nell’interesse di entrambe le parti. Allo stesso tempo è evidente che il Regno Unito si trova in difficoltà in questi negoziati, soprattutto a causa delle risorse limitate: hanno poco personale per gestire una situazione così complessa che sta accadendo così rapidamente. Tutte queste politiche fino ad oggi sono state gestite a livello europeo e con risorse dell’Unione: loro adesso devono ricostruire tutto da zero». Ma i loro problemi non finiscono qui. Un esempio molto concreto di ciò è rappresentato dalle difficoltà dei britannici nelle trattative con i Paesi terzi. «Brexit non inciderà solo sui rapporti tra l’UE e Gran Bretagna, ma anche tra quest’ultima e il resto del mondo. A quanto pare, il Regno Unito è già entrato in contatto con vari Paesi in vista di aprire nuovi negoziati. Tuttavia, sembrerebbe che non riesca a dedicarvi molto tempo e manchi delle risorse adeguate per focalizzarsi su qualsiasi affare che non sia Brexit e l’Unione». E la tanto criticata burocrazia dell’UE? Chiediamo a Giorgia. «Sì, c’è tanta burocrazia. Sarebbe difficile negarlo. Tuttavia credo sia un male necessario per gestire così tante persone, dossier e interessi divergenti. E poi la burocrazia deriva in gran parte dal fatto che qui, per ogni cosa, c’è una procedura per garantire che ogni situazione sia trattata in maniera proporzionale e trasparente. Questo lascia poco spazio all’improvvisazione». Infine le chiediamo come vive la Bruxelles delle istituzioni l’avvicinarsi delle elezioni europee. «Non è cambiato quasi nulla rispetto a qualche mese fa, eccetto forse per le varie conferenze incentrate sulle elezioni. D’altronde le campagne elettorali non si svolgono qui: sono spesso, sia nella forma che nella sostanza, giocate su temi nazionali. Questo è un vero peccato perché, invece di essere utilizzate per il loro vero scopo, ovvero continuare il progetto dell’UE, vengono usate per interessi nazionali. Ovviamente, e personalmente, un po’ di apprensione c’è vista l’avanzata degli euroscettici. L’UE non è perfetta – come nessun’altra istituzione del resto – ma è un progetto in cui credo. Senza di essa i cittadini europei non avrebbero tutti i vantaggi e le comodità di cui godono oggi, anche se a volte è difficile far passare questo messaggio. Spesso ci si dimentica di ciò che l’Unione fa per noi: possiamo spostarci, vivere, lavorare, studiare e commerciare in qualsiasi Paese membro in completa libertà e semplicità. Sono aspetti che non dovrebbero assolutamente essere dati per scontati».

Ma la parola sulla bocca di tutti è Brexit

Forse lo avrete capito leggendo qualche riga qui sopra. A Bruxelles in questo momento l’argomento sulla bocca di tutti è l’addio della Gran Bretagna, non l’elezione europea del prossimo mese. Basta girare qualche bar o ristorante della zona per rendersene conto: è Brexit la parola più ricorrente nei locali frequentati dai funzionari, non Matteo Salvini o Jean-Claude Juncker. Se in Ticino nei mesi precedenti alle elezioni cantonali ci siamo abituati a vedere manifesti con facce sorridenti ovunque, come detto, a Bruxelles invece segnali di questo tipo non ce ne sono. Ma per Brexit le cose sono diverse. Una dimostrazione di tutto questo è stato l’imponente summit del Consiglio Europeo sulla Brexit che si è svolto proprio nei giorni della nostra visita. Se normalmente il quartiere europeo si anima in giornata solo grazie alle migliaia di funzionari che vi lavorano, quel mercoledì di inizio aprile il quartiere ha decisamente cambiato faccia. Sin dalle prime ore del pomeriggio, malgrado l’inizio del vertice fosse previsto alle 18, diversi manifestanti britannici hanno cominciato a posare per i giornalisti presenti a decine e decine. Con un certo tocco di originalità britannica, abbiamo subito notato nei pressi della Commissione anche un artista che, microfono e chitarra alla mano, intonava «We’re not gonna Brexit» (Non faremo la Brexit, cover personalizzata della più famosa «We’re not gonna take it» dei Twisted Sister), senza farsi mancare un assolo in cui riprendeva la melodia dell’Inno alla gioia.

Poco più tardi la polizia ha sbarrato completamente le strade e le fermate del tram antistanti il Consiglio Europeo in vista dell’arrivo dei leader europei. Qualche ora prima dell’annuncio (arrivato a tarda sera) del rinvio della data fissata per la Brexit, è poi toccato agli ambientalisti fare la loro entrata in scena nel quartiere europeo.

Non abbiamo nulla contro la Brexit, ma la questione climatica è di gran lunga più importante

Greenpeace, con alcuni esperti arrampicatori, in maniera provocatoria ha organizzato l’affissione di un manifesto gigante sull’edificio della Commissione detto Charlemagne: «Brexit bla bla bla... Stop climate chaos», si leggeva a caratteri cubitali sull’enorme cartello posato ad una trentina di metri di altezza. «Non abbiamo nulla contro la Brexit», ci ha spiegato il responsabile della comunicazione della ONG presente sul posto. «Tuttavia riteniamo che la questione climatica sia di gran lunga più importante». Insomma, sono i temi del cambiamento climatico e della Brexit a impensierire oggi l’opinione pubblica di Bruxelles che, per ovvi motivi legati alla nazionalizzazione delle campagne elettorali, sembra ignorare che presto qui si decideranno le sorti del continente. Le elezioni, quelle vere, si giocheranno invece nei Paesi membri. Una capitale fuori dai giochi, verrebbe da dire. Un segnale che forse racchiude in sé l’importante sfida dell’Unione europea che verrà: riuscire ad unire anziché dividere.